“…mi assalgono gli incubi più paurosi quando odo i cavalloni tuonare lungo la costa”

Mi riesce difficile comprendere le ragioni dell’insuccesso di Black Sails. Pardon, forse “insuccesso” è un parolone, ma a ben vedere la serie Starz non sembra aver ricevuto la stessa attenzione mediatica di tante altre produzioni di spessore. Sarà stata forse la sua prima stagione che, come fu per Spartacus (sempre prodotto da Starz) aveva dalla sua scene molto forti sia per violenza che per contenuti sessualmente espliciti, ad aver scoraggiato il più degli spettatori. Relegando forse lo show ad un trastullo per pochi feticisti.

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Eppure Black Sails non è semplicemente un ricettacolo per gli arrapati, che cercano in certe serie adulte i motivi per guardare una tetta in più. Black Sails è un serial con tutti i crismi, con degli attori magnificamente a proprio agio nei loro rispettivi ruoli e che, soprattutto, si prende – come ho spesso detto – la briga di rifarsi ad una vera e propria pietra miliare della letteratura d’avventura: L’Isola del Tesoro. Il tutto senza che qualcosa sia troppo fuori posto. Certo la storia ha sempre quel tono romanzato che non sembra proprio a suo agio con il genere documentaristico, ma in fondo vi sbagliate. Perché le tinte di questo show hanno i colori caldi e accesi della pirateria moderna e tinteggiano un quadro stupendo, spesso perfetto, dei moti e delle rivoluzioni che animarono Nassau e le Bahamas a partire dal diciassettesimo secolo. Arrivati all’ultima stagione, siamo giunti a questo primo episodio con una certa attesa, complice il tavoliere messo in scena dal serial, che vedeva i pirati uniti sotto un unico intento, riconquistare Nassau e, soprattutto, sotto un unico Re.
E siamo rimasti delusi? No, affatto. La qual cosa ci rende persino più felici perché questa serie, nella modesta opinione di chi vi scrive, non ha davvero deluso mai.

La guerra per Nassau

Avevamo lasciato i pirati di Nassau attorno ad un tavolo. Un tavolo su cui si erano gettate le basi per la leggenda del Re dei pirati. Quell’uomo, neanche con troppo stupore, era stato trovato in John Silver, che dal suo ritorno sotto l’ala del Capitano Flint si era dimostrato un uomo da temere e rispettare, ancor più di quanto non avesse dimostrato in passato. Silver, ora “Long” John, come ben lo conosciamo tramite il mito letterario, è una leggenda con tutti i crismi. Ma è un uomo, un uomo fragile, la cui devozione per la causa si divide con la medesima devozione che prova per Flint. La qual cosa, come immaginerete, non farà altro che causare contrasti. Non è qualcosa di nuovo penserete, lo show ci ha già proposto un’aspra rivalità tra i due. Ma vi sbagliate, qui è diverso. È Silver contro sé stesso, incapace di comprendere i sentimenti che lo legano al suo Capitano che, neanche a dirlo, si trova nella stessa scomoda – e nuova – posizione. Se Silver resta dunque un’incognita, quello che rimane saldamente al suo posto è Flint. Un uomo odiato, temuto, eppure charmante nel suo modo di imporsi sull’opinione comune. Flint capisce che il mondo sta cambiando, che ormai i giochi sono vicini alla fine. Non bastasse la morte di Vane che ancora riecheggia nella mente di molti, Flint meglio di tutti percepisce il peso del futuro, temendo – e questo è evidente – di non farne parte. Di non avere più un posto per sé. Del resto, arrivati alla quarta stagione, egli è, per i motivi più diversi, un uomo odiato, che in molti hanno cercato di uccidere, e che come saprete è stato il vero e proprio motore degli eventi che hanno portato alla divisione di Nassau. Ma Flint ha una visione. Chiara, limpida e con la tenacia che lo contraddistingue cercherà di portarla a compimento, Silver o meno.

L’intero episodio viaggia sul tema della divisione. Nonostante i pirati siano apparentemente compatti sotto l’egida di un (falso) Re, gli schieramenti risultano meno coesi che mai. Prima tra gli stessi pirati, le cui bandiere hanno navigato divise in lungo e in largo tra le isole tropicali, e che ora hanno difficoltà nel collaborare nonostante la causa comune; e poi tra gli uomini tutti, divisi tra quegli stessi pirati (ora malamente uniti) e i sudditi della Corona Inglese, capeggiati dal temibile Woods Rogers, prima corsaro e oggi ufficialmente Governatore Reale delle Bahamas. Abbiamo vissuto l’intera terza stagione nell’attesa della guerra, con i pirati alla ricerca di nuovi alleati con cui fronteggiare l’ineguagliabile potenza militare inglese, ed ora la guerra è arrivata. Coinvolgendo tutti: pirati, schiavi, uomini liberi.

Si apre così la quarta stagione di Black Sails. L’ultima stagione. All’insegna del sangue, della morte e dei giochi di potere che da sempre sono alla base del destino di Nassau. A fronte di un budget alto, ma non elevatissimo, è sorprendente come questo primo episodio metta in scena uno straordinario stralcio di guerra in mare, con i vascelli pirata comandati da Flint, Rackam e Barbanera intenti nell’improbabile espugnazione delle coste dell’isola. La feroce battaglia che ne segue frammenterà, in modi diversi, ambo le fazioni e metterà al centro di gran parte dell’episodio l’ormai amatissimo Silver, sfortunatamente caduto in mare, e impigliatosi in una corda, proprio nel bel mezzo dello scontro.

Silver, prima comprimario, oggi più che mai protagonista, mostra in questo episodio i più diversi lati di sé. Uomo, amico, amante, leggenda. Finendo per essere la traccia su cui si muove la rotta dell’intero episodio, che in fin dei conti lo vedrà protagonista per pochissime scene, pur facendoci sentire in modo piuttosto evidente il “peso” della sua assenza. È un gioco di sceneggiatura sottile, che fa sì che lo spettatore empatizzi non tanto con il pirata in sé, ma con la masnada di uomini che, insieme a Billy, ha messo a ferro e fuoco l’isola nei mesi che dividono la fine della precedente stagione dall’inizio di questa. Uomini che gli hanno giurato fedeltà e che gli sono devoti. Gli uomini seguono Silver, sono innamorati della sua leggenda, temono per la sua vita e noi con lui. Pur consci che difficilmente possa morire (per motivi più che ovvi legati al canone letterario), noi si è comunque lì a temere per la sua sorte. L’intero episodio è in tal senso perfettamente bilanciato tra azione e patimento. Tra l’ira che divora il cuore di certi uomini (Billy e Flint), il desiderio di trovare un posto nel mondo che alberga in altri (Rackam e Anne) e le più oscure e illeggibili macchinazioni che governano taluni (Rogers e Barbanera). Un moto ondoso, che trasporta lo spettatore fino alla fine dello show, quando l’episodio raggiunge il suo climax prima della fine. Lasciandoci per una settimana buona nell’attesa del prossimo episodio. Sospesi e sofferenti nella quiete della bonaccia.