Il passato si ribella

Ci sono diverse maledizioni in ambito cinematografico e televisivo, alcune più celebri di altre. Un esempio è che “un film tratto da un videogame è generalmente una ciofeca”, o “una trasposizione fantasy deve sempre e comunque contenere almeno una romance inutile”. Tra le varie c’è anche “i prodotti su licenza delle opere di Stephen King sono pericolose”, perché nonostante capisaldi come Shining, o Il Miglio Verde (o anche It se volete), molte delle opere televisive e cinematografiche su licenza King si sono poi rivelate delle cagate di proporzioni considerevoli, originariamente spinte dal nome “King” (che funziona un po’ come il “Quentin Tarantino presenta”) e poi ricordate con fischi e pernacchie. Ecco perché all’annuncio dell’adattamento televisivo di 22/11/63 il mio corpo è stato attraversato da un brivido di terrore, complice i già disastrosi annunci relativi al franchise de La Torre Nera (su cui, da fan ESTREMO, in questo momento non mi sento di scommettere 10 lire).

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Poi però al progetto si sono avvicinati prima il nome di J.J. Abrams (che potete dire il cazzo che vi pare ma è un signor produttore) e infine quello di James Franco, che dopo aver abbandonato la parrucca cotonata in Spider-Man si è trasformato in un attore di tutto rispetto, ed anche in un eccellente uomo di affari. Lo stesso King, infine, è entrato in squadra come produttore esecutivo, con la volontà di tenere il controllo su quello che è uno dei suoi lavori non solo più recenti, ma anche più apprezzati. 22/11/63 è quindi diventato, quasi immediatamente, un progetto non da temere ma da attendere, padrone anche di una tematica a dir poco affascinante e, in fin dei conti, non così sfruttata dal mercato televisivo degli ultimi anni: il viaggio nel tempo.

“La storia ha orrore dei paradossi”

La premessa di 22/11/63 è inusuale, ma anche estremamente semplice, come solo in apparenza sa essere il racconto kinghiano, per certi versi asciutto e diretto ma poi sempre e comunque molto più profondo rispetto a quanto l’apparenza non finga di raccontare. Nel Maine c’è un ristorante, ed in esso un armadio capace di trasportare chi vi entra indietro nel tempo, in un preciso momento, di un determinato giorno d’ottobre nel 1960. Al, il padrone del ristorante, ne è il custode ed in punto di morte deciderà di condividere il suo segreto con Jake Epping (James Franco), uno scrittore ora insegnante, assiduo frequentatore del locale ed amico di Al da quasi un ventennio. Al ha un obiettivo a cui ha segretamente votato la sua vita: impedire, grazie al portale, che JFK venga assassinato da Lee Harvey Oswald. Al vuole così impedire quell’escalation di eventi tale che condusse il paese, in poco meno di 40 anni, alla terribile guerra del Vietnam, una guerra che lo stesso Al ha combattuto e da cui, come molti, è uscito cambiato e sconfitto. Ma il passato è infame, e non ammette capricci. Esso si ribella, ha terrore del paradosso, e come una creatura viva, come un mostro in agguato tra le stringhe dell’esistenza, combatterà e si dimenerà per impedire che Jake porti a termine la sua missione, in quella che sarà una serie che, se ben costruita, potrebbe riservare un pathos ed un ritmo invidiabile, complice quella penna che ha redatto 900 pagine di un romanzo che è unanimamente considerato uno dei migliori del Re dell’orrore.

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Il pilota, della durata di ben 80 minuti, è dunque solo la base per capire lo spirito e, se vogliamo, le “regole” e le tematiche su cui la serie si baserà. Il tempo è un concetto labile, e lo è in modo intelligente anche nella stessa sceneggiatura, che sceglie di non concentrarsi semplicemente sul viaggio, ma sull’intrigo e sulla risoluzione di un enigma, quello dell’omicidio Kennedy, su cui sono state avanzate le più disparate congetture. C’è poi un alone fatalista che impregna il tessuto della narrazione, e di cui il protagonista si fa pian piano consapevole. La concezione che si fa strada nei personaggi di non avere effettivamente potere, se non quello derivante dalla propria volontà, che è però soggetta alla psiche umana, ed in quanto tale è labile. C’è la sfida dell’uomo contro la natura, dove quest’ultima è rappresentata per antonomasia, e in senso assoluto, dal tempo stesso, perpetuando nella sua marcia determinista, e contro cui l’uomo si trova a combattere quasi per caso, sebbene poi la battaglia col tempo sia una battaglia non solo universalmente condivisa, ma anche persa in partenza. Il tempo può essere sconfitto? Può essere cambiato? Al di là di ogni dissertazione su fisica e quanti, King imbastisce un racconto che ha un forte retrogusto determinista, e quel sapore amano di sconfitta che permea spesso i suoi romanzi, quasi sempre privi di un preciso happy ending, e più orientati a sconvolgere e sconquassare i sensi del lettore. In tal senso 22/11/63 si muove, già nelle premesse, su quegli stessi passi. I colpi di scena non sembrano veri colpi di scena, sembrano telefonate, di quelle che si sta ad attenderle per tutto un giorno, ma che poi quando arrivano lasciano comunque un po’ di stucco, un po’ amareggiati, se vogliamo un po’ stupiti.

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È il linguaggio kinghiano, che parla per calci in culo e pugni allo stomaco, e che si riflette sapientemente nello script televisivo e, senza fatica, anche nella divisione episodica della narrazione. Certo, 80 minuti non sono semplici da digerire, specialmente per un serial che punta tutto sul mistero e sulla narrazione e molti potrebbero trovare la prima visione lenta, pesante, forse persino prolissa. Ma tocca tenere duro, perché l’episodio merita attenzione, e il serial merita di essere visto, almeno per come si presenta adesso.

Non bastasse una regia (televisiva ma) sapiente, ed un cast di attori stringato ma dignitoso in cui James Franco è in forma smagliante, il serial è assolutamente aderente allo scritto di King, prendendosi, per ora, poche libertà, più funzionali all’ordine televisivo che allo sconvolgimento del racconto. Ciò significa che ciò che è scritto verrà quasi certamente lasciato intatto, facendo si che, come un vecchio radio dramma, il serial si prenderà la briga di raccontare, e non modificare, una storia avvincente di per sé. Siamo lontani, tanto per dirne una, da robe come Under The Dome, in cui le meccaniche della tv hanno infine affossato (ed annoiato) il racconto originale, finendo per diventare stantii. Ovviamente resterà da vedere se tutte le promesse saranno mantenute. 22/11/63 è uno dei lavori più complessi di King, e certamente tra quel novero la cui trama si rende particolarmente complessa e fitta. Il serial, per restare godibile e per non rischiare strafalcioni dovrà allora mettersi a servizio di quella scrittura, su tutto senza aggiungere nulla, e sfoltendo solo quelle parti che appesantirebbero in modo inutile la visione, lasciando però tutto il resto inconsunto. Se così sarà 22/11/63 potrebbe tranquillamente essere il miglior “Lost” dai tempi di “Lost”, e francamente val la pena sperarlo, in barba alla “regola” sulle trasposizioni scritta in apertura, che come il tempo sembra imporsi come una costante, ma che un punto di vista diverso può trasformare in una imprevedibile variabile.

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Cosa ci è piaciuto?

Salvo una leggera differenza sul momento in cui è possibile approdare con il “viaggio nel tempo”, 22/11/63 si propone, ad ora, con un’aderenza al romanzo quasi perfetta. Abrams e King sono stati incredibilmente abili nell’adattare il linguaggio del romanzo a quello televisivo, trovando poi in James Franco il connubio perfetto tra un attore di talento, ed un beniamino televisivo. L’atmosfera misteriosa che permea il tutto (“tu non dovresti essere qui…”) è poi di prima classe, e trasuda il nome “King” ad ogni buona occasione.

Cosa non ci è piaciuto?

Forse alcuni passaggi un po’ lenti, che possono effettivamente annoiare alcuni spettatori.

Continueremo a guardarlo?

Si, senza se e senza ma.