Bruno Brindisi è uno dei più grandi disegnatori di Bonelli degli ultimi 30 anni, che ha contribuito in maniera massiccia al successo del personaggio di Dylan Dog ma ha anche dimostrato un vero talento nell’occuparsi di altri storici personaggi come Tex. Lo abbiamo incontrato e intervistato in quel di Carrara Show 2015.

Una volta hai detto: “le mode vanno e vengono ma Dylan resta” credi che per “restare” fosse necessario dare al personaggio nuova vita attraverso quel nuovo ciclo narrativo, inaugurato proprio di recente da Roberto Recchioni? 

Siamo in trasformazione tutti: noi autori, i lettori, e di conseguenza il personaggio non può rimanere uguale a se stesso perché ha delle caratteristiche peculiari che lo diversificano per esempio da Tex, che è rimasto in tanti anni piuttosto fedele a se stesso. Dylan ha l’obbligo morale di stupire e sorprendere e guai a dare al lettore quello che già si aspetta. Quindi la rivoluzione è dettata da questa regola base, che non è sempre facile da portare avanti. Inoltre era in atto una perdita di lettori che stava preoccupando e che riguardava una fetta maggiore di lettori rispetto ad altre testate Bonelli. Quindi un intervento su Dylan andava fatto perché c’è stata troppa disaffezione. Noto con piacere che questo sta funzionando, per quanto ci sia chi non è d’accordo, e preferiva il vecchio Dylan. C’è comunque da dire che per i nostalgici è stata pensata la serie Maxi Dylan Dog Old Boy, che sono pur sempre 9 numeri all’anno di Dylan ‘vecchia scuola’, quindi ce n’è per tutti i gusti.

Che fumetti leggi? C’è una scuola che ammiri particolarmente o che ti ha influenzato nel corso della sua carriera?

IMG_3001La scuola del mondo, perché non ne esiste una migliore dell’altra, ci sono pregi e difetti in tutte. Per esempio ci sono l’immediatezza e la freschezza grafica della scuola latina, mettendo italiani, spagnoli e argentini un po’ nello stesso calderone. Oppure le soluzioni innovative, tecniche e dinamiche del fumetto giapponese e americano. E poi la perfezione formale, la bellezza editoriale, il colore, il grande formato del fumetto francese. Sono tutte cose che a seconda di quello che devi fare e come devi farlo possono essere un punto di riferimento. Io ho cercato di prendere quello che mi piaceva dagli autori più diversi e di qualsiasi provenienza. Quindi oggi più che mai, avendo la possibilità tramite il web di avere questa finestra su tutto il mondo, è riduttivo e stupido guardare soltanto uno stile o una scuola.

Tu hai lavorato su tanti personaggi importantissimi del fumetto italiano come Tex, Dylan Dog o Nick Raider. Quale pensi sia il più intrigante, e perché?

Non posso che dire Dylan per i motivi a cui accennavo prima. È difficile sorprendere, però la prima cosa che debbono fare gli autori è non annoiarsi e non annoiare il lettore, e con Dylan questo rischio personalmente non c’è mai stato. Al contrario, ho fatto tre storie di Tex e devo dire che erano tutto sommato abbastanza intercambiabili e le situazioni simili. Il western è sicuramente bellissimo ma anche molto codificato con degli stilemi abbastanza ripetitivi. Con Dylan puoi anche cambiare stile ad ogni storia, puoi sperimentare. Il tono stesso delle varie storie è molto diverso. Forse è l’unico personaggio su cui è quasi impossibile annoiarsi. Soprattutto se poi sei ancora appassionato del tuo lavoro come nel mio caso e riesci a entrare nella sceneggiatura allora c’è anche un bel margine di intervento dal punto di vista proprio dell’apporto creativo del disegnatore, che non è soltanto uno che si limita a visualizzare una descrizione altrui ma partecipa attivamente.

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Nel 2004 proprio su Tex ti sei succeduto a Vincenzo Monti per la storia Muddy Creek, l’ultima storia di Monti, che non è stato capace di concludere a causa della sua prematura scomparsa. Ti andrebbe ti raccontarci di questo particolarissimo momento della tua carriera?

Monti purtroppo se n’è andato come mi auguro di andarmene anche io tra moltissimo tempo: con una storia incompiuta sul tavolo, che significa aver lavorato fino all’ultimo giorno della tua vita. Venendo a Muddy Creek, siccome le tavole lasciate da Monti erano davvero belle nonostante fossero le ultime fatte in vita, e meritavano quindi la pubblicazione, c’era necessità che qualcuno ultimasse la storia. Scelsero me. I reali motivi non li conosco bene nemmeno io, sostanzialmente ho ricevuto soltanto una telefonata in cui mi chiesero se avevo voglia di continuare questa storia lasciata incompiuta. Io chiesi soltanto se dovevo imitare o meno lo stile di Monti per evitare uno stacco troppo netto nei disegni da metà albo in poi. Mi dissero: “no no tu puoi disegnare con il tuo stile, noi vorremmo espressamente che te ne occupassi tu quindi non è necessario imitare lo stile“. E questo è quanto. Ho ricevuto le fotocopie della prima parte della storia disegnata, mi sono attenuto allo studio dei  personaggi fatto da Vincenzo Monti, chiaramente sono venuti un po’ diversi perché con il mio stile qualche differenza c’è. Però credo che la storia sia comunque leggibile e che forse un occhio disattento non abbia poi neanche notato lo stacco stilistico.

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Stiamo vivendo un momento del fumetto in cui gli autori nascono con impronta social, per poi finire su carta. Che cosa ne pensi di questo particolare trend?

Tutto il bene possibile perché è una vetrina che se avessimo avuto noi quando abbiamo iniziato 30 anni fa sarebbe stato tutto più comodo e molto meno faticoso. Da una parte cominciare a fare fumetti oggi è comunque difficile: gli standard qualitativi sono più alti, gli editori sono sempre quelli più o meno, e la crisi esiste e si tocca con mano; dall’altra esiste questa nuova opportunità di farsi conoscere e la forza delle idee è più importante della semplice tecnica e bravura applicata al disegno, che era  il nostro cruccio quando abbiamo iniziato noi. Ancora adesso non smettiamo di studiare per capire come disegnare meglio, come correggere gli errori ed essere sempre più realistici quando invece poi in realtà per raccontare una storia e per avere successo a volte bastano dei disegni anche elementari. Se trovi una idea vincente, il disegno e lo stile diventano secondari. Come fu in effetti vincente l’idea di Dylan Dog quasi 30 anni fa.

Oggigiorno molti progetti autoriali anche nel campo dei fumetti vivono o muoiono grazie al supporto del crowdfunding. Cosa ne pensi?

IMG_3019Odio le campagne di raccolta fondi, mi sembra una forma di ‘accattonaggio’. Noi più di 30 anni fa abbiamo iniziato con una rivista autoprodotta e i soldi ce li mettevamo noi che eravamo una decina di persone. Poi il gruppo mano a mano è cresciuto e di conseguenza avevamo più soldi per realizzare una rivista fatta sempre meglio. Non abbiamo rotto le scatole a nessuno, non siamo andati in giro a chiedere soldi.

Nel corso del recente Arf, Bonelli ha annunciato il suo primo fumetto per la linea For Kids. Per la prima volta la casa dell’avventura, si apre all’avventura non per ragazzi ma per giovanissimi. Ti andrebbe di commentare l’iniziativa e di svelarci se vedremo mai un Bruno Brindisi For Kids?

È un po’ difficile perché non è il mio stile di disegno. Per quel che riguarda l’iniziativa c’è da dire che i lettori di fumetti Bonelli sono diventati un po’ troppo ‘adulti’ e lo stesso Sergio Bonelli pensava non fosse il suo settore quello per i bambini. Però se ripenso a quando leggevo Zagor, io ero un bambino, avevo circa 10 anni. Quindi questo pubblico è importante, è quello che ti fa vendere 100.000 copie in edicola. Tra l’altro sono quelli che puoi crescere come lettori, quindi è un tentativo che andava fatto. L’efficacia è da verificare, perché siamo solo all’inizio. Però non può essere che una cosa positiva per me.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!