“Pezzi da otto! Pezzi da otto!”

Dopo quasi un anno esatto dalla fine della seconda stagione, torna sui nostri schermi (in contemporanea con quelli americani) Black Sails, con la sua terza esplosiva stagione. Ora, prima di cominciare, è bene dire un paio di cose: a Black Sails vanno dati dei meriti di coraggio che, a dispetto del resto del panorama televisivo (avete o no la sensazione che le cose si stiano un po’ “appiattendo”?), il serial ha dimostrato sin dalla prima stagione. Il tema della pirateria cinematografica e televisiva è ormai lontano dai cuori degli spettatori, dopo quello che fu il boom dei vari Pirati dei Caraibi (e in minor misura grazie ad Assassin’s Creed: Black Flag) ma nonostante ciò, Jonathan E. Steinberg e Robert Levine, autori della serie, sono riusciti a costruire una trama immersa nei colori dei Caraibi, con personaggi sfaccettati e carismatici ed il cui ulteriore merito è quello di essere l’ambizioso prequel di uno dei romanzi fondamentali sia della letteratura d’avventura, che del tema piratesco: L’Isola del Tesoro.

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E così, senza neanche aver portato a termine la seconda stagione, complice degli ascolti decisamente buoni, Starz ha ordinato agli showrunner la produzione di altre due stagione tra cui proprio la terza da poco cominciata. Dopo un lungo e doveroso preambolo, ritroviamo allora i personaggi che ci hanno accompagnato fino ad oggi, ritrovandoli non dove le vicende si erano interrotte, ma dopo un salto temporale di alcuni mesi, in parte spiegati nel corso dei vari dialoghi e mai direttamente mostrati. La scelta è curiosa ma d’effetto e non spezza il ritmo di quella che è stata una narrazione sempre molto serrata ma, anzi, lo rinvigorisce, complice un tavoliere strategico completamente riconfigurato di cui verremo pian piano a conoscenza. Scopriamo, ad esempio, che in previsione della guerra che investirà Nassau l’intero contingente piratesco dell’isola si è riassettato, creando un’alleanza ad hoc che ha, nel suo fulcro, il triumvirato composto da Jack Rackam, Charles Vane e il Capitano Flint.

“Quindici uomini sulla cassa del morto | Io-ho-ho, e una bottiglia di rum!”

Proprio quest’ultimo è il personaggio che più ha preso le distanze dal suo recente passato cominciando il suo percorso da pirata violento e sanguinario (come verrà poi descritto nel libro di Stevenson) a caccia di tutti gli uomini di legge dei Caraibi “rei” di aver punito i pirati condannandoli al gabbio o alla morte. Avevamo lasciato Flint alla fine della seconda stagione ancora scosso dalla morte della sua compagna e amica Miranda Barlowe (Dio solo sa quanto sia grato agli autori per la dipartita della tediosa palla al piede), e lo ritroviamo ora più sanguinario e violento che mai, deciso più che mai a imporre lo spettro della pirateria in ogni dove, così da scoraggiare eventuali atti di forza nei confronti di Nassau. Una Nassau, ricordiamolo, che paga il prezzo di una battaglia intestina che troppo a lungo l’ha divisa ed i cui strascichi ancora si ripercuotono sui personaggi grazie soprattutto al nuovo ruolo del Capitano Hornigold, di nuovo al servizio del Re nel tentativo, forse vano, di concedere il perdono ai pirati in nome della Corona.

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Ma non solo, a complicare il tutto ci sono ancora il tesoro dell’Orca de Lima, gelosamente stipato a Nassau, l’arresto e l’espatrio forzato di Eleanor Guthrie e il difficile ruolo di Max, che da prostituta senza futuro è, di fatto, la nuova matrona dell’Isola ed il nuovo ruolo che John Silver (anch’egli ormai vicinissimo all’aderenza con la sua controparte letteraria) si è ritagliato come quartiermastro di Flint. In questo ciclone di eventi dall’equilibrio precario, il serial ha poi deciso di rincarare la dose, portando nel cast un’aggiunta tanto doverosa quanto ingombrante, quella di Edward Teach, alias Barbanera (Ray Stevenson), certamente il pirata più famoso dell’epoca, nonché tra i più caratteristici e spietati. Nei 50 minuti buoni, Teach entra in gioco in meno di quattro minuti di visione divisi tra inizio e fine episodio, tracciando con poche battute, quello che è il profilo di un pirata determinato, spietato e deciso. Teach, che tra le altre cose è storicamente accreditato come uno dei fondatori di Nassau (insieme ad Hornigold), avrà certamente un ruolo fondamentale nell’incombente battaglia tra L’Impero Inglese e i pirati e siam curiosi di scoprire come si interfaccerà sia ad Hornigold (che, ricordiamolo, ora patteggia per la Corona) sia a Charles Vane, personaggio che Teach definisce “un vecchio amico” e che, storicamente, fu effettivamente protagonista di svariate scorribande con Barbanera.

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Insomma, difficile parlare dell’inizio di stagione di Black Sails 3 senza lasciarsi a spoiler e congetture. Quello che è chiaro è che lo show ha tutte le carte in regola per avvinghiare, stupire e conquistare nel corso di questa terza stagione. A sorprendere, nonostante i due anni alle spalle, è ancora una volta il cast, dalle capacità a dir poco camaleontiche ma capace, comunque, di restare fedele alla traccia che i personaggi hanno stabilito nel corso del primo arco narrativo. Al di là della trama, dei giochi della scacchiera politica, e di quant’altro si possa vedere nel serial (tette comprese) a fare la differenza sono sempre e comunque i personaggi, nella loro ambigua umanità e nella loro determinata voglia di “lasciare un segno nella storia”. Un leit motiv che partendo dal Capitano Flint della prima stagione, sembra ormai essersi radicato in tutti i personaggi, tenendo salda, e con abilità, la squisita e caratteristica ambiguità di ognuno degli attanti.

Cosa ci è piaciuto?

Lo show mantiene, dopo tre anni, lo stesso ritmo di sempre, riuscendo anche a ricostruire i personaggi principali senza destrutturarli, ma riconfigurandoli in modo realistico in base agli eventi precedenti. La presenza di una personalità forte come quella di Barbanera, inoltre, mette pepe ad una vicenda che è di per sé già ricca di azione ed emozioni.

Cosa non ci è piaciuto?

Forse, ma è un cavillo, ci sarebbe piaciuto vedere qualche istante dei mesi trascorsi tra questa stagione e la precedente. Non siamo certi che l’effetto sarebbe stato lo stesso, ma per lo spettatore lontano da un anno da Nassau, recuperare gli eventi con, in mezzo, un piccolo “buco” (che buco non è) narrativo, è inizialmente spiazzante, quasi non si stesse guardando un primo episodio.

Continueremo a guardarlo?

Si, per una mezza infinità di motivi, non ultimo quello di avere alle spalle un cast competente e capace, che unito ad una storia in continuo crescendo, ha riportato il tema piratesco a quello che è uno status che ormai sembra avvezzo solo al puro genere fantasy: l’epica.