grim-fandango_gq_16jun11_pr_bQuest’anno, il primo novembre si è tenuto un evento a Napoli chiamato “Dia de los Muertos”. Per la precisione un mercatino, con musica, alcol e gente truccata come delle perfette calacas messicane (per chi non lo sapesse, le calacas sono le classiche raffigurazioni messicane con le quali si festeggia il giorno dei morti, appunto). Da buon nerd, vedere tutte quelle persone così truccate, mi ha riportato alla fine degli anni ’90, quando misi per la prima volta le mani su un titolo ambientato proprio tra queste figure messicane tipiche del giorno dei morti.

275px-Manny_CalaveraParlo ovviamente di Grim Fandango, un’avventura grafica targata Lucas Arts pubblicata nel 1998, ideata dal grandissimo Tim Schafer, programmatore dei primi due capitoli di Monkey Island (non lo dite in giro, ma si deve a lui la vena ironica tipica della saga) e fondatore della odierna Double Fine Productions, casa produttrice di titoli come Psychonauts o il più famoso Brutal LegendGrim Fandango prende a piene mani dalla tradizione messicana, come dicevamo, ma non solo per quanto riguarda il comparto grafico. Secondo la tradizione, ogni anima libera finalmente dal corpo fisico dovrà attraversare la Terra dei Morti per giungere infine al Nono Aldilà, il Paradiso. Ed è proprio nella Terra dei Morti, che Schafer ha voluto ambientare la sua storia.

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16904-grim-fandango-windows-screenshot-it-is-possible-to-die-again (1)Brevemente, il giocatore veste i panni di un semplice impiegato del Dipartimento della Morte, Manuel “Manny” Calavera, incaricato di mietere i defunti nel mondo dei vivi (con falce e mantello, ovviamente) per poi vendere loro, a seconda della condotta in vita, il pacchetto viaggi più vantaggioso possibile per raggiungere il Nono Aldilà, appunto. Licenziato per non essere riuscito a portare a termine una vendita, e impossibilitato quindi a raggiungere il Nono Aldilà, il nostro eroe cercherà di rimediare al suo sbaglio addentrandosi sempre di più in quella che è la migliore, a mio parere, tra le trame noir dei videogiochi, tra intrighi politici, malavita organizzata, nightclub in stile “Casablanca” e tanto humor old style. Già, perché anche nella Terra dei Morti, si può morire…o germogliare, a seconda dei punti di vista.

gfandango1Ma il perfetto mix tra il folklore messicano, con le atmosfere dei migliori film di Humphrey Bogart non è l’unica cosa ben riuscita. Per la prima volta, la Lucas Arts abbandona la SCUMM bar (ne avevamo parlato nello speciale su Monkey Island, ricordate?) a favore di un motore grafico 3D chiamato per l’appunto GrimE, che anche se “montato” su un fondale pre-renderizzato (esattamente come per Resident Evil o Alone in the Dark), non stonava assolutamente e anzi, mandando in pensione il classico sistema di controllo “punta-e-clicca”, permetteva al giocatore di entrare ancora di più nel vivo dell’avventura tramite l’ausilio di un joypad. Anche se all’epoca questa novità lasciò spiazzati molti puristi del genere, nel corso degli anni si rivelò una puntata vincente, anche grazie a titoli come Blade Runner o Gabriel Knight 3. Per non parlare delle musiche, arrangiate da Peter McConnell (padre delle colonne sonore di Day of the Tentacle, Indiana Jones e il destino di Atlantide o il più recente Brutal Legend, giusto per fare un paio di nomi), che viaggiano tra pezzi orchestrali, sonorità sudamericane, fino ad arrivare a classiche composizioni jazz, swing e bepop tipiche degli anni ’50. Ed il tutto mixato così perfettamente, da vincere ai Best PC Music awards e far entrare il gioco nella top ten dei Best PC Game Soundtracks del 1999.

grin_fandangoUn’avventura, quindi, che strizza molto ironicamente l’occhio (ma con gusto) alle atmosfere noir dei grandi classici, e non se ne vergogna. Il gioco è pieno zeppo di citazioni e riferimenti, noir e non; addirittura, nel secondo capitolo vi sembrerà di essere il protagonista di Casablanca, con tanto di “suonala ancora, Sam”, oppure vi ritroverete a dover appoggiare un carismatico personaggio di nome Salvador “Sal” Limones all’urlo di “Viva la revolución!” (vi ricorda forse qualcuno?).
Grim Fandango è uno di quei titoli che ha così tanti pregi, che non solo ha visto una sua ripubblicazione nel 2007 grazie alla Activision, ma che vedrà, stando alle dichiarazioni della Sony durante l’E3 di Giugno e a ciò che la Double Fine ha mostrato all’IndieCade di Ottobre, una versione rimasterizzata per PC e PS4, con tante graditissime novità. In primis, l’aggiunta di una modalità punta-e-clicca, che farà felice gli amanti delle avventure grafiche old style, l’aggiunta dei commenti in-game dei programmatori, un po’ come avvenne per le special edition dei primi due Monkey Island pubblicate nel 2010 ed una colonna sonora interamente curata dalla Melbourne Symphony Orchestra.
grim-13Arriviamo all’angolo delle curiosità, per tutti quei piccoli calacas e mariachi che amano conoscere tutti i piccoli dettagli che hanno portato alla creazione di questo titolo. L’idea originale alla base di Grim Fandango si deve ad una lezione sul folklore presso la UC Berkley alla quale prese parte Tim Schafer; secondo una vecchia tradizione sud americana, i corpi venivano sotterrati con una borsa di monete ben nascosta nella bara, in maniera che non venisse rubata nell’aldilà. Il fatto che potesse esistere la criminalità nella vita dopo la morte, infatti, gli diede le basi da cui partire per la creazione di un titolo noir ambientato nel giorno e nella terra, ovviamente, dei morti. In rete è stato anche pubblicato un documento pdf di 72 pagine contenenti a quanto pare, tutto ciò che è stato tagliato dalla versione finale del titolo; tra i tanti artworks, è possibile ammirare il famoso Dillopede tanto amato dall’attuale fondatore della Double Fine, un incrocio tra un armadillo ed un millepiedi. Parlando di armadilli, la musica che accompagna l’installazione del gioco, è suonata con un “charango”, una specie di chitarra avente la cassa armonica ricavata dal guscio di un armadillo. Dulcis in fundo, Schafer ha tenuto a precisare che la nuova versione in cantiere sarà rimasterizzata, e non un remake, quindi dite addio ad una risoluzione widescreen, perché i filmati verranno mostrati in tutta la loro gloria di un tempo, ovvero con una risoluzione 4:3. So che questo farà storcere il naso a molti di voi, ma quando si parla di artisti come Schafer o Gilbert, tutto può succedere, quindi prendete quest’ultima curiosità con le pinze, prima di (s)fasciarvi la testa!