Con tutta probabilità, se La grande scommessa non avesse avuto un cast tripla A composto da Brad Pitt, Ryan Gosling, Christian Bale e Steve Carell, nessuno avrebbe fatto a caso a questa mattonata politico-economica firmata da Adam McKay, uno che fino ad ora se ne era uscito solo con abominevoli scemenze del calibro di Anchorman e Fratellastri a 40 anni. Ma andiamo con ordine.

Nel 2008 il mercato immobiliare globale è praticamente collassato su se stesso, dando vita ad una delle più grandi crisi economiche della storia. Milioni di persone hanno perso la casa e il lavoro e le banche sono state messe in ginocchio. Una catastrofe di dimensioni titaniche che una manciata di persone, però, aveva previsto con qualche anno di anticipo. Il problema, però, è che invece di fare di tutto per evitare che la bomba esplodesse, questi gentiluomini hanno pensato bene di accendere la miccia, sedersi comodi a debita distanza e godersi la deflagrazione, certi di portarsi a casa una montagna di soldi, in barba alle disgrazie della povera gente.

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The Big Short infatti è basato su una storia vera, quella di un gruppo di investitori che hanno letteralmente scommesso sul crollo del mercato immobiliare americano, un pilastro su cui si fondava praticamente tutta l’economia del paese. Cinque candidature all’Oscar, inclusa quella come miglior film per un prodotto pubblicizzato ad hoc come un qualcosa di divertente e “cool”. Un film da hypster, come i suoi protagonisti. Christian Bale, Brad Pitt, Ryan Gosling e Steve Carell tutti imparruccati e impiastricciati di fondotinta color terra di Siena. Quattro grandi attori che per tutto il film provano a fare, insieme al loro regista, quello che lo scorso anno hanno fatto Scorsese e DiCaprio con The Wolf of Wall Street. Tutti quanti, però, non avevano calcolato che invece di dare vita ad una versione farsesca e caciarona del fallimento del sogno americano, stavolta si stava rappresentando un autentico dramma mondiale. E’ per questo che ne La grande scommessa, non funziona praticamente niente, a partire dalla colonna sonora pop passando per le rappresentazioni a dir poco macchiettistiche dei protagonisti della storia. McKay ci mette del suo proponendo una sceneggiatura folle, infarcita di numeri, date, nomi, tassi d’interesse, sigle, percentuali e indici di rischio. Un gigantesco calderone in cui si perderebbe anche un laureando in economia e commercio. Dopo pochi minuti ci si perde nel marasma matematico che dovrebbe spiegare allo spettatore medio come e perché la più grande crisi economica di sempre era stata praticamente studiata a tavolino per far arricchire determinate persone. McKay invece sceglie la strada dell’estetismo, puntando su espedienti registici stravaganti e anche piuttosto presuntuosi per mascherare la sua totale incapacità narrativa e, ancora più grave, l’incapacità di dare vita a dei personaggi iconici come il Jordan Belfort di DiCaprio (quella si era una performance da Oscar, n.d.r.).

Left to right: Jeremy Strong plays Vinnie Daniel, Rafe Spall plays Danny Moses, Hamish Linklater plays Porter Collins, Steve Carell plays Mark Baum, Jeffry Griffin plays Chris and Ryan Gosling plays Jared Vennett in The Big Short from Paramount Pictures and Regency Enterprises

Il risultato sono 4 attoroni che non si rubano né la scena tra loro e nemmeno lasciano il segno individualmente. Semplicemente si allineano all’insopportabile staticità di tutta la pellicola, il cui unico spunto interessante sta nel proporci continuamente il contrasto tra un gruppo di investitori senza scrupoli che attende con ansia il crollo, salvo poi accorgersi di temerlo più di ogni altra cosa, nonostante la consapevolezza che li arricchirà in maniera indecente. Alla fine il film vorrebbe cercare di “salvare” ognuno dei protagonisti (incluso Brad Pitt, uno che di fare la figura dello stronzo nei film non ne vuole proprio sapere…Di fatto spetta a lui la sparata più inutilmente buonista e retorica di tutto il film: “Non c’è niente da festeggiare, ci stiamo arricchendo alle spalle di milioni di poveracci che perderanno casa e lavoro”). Manca il ritmo, manca l’empatia con i personaggi e soprattutto il film manca di spessore; si ha la sensazione di assistere a una specie di documentario psichedelico dove tutti parlano a raffica, Christian Bale cammina scalzo e ascolta canzoni heavy metal a tutto volume e Ryan Gosling parla con lo sguardo in camera sperando di coinvolgere lo spettatore. Peccato che ci siano buonissime probabilità che lo spettatore abbia cominciato a russare già dopo la prima mezz’ora.

Simone Bravi
Nasce nella capitale dell'impero tra una tartaruga ninja, un Mazinga e gli eroi del wrestling dell'era gimmik. Arriva a scoprire le meraviglie del glorioso Sega Mega Drive dal quale non si separa mai nonostante l'avvento della PlayStation. Di pari passo con quella per i videogame vanno le passioni per il cinema, le serie Tv e i fumetti. Sembra Sheldon di The Big Bang Theory ma gli fanno schifo sia Star Trek che Star Wars. E' regolarmente iscritto all'associazione "Caccia allo Juventino".