Buona la seconda.

Allora mettiamo le cose subito in chiaro. È estate, abbiamo tutti caldo e non abbiamo voglia di  carpire concetti attraverso complicati giri di parole. Perciò vediamo di chiarire subito alcuni punti, in modo da entrare subito in sintonia nell’analisi di questo nuovo horror: Annabelle 2: Creation. Punto numero uno: il primo Annabelle era brutto, e “insozza” quello che possiamo considerare il “The Conjuring-verse”, ovvero questa condivisione cinematografica di figure iconiche demoniache e storie “vere” che si palleggiano rimandi da una pellicola all’altra a partire dal primo The Conjuring, e che James Wan ha creato in veste di director e ora, come producer. Punto numero due, direttamente collegato al primo: James Wan col genere ci sa fare di brutto, non solo come regista ma appunto, anche nel lanciare i talenti del futuro in veste di produttore, come il “giovine” svedese, David F. Sandberg, al suo secondo lungometraggio, dopo aver debuttato con un Light up –dignitoso ma non eccezionale (tratto da un suo ben più incisivo e omonimo cortometraggio )- che nel genere, come vedremo, pare avere molto da dire. Punto numero tre: Annabelle 2: Creation, al di là del suo titolo “clickbait” acchiappa spettatori svogliati, al di là della sua apparenza da classica operazione commerciale estiva  che prevede l’uscita di tot horror per far cassa, belli o brutti che siano, è un cazzo di film di genere ben fatto. E giuro, non ci avrei scommesso nulla.

La storia della bambola indemoniata aveva del potenziale, lo sia era “annusato” già dai riferimenti presenti in The Conjuring, ma poi il film “Annabelle” in effetti, ci convinse che l’occasione era stata definitivamente sprecata. E invece no, ecco l’ancora di salvezza: si anticipa qualsiasi storia sia mai stata accennata sul tema, e si parte da zero, dalla genesi, raccontando come tutto inizia.

Definiamo subito una cosa. Che cosa rende veramente buono un film horror? A mio avviso, non il numero di jump scare che riesce ad inanellare durante la sua durata, e nemmeno il fatto di inventarsi a tutti costi cose mai viste prima (certo non guasterebbe, ma quando capita di solito si fa solo peggio). La cosa importante è creare un contesto solido, dettagliato, immersivo, con personaggi ben scritti, con atmosfere palpabili. La macchina da presa deve farti respirare l’aria dei posti che inquadra. Sandberg dimostra in questo di aver appreso molto dalla “Scuola Wan” e prende una scenografia super canonica, con un incipit ultra blasonato, e semplicemente ce li serve nel migliore dei modi.

Anni 50, i coniugi Mullins conducono una vita tranquilla nella loro bella magione “alla Amytiville”  nel mezzo di quell’America rurale che da sempre ben si presta come palcoscenico dei racconto horror più folkloristici. Lei, una giovane madre timorata di Dio, lui un costruttore di (inquietanti) bambole artigianali professionista. Genitori amorevoli della piccola Annabelle, fino al giorno in cui non succede una disgrazia. Diversi anni dopo, i Mullins decidono di trasformare la casa in un orfanotrofio e accolgono tra le sue pareti un gruppo di ragazzine e Suor Charlotte, che fa loro da tutrice. I personaggi, primo fra tutti la coraggiosa Janice, sono tutti molto ben interpretati, nonostante non abbiano “niente di speciale”, ci affezioniamo in fretta al gruppetto e siamo presto incuriositi dalla loro  sorte. Sandendberg ama le carrellate, i piani sequenza, ci presenta la casa con meticolosità, ci fa capire geometrie e spazi, ci fa conoscere bene l’ambiente di manovra dei personaggi e le sue particolarità, prima di utilizzarlo come background per il tunnel degli orrori che cominceremo a percorrere quando i tempi filmici saranno maturi. E in questi, cosi come nel ritmo complessivo del film, Sandenberg si dimostra un ottimo direttore d’orchestra.

Un direttore attendista, che sa benissimo quanto deve crescere la suspense prima di farla esplodere in un catartico spavento, ma non rende mai questi momenti di attesa funzionali al semplice jumpscare, anzi li riempie di significato, li rende entusiasmanti e terrificanti anche nella loro pacatezza. È una questione di punto di vista, di sguardi, di fotografia, che in questo caso ama tantissimo il buio pesto e la penombra. Si capisce quasi subito che la misteriosa bambola che giace immobile nella stanza della defunta figlia dei Mullins è la fonte di qualcosa di malvagio, ma laddove il film racconta una storia puramente classica e lineare, si dimostra sorprendente nel confonderti, nel non farti capire bene dove indirizzare lo sguardo, cosa succederà, come e perché. Infatti la bambola non è che un diversivo, è la fonte di un male non così scontato e identificabile. Non prenderà semplicemente vita come Chuck (la bambola assassina) per infilzarti con un coltellaccio. No. In questa bambola si annida un male molto più subdolo e ambiguo. Ma il bello di  Annabelle 2: Creation è che non per questo si dimostra infine un “coito interrotto”, fatto solo di suggestioni e tensioni irrealizzate. C’è molto di cui divertirsi per l’amante dell’horror dal palato fine. Il paranormale nella villa di Sandemberg è ottimamente realizzato e terrorizza le giovanissime abitanti della casa a ragion veduta. Ancora una volta, la prevedibilità di certe situazioni, non ne smorzano l’effetto finale grazie a una buona realizzazione e il saper dosare perfettamente momenti di quiete e panico, luce e oscurità, a volte con combinazioni di questi elementi inaspettate, che non fanno altro che lasciare lo spettatore ancora più teso, disorientandolo e non facendogli capire bene quando potersi rilassare.

Eppure, Annabelle 2.Creation non riesce a mantenersi armonioso fino alla fine. Quando demoni, fantasmi, e possessioni decidono di rubare con prepotenza spazio al racconto, ai personaggi, alle atmosfere, tutto diventa un filino troppo caotico e surreale, e l’inquietudine cede il passo ad un’ultima parte del film che è un po’ un roller coaster tra immagini di violenza ben più esplicita che in precedenza (senza diventare però mai puro “gore”), urla, fugoni per la salvezza e nascondini frenetici con il demonio. Momenti scalpitanti legittimi ma che necessitavano forse una messa in scena più pacata e con “l’eleganza” che contraddistingueva la pellicola fino a quel momento.

Verdetto

Annabelle 2: Creation è buon cinema. E il cinema migliore è quello che sa raccontare e creare empatia attraverso le immagini e il movimento della macchina da presa. Senza trucchetti o espedienti pretestuosi. Negli horror fare questo è fondamentale e difficilissimo, e non a caso infatti, spesso se ne salvano pochissimi oggigiorno. Sandberg, pur non riuscendo ancora a toccare vette eccellenti, dimostra un ottimo potenziale in questo, e rende Annabelle 2 un buon horror da vivere, che riesce in maniera abbastanza intrigare ed entusiasmare quasi fino alla fine, grazie alla potenza delle immagini. Peccato per qualche piccola ingenuità di troppo nel comportamento dei personaggi, in questo caso in parte stemperata dalla loro giovane età. E peccato anche per una parte finale sicuramente “liberatoria” ma meno brillante del resto del film. Non parlo comunque di un epilogo deludente o pessimo, attenzione. Semmai, quello che dispiace, per quanto sia una cosa quasi ininfluente, è che il film si ricolleghi per forza a quella ciofeca del prequel, quando campava benissimo nel suo individualismo stilistico e narrativo, senza aver bisogno di appoggiarsi a nulla, e capace di camminare a testa alta tra gli horror degli ultimi tempi.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!