Oggi vi proponiamo la lunga chiacchierata avuta con uno degli autori e organizzatori del Festival ARF, nonché poliedrico artista che milita nel campo del fumetto, animazione, cinema e televisione da anni: Mauro Uzzeo. 

Sei uno degli autori di questo fantastico evento, cosa ci puoi dire della sua genesi?

Sono davvero emozionato nel dirvi cosa sia l’ARF perché fino a due giorni fa ne parlavamo solo noi che lo stavamo organizzando, più qualcuno dei nostri amici e colleghi online per pubblicizzarci sulla fiducia. All’inizio ne abbiamo parlato con molti all’interno del nostro ambiente, raccontando quello che avevamo in mente, la risposta è stata bellissima, molti hanno creduto subito in quello che stavamo facendo e hanno aderito spontaneamente. Da Gipi che ci ha fatto la locandina gratis, a tutti gli autori che voi vedete qui e che sono venuti a loro spese. Non avevamo un budget sufficiente per realizzare il festival e quindi avevamo invitato solo autori romani, evitando di pagare eventuali trasferte e pensando più a questa prima edizione come a un’edizione beta. Ci siamo accorti però che più ci dedicavamo a questo ARF, più ci arrivavano richieste da autori che magari abitavano lontano, come ad esempio Alberto Madrigal che vive a Berlino, chiedendoci di poter partecipare e di poter far parte di questa iniziativa, a loro spese ovviamente. Lui come molti altri, tutti gli autori che in pratica vedete e che non sono di Roma, sono venuti quindi pagando di tasca propria. È una cosa incredibile.

Rappresenta secondo te un modo nuovo di concepire una convention di fumetti?

Ringo-1_72-620x350C’era da parte di tutti la volontà non tanto di fare una cosa nuova, ma di tornare a qualcosa che c’era e che negli anni si è perso. Quando ho cominciato ad andare io alle fiere del fumetto, nel lontano 1992, a 12-13 anni, erano così: c’erano gli editori, gli autori, gli incontri e le librerie, basta. Poi negli anni si sono aggiunti i cosplay, i videogiochi, gli youtuber e le fiere del fumetto si sono trasformate in eventi multiculturali, che per carità, non è che sia necessariamente un difetto, ma c’è stata una trasformazione che ha tolto sempre più centralità al fumetto per venire incontro a questo aspetto multiculturale, che sicuramente ha più presa sul pubblico. Fiere come Lucca o il Comicon sono arrivate ad avere un riscontro di presenze enorme, e se loro riuscivano comunque a non perdere di vista il fumetto, portando sempre momenti di grande attenzione sul fumetto stesso, di contro qui a Roma lamentavamo un po’ questa mancanza. Il Romics infatti, pur essendo un festival importantissimo sta dando purtroppo sempre meno spazio al fumetto. Noi allora abbiamo pensato di riempire questo buco: poter parlare del fumetto, da chi il fumetto lo fa, lo produce e lo legge e vedere se si tratta di qualcosa di abbastanza “potente” da poter reggere questo tipo di festival. Noi crediamo di sì. Lo è stato per tanti anni, e oggi nel bene o nel male tutti parlano di fumetti. Fenomeni come Zerocalcare, Gipi o Sio portano l’attenzione sul fumetto, senza scordare che Tex vende ancora 200.000 copie in edicola tutti i mesi, sia con gli inediti che con le ristampe. Tex di Repubblica ad esempio è stato un successo incredibile e proponeva storie di 60 anni fa.

In Italia tantissime persone leggono fumetti, addirittura più dei libri, ma se per questi ultimi ci sono festival dedicati, come Più Libri più Liberi dove si dà tantissimo spazio alla letteratura o ai nuovi autori, nell’ambito del fumetto sembra sempre una carnevalata. Noi vogliamo dire che il fumetto è cultura, è arte, è un mezzo espressivo potentissimo e per questo lo vogliamo festeggiare. Senza snobbismi, lo scopo dell’ARF è quello di riportare questo media ad essere il protagonista. Se girate per la fiera infatti troverete Gipi, Crepax, Zerocalcare, Disney con PK, Miyazaki, super eroi americani; insomma l’idea è quella di coniugare gli indipendenti con il mainstream per parlare di tutto quello che è fumetto. Ci stiamo provando, ma manca ancora molto: io ad esempio vorrei dare molto più spazio ai manga che in questa edizione scarseggiano, da una parte perché abbiamo potuto invitare solo autori nostrani, dall’altra perché ci è mancato il giusto tempo. Lo abbiamo organizzato in soli cinque mesi, ma abbiamo fatto un incontro su Miyazaki stamattina che è stato seguitissimo. Io però voglio fare ancora di più, spero che in ARF 2016 ci sarà tutto quello che non c’è in questo festival e molto di più.

Sei uno scrittore, uno sceneggiatore e un regista. Una figura quindi assolutamente poliedrica. Quando hai iniziato a muovere i primi passi in questo campo?

Credo che abbia tutto a che fare con una serie di problemi psichiatrici legati al precariato (ride NdR). Ho cominciato da ragazzino a scrivere storie, per me l’importante è poter raccontare delle cose, e fin da piccolo ero affascinato dalle varie possibilità che ti dà il racconto. Se mi siedo attorno a un fuoco e posso raccontare una storia a delle persone intorno a me, so che ho degli strumenti; se invece sto facendo un film so che ne ho altri; se sto creando un fumetto, so che ne ho altri ancora. Analizzare tutte queste forme di linguaggio per me è sempre stato un piacere, una scoperta. Credo che il contenuto sia molto affine alla forma del racconto, per cui da una parte ho cominciato ad interessarmi di fumetto e di cinema, dall’altra ho raggiunto la consapevolezza che viviamo in un paese in cui se scegli di voler vivere lavorando in campo artistico, sai che dovrai sbatterti parecchio.

Uzzeo-SantucciHo comunque cominciato con il fumetto – che è la mia prima passione – molto presto, intorno ai 17 anni, pubblicando per una piccola casa editrice. Ovviamente non ci campavo con quelle cose, e io sono uno che a 20 anni è andato via di casa con l’intenzione di cavarsela con le proprie forze, per cui mentre provavo ad emergere con il fumetto, cercavo lavoro nel campo della pubblicità, cortometraggi o cose simili. Negli anni ho continuato in questa direzione fino al giorno in cui mi sono accorto che avevo in mano tre mestieri invece che uno, cosa che mi fece notare Tito Faraci che al telefono, facendo una battuta, mi disse: “Ma come diavolo fate? Una volta quando avevo la tua età, esisteva il lavoro del fumettista, dello sceneggiatore cinematografico… invece questa nuova generazione fa praticamente tutto!” e io quel giorno ho capito effettivamente che facevo tre lavori invece che uno, e non potrebbe essere diversamente.

Anche questo festival per me è un modo di raccontare una scena, un momento del fumetto in Italia, e non avrei mai pensato di farne uno fino al dicembre dell’anno scorso. Facevo solo parte della maggioranza che si lamentava del fatto che un festival così ancora non esistesse. Poi è arrivata l’opportunità proprio da questo posto, c’erano dei buchi di date per cui volendo si poteva sfruttare questo luogo a poco prezzo. Ci siamo guardati in faccia, eravamo in cinque, e ci siamo detti: “proviamoci!“, e siamo riusciti a metterci dentro tutto quello che avremmo voluto da un festival del fumetto, coinvolgendo anche Luca Raffaelli che per noi era un punto di riferimento. Lui stesso aveva fatto un festival legato all’animazione che si chiamava Castelli Animati proprio ai Castelli Romani, e fu fantastico: in quattro giorni sono arrivati l’autore di Futurama e dei Simpson, McKean che presentava Mirror Mask in anteprima mondiale, è arrivato persino Paul McCartney che curava la colonna sonora di un progetto, era presente lo studio Aardman, presentando addirittura Wallace and Gromit in anteprima. Tu stavi lì ai Castelli Animati, ti sedevi in sala, e c’erano queste personalità incredibili a completa disposizione, che rispondevano alle domande, raccontavano aneddoti… Io ho vinto un premio con un corto animato che ho fatto tantissimi anni fa e il premio me lo ha consegnato Takada, il regista di Una Tomba per le Lucciole e La storia della principessa splendente che appunto era ospite dei Castelli Animati. Ci siamo quindi rivolti a Luca, un grandissimo giornalista legato ai fumetti e all’animazione, e vogliamo seguire l’esempio della sua manifestazione, creare un luogo di aggregazione, mostrando eventi in anteprima e parlando con gli autori. Lui non solo ha accettato di aiutarci, ma lo ha fatto gratis come noi. Ci siamo gemellati con il Comicon che ci ha detto: “se il primo anno riuscite ad andare in pari e non guadagnate nulla ma avete ridato i soldi a tutti, siete i nostri eroi”. E noi ci proviamo.

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Sei uno dei coautori di Orfani e vanti credits in tutte e due le stagioni. Qual è stata la sfida più difficile nel realizzare un fumetto di questo genere?

il-numero-quattro-orfani-ringo-gennaio-uzzeo-620x350Roberto Recchioni è stato molto furbo, io conoscevo tutto il progetto, lavorando con lui da anni conosciamo entrambi i rispettivi progetti, ci rimbalziamo le idee e ci confrontiamo per sapere se stiamo andando bene. Io oltretutto ho esordito nel 1995 vincendo un concorso con una ministoria disegnata da Emiliano Mammucari, quindi in realtà ci conosciamo tutti da oltre 20 anni, siamo rimasti sempre in contatto, e conoscevo a memoria Orfani. Mentre per la prima stagione ci erano voluti quattro anni per realizzarla, per la seconda c’era solo un anno e mezzo di tempo. A Roberto serviva una mano, lui conosce perfettamente i miei gusti e sa che la fantascienza bellica della prima stagione non è esattamente il mio genere preferito, sa che io sono un autore che magari si adatta a qualsiasi genere, ma che preferisce però le cose meno caciarone, con meno battaglie. Lui sapeva però che una storia ambientata in un’Italia devastata, in cui si poteva parlare del rapporto tra un uomo che doveva imparare a diventare padre con dei figli che non sapeva di avere, molto intima, sarebbe stata una nuova sfida per la Bonelli che non aveva ancora mai affrontato questo genere, e soprattutto sarebbe stata una cosa che mi sarei divertito tantissimo a scrivere. Per questo Roberto ha chiamato me, io mi sono sentito subito molto a mio agio su Ringo, perché è una cosa che mi piace tantissimo, potrei continuare a scrivere Ringo per altri dieci anni. È la storia di un viaggio: mettici tre ragazzini adolescenti, un uomo adulto che si sente di aver fallito su tante cose, una terra come l’Italia che può diventare una metafora di tutto quello che viviamo oggi e ho tutto quello che mi serve.

Sei uno dei celebri componenti dello Studio In Rosso. Qual è il senso di aver messo tanti talenti sotto lo stesso tetto?

La realtà che c’è dietro è molto più “sciocca” di qualsiasi forma di speculazione si possa pensare. Lo Studio In Rosso nasce per un’esigenza pratica. Lo Studio è composto da persone che si conoscono da trent’anni. Io ho fatto il liceo con Giovanni Masi, e insieme facemmo un corso di sceneggiatura tenuto da Lorenzo Bartoli, quando io avevo 15 anni e Giovanni 14. In questo corso c’erano anche Roberto Recchioni, Elisabetta Melaranci la disegnatrice Disney, e un altro paio di persone. Noi ci conosciamo dall’epoca e abbiamo continuato ad essere amici. Non so quale sia stata la casualità che ha fatto sì che rimanessimo in contatto per 25 anni e che nel gruppo di fossero allo stesso tempo così tanti talenti. Al di là del fatto che Giovanni Masi è un mio amico, io lo reputo davvero uno scrittore incredibile. Federico Rossi Edigri, che ora ha esordito come autore completo, è una persona su cui noi puntiamo da 25 anni, lo conosco dato che suo padre aveva un negozio di musica nel mio paese (i Castelli Romani), lui era troppo piccolo, ma il padre mi diceva: sai mio figlio disegna, vuoi guardare i suoi lavori? Vidi i primi disegni di Federico che allora aveva 11 anni ed erano già bellissimi, a 12 anni era già un genio assoluto. Negli anni successivi, frequentandosi da coetanei, la prima cosa che ho fatto quando nel 2006 ho creato lo Studio Rainbow CGI in cui facevamo animazione, è stata portarci dentro lui, e per me è stata la svolta. Era un disegnatore eccezionale ma per timidezza non mostrava mai i suoi lavori a nessuno, prima che finisse a fare altro l’ho portato in Rainbow e l’ho fatto conoscere anche a Roberto e agli altri. Quindi l’idea dello Studio In Rosso nasce dal semplice fatto che siamo tutti amici che in un modo o nell’altro lavoriamo a progetti diversi tutti insieme, perciò perché non mettersi tutti sotto lo stesso tetto in maniera tale da snellire la produzione e rendere tutto il lavoro più piacevole?! È una questione di pura comodità: abbiamo trovato un posto dove paghiamo poco e le riunioni di lavoro non le dobbiamo pianificare perché già siamo lì.

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In quanto studio, quali sono i progetti a cui stai lavorando? E quelli che porti avanti in solitaria?

Tra i miei prossimi progetti c’è innanzitutto quello di concludere le storie di Dylan Dog che sto scrivendo, e farne di nuove. Voglio concludere inoltre un volume molto speciale per la Bonelli che è ancora super top secret, ma a cui sto lavorando con Roberto Recchioni. C’è poi una graphic novel per la BAO che mi ha dimostrato il suo interesse e a cui voglio ricambiare dandogli la storia più bella della mia vita, e un film di cui però non posso dire nulla chiaramente. In questo periodo ho scritto le sceneggiature per tre film, due di queste tre sono in produzione, c’è poi un quarto film che sto scrivendo e che se tutto va bene sarà il mio esordio alla regia in un lungometraggio.

Un’ultima cosa prima di andare: quanto sono importanti queste manifestazione per far incontrare autori esordienti e case editrici? E questa nuova declinazione di convention fumettistica è stata vincente da questo punto di vista?

mauro uzzeiQuando abbiamo fatto le prime riunioni per capire cosa mettere all’interno dell’ARF, dopo aver incluso delle mostre interessanti, uno spazio per la zona esposizione e mercato, e gli incontri con gli autori, abbiamo detto che volevamo dare delle importanti opportunità di lavoro per chi provasse ad entrare in questo campo. La mia generazione è cresciuta con autori che ci dicevano che era un lavoro finito e che non c’era più spazio per nessuno, noi invece crediamo che sia giusto dare questa opportunità che noi non abbiamo avuto. Non avevamo Facebook, per noi avvicinare un autore era un evento, una cosa vissuta con molta emozione. A me capita invece che mi scrivono su Facebook alle tre di notte e mi dicono: “aò leggi un po’ questo soggetto mio?” Gente sconosciuta con cui non ho mai parlato e che magari, qualche ora dopo, se non rispondo mi scrive: “vabbè certo te la tiri un po’ eh?”. Al di là di questi “psicopatici da Facebook”, esistono un sacco di persone che si sbattono e magari, anche per il fatto che sono nati in paesini un po’ sperduti e avendo difficoltà nel presentarsi alle case editrici, rischiano di non emergere. Quindi la prima cosa che ci siamo imposti è stata quella di far emergere un concetto di opportunità di lavoro che sia concreto. Abbiamo perciò contattato tutte le più importanti case editrici italiane, da Bonelli a BD, Coconino, Editoriale Aurea, ecc. Tutte con specifiche competenze, una nel fumetto popolare, una in quello più di nicchia, una in quello più indipendente, e abbiamo chiesto loro che ci fosse data la possibilità di far incontrare degli esordienti in degli incontri uno a uno. Quindi non un tavolo dove stanno seduti tutti e uno solo dice cosa vuole fare: noi vogliamo proprio che le case editrici si siedano in un salottino con la persona che si vuole fare esaminare per almeno 10 minuti in cui l’artista può proporsi, senza distrazioni. La cosa bella è che ci hanno detto tutte di sì. Tutte hanno mandato dei loro importanti esponenti, dicendoci anche esattamente cosa cercavano. La Bonelli ad esempio cercava disegnatori e per la prima volta coloristi, altri come l’Editoriale Aurea invece cercavano dei soggettisti e delle sceneggiature per pubblicare magari qualcosa su Lanciostory e Skorpio. Abbiamo fatto questi annunci e abbiamo avuto un successo clamoroso, ci sono arrivate infatti più di 1600 richieste e proposte di prenotazioni con tutte queste case editrici.

Dopo aver esultato per questa cosa, abbiamo dovuto però scremare questa moltitudine di candidature, perché gli editori non avrebbero mai avuto il tempo di incontrare 1600 persone, quindi in base alle case editrici con cui ciascuno di noi ha già lavorato, ce le siamo divisi. Io mi sono occupato di selezionare i candidati per Bonelli e per Editoriale Aurea perché già so che se ad esempio mandi delle tavole stile super eroistico alla Bonelli non gliene frega niente dato che pubblica cose diverse. Abbiamo fatto una grande preselezione, tirandone fuori alla fine 350 candidati che proprio in questi giorni stanno incontrando le 12 case editrici. E proprio di recente è venuto un ragazzo da me e mi ha detto: “mi hanno preso per una cosa su Skorpio, grazie!” e mi ha abbracciato. Questa è stata proprio la cosa più bella del mondo, e sono proprio contento di averne fatto parte.

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.