A Venezia abbiamo avuto l’occasione di intervistare Lorenzo Ceccotti, in arte LRNZ, grande fumettista italiano, autore di lavori acclamati da pubblico e critica come Golem ed Astrogamma. Ecco cosa ci ha detto in questa divertente chiacchierata.

So che sei un appassionato videogiocatore, hai un genere preferito? Questa tua passione si riflette anche nei tuoi lavori?

Dunque, sul genere è difficile ragionare, ma questo per me vale per qualunque medium, anche perché tendo a seguire gli autori più che le opere in sé. Mi piace avere un rapporto con gli artisti e quindi generalmente mi intriga più quello. Certo ci sono dei generi di videogiochi che ho giocato per tutta una vita, come ad esempio i picchiaduro competitivi. Però se dovessi pensare a quello che per me è un gioco meraviglioso, forse non sarebbe un picchiaduro il titolo che sceglierei, ma più un gioco come Another World, Shadow of the Colossus, Fez, Limbo. Oddio, mi rendo conto che ti sto nominando quasi tutti platform, però appunto, mi piace più seguire gli autori che i generi.

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Ti piacerebbe creare un tuo videogioco?

Lo sto facendo! Non riesco a trovare degli sviluppatori per finirlo… è una sfida che mi piacerebbe portare a compimento. Ho un progetto che al momento è bloccato, e quindi se ci fossero sviluppatori disposti a lavorarci, fatevi avanti. Si chiama Radial, ci sono anche dei video online.

Parliamo dei tuoi fumetti: ti aspettavi tutto il successo che ha avuto Golem?

Onestamente no. È stato già un successo aver trovato un editore che mi consentisse di pubblicarlo “con tutti i crismi”, tutto ciò che è arrivato in più è stata una bella notizia, e Golem me ne ha date tante di belle notizie nell’ultimo anno. Anche Astrogamma, quando uscì autoprodotto non ebbe poi tutto questo gran successo, cosa che poi si è verificata in questa sua versione libro, a dimostrazione che ci sono modalità e momenti buoni e meno buoni perché un’opera abbia successo.

Riguardo la tua collaborazione con Murakami, hai lavorato direttamente con lui o hai avuto delle direttive ben precise?

No, non ho lavorato direttamente con lui, ma con gli editor di Einaudi e il suo editor, che mi approvavano o meno i disegni. All’inizio ho mandato una serie di studi, poi siamo passati ad una fase successiva, e come ti dicevo, mi dicevano di volta in volta se erano di loro gradimento. E devo dire che per fortuna è andato tutto liscio, è stato sostanzialmente un “buona la prima”.

Ecco, quali sono le differenze nel lavorare al proprio fumetto rispetto al lavorare per qualcuno?

Per me lavorare su commissione è più facile, perché il committente fa almeno il 70% del lavoro, dicendoti cosa fare. Quando lavori per te stesso devi decidere tu cosa fare, e sembra una grande libertà, ma il più delle volte finisci per prendere delle direzioni banali o superficiali, o ti blocchi. Io sono molto severo con me stesso e sono il peggior committente che mi possa capitare, perché non mi “accaso” mai su un disegno, ed è un fattore fondamentale del mio modo di lavorare. Però va anche detto che i limiti stimolano la creatività, quindi anche quando lavoro su commissione, è sempre una bella sfida.

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Tu hai collaborato anche con Manetti, il regista di Lo chiamavano Jeeg Robot. C’è una voce secondo cui il nome del protagonista sia ispirato a te, è vera?

No, so per certo che è un caso, però è divertente perché in maniera completamente casuale è partita poi la nostra collaborazione, quindi in un modo o nell’altro c’è stata questa contaminazione.

Parliamo di cinecomics appunto: cosa ne pensi?

Che in teoria sono una cosa ottima, ma in pratica ne penso tutto il male possibile. A livello industriale/campanilistico portano un sacco di attenzione e (forse) soldi alla scena, ma artisticamente non valgono tanto. Mi stanno antipatici perché non si rischia sulla creazione di immaginari autosufficienti, nonostante i franchise potentissimi che hanno alle spalle. Finiscono per essere una prudentissima carrellata di fanservice e basta. E, bada bene, esistono dei buoni cinecomics, onesti film in cui si vede lo slancio autentico di un regista che nel fumetto ci vede un film dentro: ad esempio lo Spider-Man di Raimi, nonostante abbia tutta una serie di cose (in particolare l’aspetto visivo di alcuni personaggi) su cui sono dovuto passare sopra con ENORME fatica. Orribili. In generale trasponendo un fumetto su film si perde tutta l’immaginazione che è la parte più bella di un’opera del genere. Un ragazzino lo sa perfettamente che quel fumetto è finto, ma lo accetta, e si crea una sorta di patto tra spettatore e disegnatore che rende tutto possibile. Nel film, per far sì che tutto sia più realistico, questo si perde e magari escono fuori anche degli obbrobri come il costume di Spider-Man appunto, che in quel film sembra una roba uscita dall’autodromo del Mugello. C’è la contraddizione pesantissima di non accettare la fantasia potentissima, rivoluzionaria e ingenua del fumetto.

Un cinecomic che mi è piaciuto TANTISSIMO è il secondo Batman di Tim Burton, perché ha cercato di osare un po’ e ha creato un immaginario coerentissimo, originale, controllato nei minimi dettagli. Tutto bello. Personaggi (Catwoman e Penguin sono PIU’ BELLI di quelli originali), props, scenografia. Mi ha restituito buona parte di quello che amo nei fumetti con tutto il portato IMMENSO del cinema. Con la qualità di un opera titanica che un film resta. Tim Burton è un mistero, io lo odio, mi annoia da morire e vorrei dire che è il peggior regista del mondo, ma poi ha fatto Big Fish, e come fai a dire a uno che non è bravo se poi ti tira fuori un film del genere? Lo disprezzo in silenzio.

In ogni caso non credo che certi abomini industriali siano eterni, perché che senso avrebbe continuare a proporre all’infinito i vari supereroi con tutti i loro reboot? (Mi trema la voce mentre lo dico)

C’è ancora tantissimo da scoprire e da portare nel mondo dei fumetti, da parte del cinema.

Posto che sono in primo luogo dovrebbero essere i “consumatori” a dover fare pace col cervello: si parlava del trailer del reboot dei Ghostbusters, e tutti a dire “Basta con i reboot, devono fare una cosa nuova! E poi che senso ha che i Ghostbusters siano donne?”, contraddicendosi praticamente nella stessa frase. Oltretutto i botteghini e i social media sembrano confermare la pazzia generale del pubblico di andare a vedere sempre la stessa cosa per poi lamentarsi, parlandone e divulgandola. Incredibile.

Sarà un po’ più difficile uscire da questa impasse finché siamo così stupidi.

Torniamo invece a parlare di fumetti: cosa ne pensi dei webcomic e dei disegnatori che iniziano a farsi conoscere partendo da internet? Pensi che sia un modo più facile per riuscire ad emergere, e quindi ben venga, o ci vuole un minimo di gavetta “tradizionale”?

Dipende. Da una parte il web offre una grande varietà di contenuti, anche se a me piacerebbe ce ne fossero sempre di più. Internet ti permette, anziché andare da un editore e magari farsi criticare un lavoro, di pubblicare in maniera autarchica. E’ una scorciatoia che si fa per saltare una parte difficile del lavoro, che è quella del confronto con altri esseri umani che ti dicono “Forse questa cosa la puoi fare meglio”. La pubblichi direttamente e via. Il problema è che spesso si ha bisogno di questa fase, di qualcuno che è più competente di te che ti dica come e dove correggere una cosa. Saltare questa fase significa semplicemente rimandare il momento in cui qualcuno ti dirà “Guarda, questa cosa fa schifo”. O peggio ancora, per quieto vivere ti ignorerà. Il web quindi in qualche modo facilita l’uscita prematura di alcune opere, che magari potevano essere aggiustate un po’ di più, ma questa è una cosa che può capitare anche con degli editori non bravi. Insomma, quello che voglio dire è che il processo industriale tradizionale non deve essere visto come una roba vecchia che vada abbandonata, ma integrata nelle nuove tecnologie, vorrei quindi che ci fossero più controlli qualitativi prima che qualcosa approdi su internet, magari che gli stessi autori chiedessero un editor, perché vedo tanta roba che potrebbe essere un po’ meglio di come esce, se qualcuno avesse detto una parola in più nella fase creativa.

Ed è importante che ciò accada anche tra gli artisti stessi, ad esempio io quando facevo Superamici con Dr. Pira, Maicol e Mirko, Tuono Pettinato e Ratigher, le nostre riunioni erano delle robe Macbethiane con delle coltellate alle spalle micidiali in cui ci dicevamo peste e corna, ma perché è giusto così, io mi aspetto da un collaboratore che sia il più onesto possibile con me e mi dica cosa c’è che non va nelle mie opere perché solo così si migliora.

Non vedo di buonissimo occhio neanche il meccanismo per cui sia il pubblico a controllare il prodotto degli autori. Tranne alcuni casi di piccolissime eccellenze (che lo erano già prima di affrontare i vari crowdfunding, patreon etc.) trovo che la natura di tutte queste opere sia palesemente quella di accontentare tutti tranne che l’autore, facendolo sparire in migliaia di smancerie verso il lettore. Feedback culturale totale in cui non si aggiunge NULLA di nuovo a quello che esiste già. Ecco li che cominciano a spuntare tutti prodotti che sono mashup stucchevoli di altri successi, targettizzati in un rapporto asfissiante fra autore e pubblico. Crowdfunding e Patreon sono strumenti di produzione eccezionali ma richiedono una disciplina e una onestà pazzesca.

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Visto che stai lavorando con Bonelli a Monolith, che sarà sia un fumetto che un live action, c’è qualcosa che puoi anticiparci a riguardo?

MONOLITH è un fumetto scritto da Roberto Recchioni e Mauro Uzzeo che sto disegnando per Sergio Bonelli Editore, la data di pubblicazione ancora non si sa qual è, in ogni caso sicuramente potete aspettarvi un fumetto molto intenso graficamente, con una carica visiva importante e una scrittura asciutta ed efferata.

È divertente lavorarci, è conforme ai tipi di concept che mi piacciono, con un’idea molto forte anche se semplice, complessa nella sua realizzazione. Da un punto di vista grafico sto utilizzando una tecnica vicina allo stile che ho utilizzato per realizzare le concept art del film. Ne verrà fuori una bella cosa, spero!