È capitato a tutti di pensare almeno una volta di cambiare aria, di trasferirsi, di lasciare l’atmosfera accogliente e le quattro mura domestiche a cui si è abituati per fare un salto nel vuoto: abbandonare la propria comfort zone per qualcosa di nuovo. Un posto più eccitante, dove chiunque può essere se  stesso senza curarsi delle opinioni altrui, dove essere liberi rappresenta la norma e le opportunità sono all’ordine del giorno. Immaginate quindi di raccogliere il vostro coraggio, metterlo in valigia insieme ai vostri vestiti e a qualcosa di assolutamente particolare e partire alla volta di questa meta: Berlino.
Ma se la città non fosse all’altezza delle vostre aspettative? Se il sogno cominciasse a rivelare così tanti difetti da rendere tutto assurdamente complicato? Questa è la realtà descritta dai dialoghi di Mathilde Ramadier e dipinta dai disegni di Alberto Madrigal in Berlino 2.0, edito da Bao Publishing.

Il volume racconta la storia di Margot, ragazza francese di venticinque anni che a ventitré compie il grande passo di trasferirsi a Berlino. Soffocata da una Parigi troppo costosa e con nessuna possibilità lavorativa, messa quindi in valigia la sua palla stroboscopica, nel 2011 decide di emigrare nella città tedesca attirata, come gran parte dei giovani dell’epoca, dal fascino seducente della capitale. Il piano era semplice: completare la tesi nella speranza di ottenere un dottorato in filosofia, accontentandosi di qualsiasi lavoro si trovi. Ma le cose sono così facili come sembra e, a distanza di due anni, dopo aver perfezionato una lingua così distante, le condizioni di Margot sono ben lontane dal sogno che l’aveva spinta a trasferirsi lontana da casa. In una Berlino del 2013 dalle mille contraddizioni, dove la libertà prevale sulla realtà e i ritmi di lavoro sono più umani, ma non è garantito un salario minimo e la disoccupazione è elevatissima, riuscirà la nostra protagonista a coronare i propri sogni o dovrà accontentarsi dell’ennesimo finale agrodolce?

In Berlino 2.0 le vicende ruotano attorno alla figura della francese di ampie vedute Margot, con il suo spirito intraprendente e sempre pronta a cercare una soluzione agli errori commessi a causa dell’inesperienza, in un mondo che vortica estremamente veloce anche in un posto in cui non dovrebbe. Vedremo la ragazza affrontare l’universo lavorativo in un paese straniero, destreggiandosi tra start-up, contratti da freelancer e minijob ognuno con le proprie insidie e trappole. Tutto ciò però non le impedirà di circondarsi di amici appartenenti alla scena artistica e universitaria locale, persone che faranno da tramite per farla integrare in nuove situazioni e con altre persone, in un continuo mescolarsi di culture che la introdurranno a concetti quali: la weg bier (birra da passeggio), il weinschorle (mix di vino e gazzosa) e le feste in casa senza le scarpe per non sporcare il pavimento. Con una flessibilità invidiabile, motivata sia dall’amore per ciò che rappresenta la capitale che dal puro istinto di sopravvivenza, Margot si destreggerà in questo mondo libertino ma estremamente civile in cui i punk si fermano al semaforo e ai turisti eleganti viene negato l’accesso ai club di musica techno.

Un altro “personaggio” che potrebbe andarsi a configurare come un vero e proprio antagonista nelle dinamiche della storia, è il lavoro: scarso, sfuggente, (quasi sempre) insoddisfacente, mal pagato e in alcuni casi anche contrario alla morale della protagonista. Nel volume, la prospettiva di un impiego fisso e dignitoso è sempre più difficile da inquadrare in una realtà fin troppo piena di spunti creativi e in continuo mutamento, andandosi quasi a confondere nella leggenda. La Germania ritratta impietosamente nella storia è priva di una riforma sul lavoro che garantisca un minimo garantito e condizioni di impiego più sicure per i dipendenti, ma allo stesso tempo applica rigide regolamentazioni sulle assicurazioni al punto che unicamente consulenti specializzati sono in grado di trovare scappatoie al sistema configurato come un’immensa trappola per gli sprovveduti.

Sebbene sia quindi spesso un luogo ostile a causa della sovrastruttura costituita dal mondo del lavoro, Berlino è dipinta egregiamente e sprizza vitalità in ogni tavola: da quelle più semplici in cui sono raffigurati i personaggi impegnati nei dialoghi a quelle contenenti le ambientazioni. La moltitudine culturale e la libertà di espressione è quasi palpabile in ogni pagina, fortemente aiutata da i luoghi in cui si svolge la vicenda, ma allo stesso tempo assai realistica grazie ai dettagli socio-culturali forniti periodicamente.

Verdetto:

Berlino 2.0 è una storia che prende e coinvolge, la caratterizzazione di Margot e la sua apertura verso l’universo berlinese, così diverso da quello parigino, non può fare altro che trascinare il lettore all’interno del mondo libero e audace della capitale. La sua sfortunata ricerca di un lavoro, a cui si contrappongono le interessantissime esperienze della sua vita, vanno a dare spessore a una storia che risulterebbe altrimenti stressante e frustrante anche dal punto di vista di uno spettatore esterno, sempre in attesa di una vittoria di Margot nei confronti dell’ambiente che la circonda. Manca però qualcosa, Mathilde Ramadier non osa con la sua creatura ma, anzi, si limita semplicemente a disseminare qui e lì degli elementi particolari (vedi la sfera stroboscopica), senza tuttavia darci un particolare peso nell’avventura, rendendoli a conti fatti dei semplici dettagli di sfondo. In definitiva, Berlino 2.0 è una moderna lotta con i mulini a vento, ma che avrebbe potuto dare di più.

Francesco Di Lillo
Costantemente impegnato nel completamento della sua personalissima lista di 100 cose da fare prima di morire, adora tutto ciò che riguarda i videogames e la tecnologia. Sogna una vita da persona user e detiene la cintura nera in GIF, canzoni emo & immagini tristi.