I segreti della disinformazione – Ottava puntata

Nelle scorse puntate abbiamo visto come si possa fare disinformazione dicendo prevalentemente la verità. L’omissione, la ricontestualizzazione, il giocare sull’equivocità intrinseca del linguaggio naturale, permettono di usare scampoli di verità e di assemblarli in modo da poter trasmettere virtualmente qualsiasi messaggio.

Ma è possibile fare disinformazione dicendo solo e tutta la verità? Sembrerebbe una contraddizione in termini, ma non è così. Ricordiamo qual è il fine ultimo della disinformazione: creare in uno o più individui una qualche certezza che li porti a prendere una determinata decisione. Come si crei questa certezza è del tutto ininfluente, purché ci si riesca. Ecco allora che si può lavorare solo ed esclusivamente sul piano emotivo, tagliando quasi del tutto fuori quello razionale.

Ma come? Innanzi tutto dobbiamo renderci conto che ogni volta che ascoltiamo o leggiamo qualcosa, non è tanto importante cosa sia stato detto o scritto, ma come lo percepiamo. La nostra percezione non è sempre la stessa, a parità di informazione, ma è contingente, cioè dipende dal nostro stato d’animo, dalla situazione corrente, dal contesto in cui siamo immersi.

Un esempio è come si reagisce se siamo da soli, in compagnia di un’altra persona, all’interno di un gruppo o in pubblico. A parità di situazione il nostro modo di essere cambia, perché il contesto ci porta ad adattarci in modo differente. È un meccanismo di sopravvivenza sociale, se vogliamo. Oltre un certo livello diventa ipocrisia, ma è presente in tutti noi, che ne se ne sia coscienti o meno.

Un altro esempio riguarda il modo con il quale percepiamo un evento in funzione del nostro stato d’animo. Vi è mai capitato di essere arrabbiati per un qualche motivo e, di fronte a una situazione che in un altro momento avreste tranquillamente ignorato, reagire con rabbia se non con violenza? O, analogamente, in una circostanza in cui siete particolarmente felici o rilassati, lasciar correre o “prenderla con filosofia” di fronte a qualcosa che altrimenti vi avrebbe come minimo irritato?

Tutta e solo la verità

Bene, il meccanismo fondamentale della disinformazione con “tutta e solo la verità” è questo: creare una leva emotiva.

Per far questo ci sono molti modi. Il primo riguarda la dialettica. Non so quanti di voi abbiano mai letto Shakespeare e in particolare il discorso di Marc’Antonio nel Giulio Cesare. Cesare è morto, e a tradirlo e a ucciderlo, fra gli altri, è stato Marco Giunio Bruto, suo figlio adottivo. Quest’ultimo si rivolge al popolo, convenuto al foro, per spiegare le ragioni del suo gesto e giustificare quindi l’assassinio di Cesare come un atto inteso a fare il bene di Roma. A questo punto interviene Marc’Antonio, che, nel pronunciare l’orazione funebre, riesce a ribaltare il giudizio del popolo su quanto avvenuto e a presentare Bruto e gli altri congiurati come in realtà traditori della patria. Nel far questo Marc’Antonio non accusa mai Bruto, anzi, al contrario, lo presenta come un “uomo d’onore”, ne loda le virtù e la buona fede, ma lo fa creando dubbi e sospetti su tale buona fede e giocando sul classico meccanismo del “è vero ma…”. Il “ma”, il “tuttavia”, sono particelle che insinuano nel discorso il dubbio, giocando più sull’aspetto emotivo che su quello razionale.

Quando diciamo qualcosa di positivo per poi farla seguire da qualcosa di negativo introdotta con una di queste particelle, l’ultima cosa che verrà ricordata è anche l’ultima a essere detta, ovvero quella negativa, anche perché la nostra mente ricorda più facilmente ciò che è negativo rispetto a ciò che è positivo.

Il discorso, tradotto in italiano, inizia più o meno così:

Amici, Romani, compatrioti, prestatemi orecchio; io vengo a seppellire Cesare, non a lodarlo. Il male che gli uomini fanno sopravvive loro; il bene è spesso sepolto con le loro ossa; e così sia di Cesare. Il nobile Bruto v’ha detto che Cesare era ambizioso: se così era, fu un ben grave difetto: e gravemente Cesare ne ha pagato il fio. Qui, col permesso di Bruto e degli altri – ché Bruto è uomo d’onore; così sono tutti, tutti uomini d’onore – io vengo a parlare al funerale di Cesare.

Più volte Marc’Antonio ricorda che Bruto è un uomo d’onore. Questo alza l’aspettativa del popolo nei suoi confronti, evidenziando ancor di più le sue colpe, perché ciò che noi perdoniamo a un uomo qualunque, non siamo disposti a perdonare a chi si presenta come un “puro” e un onesto.

Succede spesso in politica, dove un peccato veniale commesso da un politico che ha fatto dell’onestà il suo punto di forza, viene percepito come ben più grave di azioni ben peggiori da parte di altri politici che non si sono costruiti un’immagine pubblica di rigore, ma hanno basato la loro campagna su altre leve.

La dialettica è un’arma potente. Le parole non sono tutte uguali, anche quando hanno all’apparenza lo stesso significato. Ci sono termini ai quali noi tendiamo a dare un’accezione negativa, magari perché in passato sono stati associati a qualcosa di fortemente negativo. Ci sono modi di dire o di presentare qualcosa che se nel contenuto ne danno una visione positiva, nella forma creano una percezione di segno opposto.

“Sei una brava ragazza ma…”, “È una persona in qualche modo speciale…”, “È un buon risultato…”. Basta una parola, una locuzione, un’interiezione, per instillare in chi ascolta il dubbio. Bisogna tuttavia giocare sul contesto, e questo è il secondo aspetto. Il contesto si può sfruttare oppure creare.

Consideriamo il terzo frammento riportato sopra: “È un buon risultato”. Sembra una frase positiva, ma qual è il contesto? In una situazione in cui si sia creata un’aspettativa molto alta, ottenere un “buon risultato” può non essere abbastanza. In pratica non è una lode, ma un “contentino”, che finisce per evidenziare come non si sia ottenuto un successo, ma solo un buon risultato. Per assurdo, a questo punto, qualsiasi elemento, avverbio, inteso ad evidenziare ulteriormente quel “buon”, finisce per peggiorare le cose: “È indubbiamente un buon risultato”. Come dire, hai fatto quello che potevi, non c’è dubbio, per cui quello è il tuo limite: ci hai delusi.

Può sembrare strano che una frase che razionalmente abbia un’accezione positiva possa essere usata per dire esattamente il contrario, ma Bruto è un uomo d’onore e quindi, quando Marc’Antonio fa presente come Cesare avesse rinunciato per ben tre volte alla corona di imperatore, quell’essere un uomo d’onore che uccide una persona così umile e dedita alla patria da rinunciare al potere assoluto, stona talmente da far rivoltare il popolo contro i congiurati.

Ma come si crea un contesto? Spesso con altre informazioni, usando con cura le parole. Un esempio tipico sono i palinsesti dei telegiornali. Un telegiornale è una sequenza di notizie. Al di là del fatto che al suo interno si può fare disinformazione con tutte le tecniche che abbiamo già visto, è anche possibile creare un particolare stato emotivo nel telespettatore semplicemente scegliendo l’ordine con il quale vengono date le notizie.

Mettere due notizie una di seguito all’altra oppure tenerle distanti nella presentazione dei fatti del giorno, può fare la differenza, perché ogni notizia altera il nostro stato emotivo e quindi la notizia precedente può essere usata come elemento contestuale per quella successiva.

Facciamo un esempio pratico. Un certo politico, deputato di un partito influente, è rimasto coinvolto in uno scandalo. Ha fatto qualcosa di davvero sporco e la magistratura ha abbastanza elementi per chiederne l’incriminazione. La testata televisiva è di proprietà di un imprenditore vicino a quel partito: non può non dare la notizia e non può neppure alterare od omettere troppo, perché comunque tutte le altre testate hanno dato di fatto la stessa notizia nello stesso modo. Così fa seguire a quella, un’altra notizia, relativa a uno degli avversari politici del deputato in questione. Si tratta di voci che riguardano la possibilità che quel certo politico abbia fatto qualcosa di poco chiaro, ma dato che l’avversario del deputato ha fatto della trasparenza il suo cavallo di battaglia, anche un semplice sospetto finisce per pesare quasi quanto una vera incriminazione. Il trucco riesce ancora meglio se subito dopo la prima notizia, viene mandata in onda un’intervista al politico “civetta” — chiameremo così il politico “onesto” che vogliamo usare per bilanciare la notizia “scomoda” — che accusa pesantemente il suo concorrente di essere un corrotto.

Vediamo che succede. Viene data la notizia della richiesta al Parlamento da parte della Magistratura di fornire l’autorizzazione a procedere nei confronti del politico corrotto. Nel farlo, viene usato un linguaggio formale, privo di qualsiasi elemento emotivo, piatto, in modo da non creare più di tanto una reazione di sdegno da parte del telespettatore. L’intento è di presentare il tutto come un atto dovuto, un procedimento formale che non può essere evitato. Quindi viene mandata in onda l’intervista in cui il politico civetta attacca duramente il collega corrotto. In teoria questo dovrebbe creare sdegno nei confronti del politico corrotto, ma genera anche un’elevata aspettativa nei confronti dell’altro politico. A questo punto si manda in onda un servizio su quest’ultimo dove, con un uso sapiente di avverbi e aggettivi, si instilla il dubbio che anche il politico civetta sia in realtà corrotto. Magari da una parte abbiamo una frode da 10 milioni di euro, per sottrazione di fondi dalle casse del partito, mentre il presunto peccato del politico civetta riguarda una qualche omissione nel suo curriculum vitæ o nella presentazione di documenti per la partecipazione a un qualche concorso di dieci anni prima, ma questo è del tutto ininfluente, perché usando le tecniche che abbiamo visto nelle scorse puntate, si può creare in chi ascolta la sindrome del “però, vedi, anche lui…”

Queste tecniche sono molto usate nelle liti legali e nelle cause civili. Quando un avvocato, di fronte alle accuse della controparte nei confronti del suo cliente — accuse confortate da fatti e da riscontri oggettivi — vuole confondere le carte, produce una serie di controaccuse del tutto irrilevanti che, tuttavia, se presentate ad arte, possono portare alcuni giudici a fare “pari e patta”. Può sembrare strano che un magistrato esperto cada in questi trucchi, ma c’è da considerare che spesso questi meccanismi danno allo stesso magistrato l’opportunità di chiudere più velocemente una vicenda che si stava protraendo a lungo e sulla quale non voleva perdere ulteriore tempo.

Ho più volte verificato di persona come questi meccanismi funzionino nelle aule dei nostri tribunali. Si tratta di giocare sempre in un contesto in cui tutta una serie di elementi personali riescono ad avere un loro peso a fronte di quelle che dovrebbero essere le sole e uniche considerazioni da fare in un’aula di un tribunale. Giudici, magistrati, procuratori, avvocati, sono esseri umani e quindi reagiscono a determinate sollecitazioni non solo in base a quello che dice il codice, ma anche a pregiudizi, opinioni, emozioni e interessi di natura personale.

La disinformazione sfrutta questi meccanismi ma lo fa su un piano statistico, dato che, al contrario di quello che succede in un’aula di un tribunale, non opera su un soggetto preciso, del quale può fare un’analisi e quindi sviluppare un profilo, ma sul profilo medio del gruppo di persone bersaglio della campagna disinformativa.

In pratica, si parte da una profilazione base, quindi si crea un particolare stato d’animo e solo allora si dà la notizia. A questo punto la notizia in questione può anche essere tutta e solo la verità, ma si è generato un filtro percettivo che orienta i telespettatori nella direzione voluta.

A volte questo può essere fatto contemporaneamente sfruttando le immagini. Se infatti metto sotto la notizia delle immagini di repertorio, quindi non legate direttamente alla notizia stessa ma riprese in altre situazioni, apparentemente analoghe, è possibile far percepire la notizia in modo completamente distorto.

Ad esempio, se voglio far condannare il bombardamento di un bersaglio militare in una certa zona di guerra, potrei riportare la notizia dicendo che secondo la fonte X — e una fonte ad hoc sarò sempre in grado di trovarla, oggettivamente — la fazione che ha bombardato potrebbe aver usato ordigni al fosforo. Attenzione: la notizia in questo caso non è manipolata: il bombardamento c’è stato davvero e la fonte in questione ha davvero fatto quell’affermazione, magari anche in buona fede. Nel dire questo, però, mando in contemporanea le immagini di un bombardamento con ordigni al fosforo degli abitanti di un villaggio della stessa regione. Non è neppure detto che le immagini si riferiscano alla stessa guerra o che il bombardamento sia stato effettuato dalla stessa fazione, ma quello che il telespettatore vede sono uomini, donne e soprattutto bambini bruciati dal fosforo bianco, che si aggirano fra le rovine delle loro case. A questo punto, anche se la notizia riguarda un obiettivo militare e nessun ordigno al fosforo è stato utilizzato né alcun civile ucciso, la nostra mente avrà associato quel bombardamento, e quindi quella fazione, a un massacro di civili con armi proibite dalla convenzione di Ginevra.

Assemblando opportunamente le notizie in un certo ordine, usando toni e termini diversi per ogni notizia, associandovi determinate immagini e riprese video, allungando o accorciando ad arte il tempo dedicato a ciascuna notizia, posso creare un palinsesto disegnato per orientare l’opinione pubblica riportando alla lettera solo informazioni vere, senza omissioni o adattamenti nei contenuti.

Lavorando poi sui titoli, posso ulteriormente accentuare determinati aspetti di una notizia. Questo può essere visto ancor più facilmente nei quotidiani, anche se è sfruttato in parte anche dai telegiornali.

Quante volte vi è capitato di leggere il titolo di un articolo, farvi una certa idea del contenuto e poi scoprire che lo stesso articolo dice esattamente il contrario? Tenete presente che il titolo non mente ma usa appunto l’equivocità intrinseca del linguaggio naturale per orientare la percezione del lettore. Molta gente, infatti, legge solo alcuni articoli di un giornale. Di altri legge solo il titolo. Quand’anche poi leggesse l’articolo corrispondente, potrebbe non fare caso alle contraddizioni fra titolo e articolo, in quanto già orientato dal primo. Noi non leggiamo infatti con la stessa attenzione tutto ciò che ci capita sotto gli occhi. Molto dipende da quanto siamo toccati da quell’argomento. Per assurdo, sentire molto un argomento può essere altrettanto fuorviante quanto non dargli troppo peso. In entrambi i casi siamo in uno stato emotivo non piatto e quindi abbiamo un filtro emotivo attivo che ci porta a pesare in modo diverso le affermazioni che ci confortano nelle nostre convinzioni da quelle che le mettono alla prova.

La prossima volta che vedete un telegiornale, provate a chiedervi che cosa sarebbe successo se certe notizie fossero state date in un ordine diverso, oppure misurate il numero di secondi che ciascun telegiornale dedica a ogni notizia. Poi ragionateci su. Col tempo inizierete a vedere degli schemi, finché non sarete capaci di riconoscerli al volo. Stessa cosa per i giornali: osservate come sono impaginate le notizie, quanto spazio viene dato a ognuna, a quali sono state associate delle immagini e a quali no, e quali immagini sono state usate. Provate a capire se l’immagine o il video è di repertorio o relativo davvero a quella notizia. In alcuni Paesi è obbligatorio per i notiziari segnalare quando un video è di repertorio. Da noi no.

Nel leggere i quotidiani, chiedetevi quanto il titolo sia attinente all’articolo e soprattutto quali emozioni via hanno scatenato l’uno e l’altro. Analizzate le vostre emozioni: perché leggere o vedere quella cosa vi ha fatto sentire in quel modo? È un’emozione naturale o in qualche modo è stata stimolata dal modo in cui è stata presentata la notizia e se sì, perché? Chi possiede quel giornale o quella rete televisiva, che orientamento politico ha, quali interessi economici o imprenditoriali?

Fatelo soprattutto sui vostri giornali e notiziari preferiti, quelli in cui avete fiducia, che dicono quello che corrisponde alla vostra visione politica o sociale. Non è l’avversario il vero pericolo nella nostra società, ma chi sta “dalla nostra parte”. Difficilmente chi la pensa diversamente da noi può influenzarci. La disinformazione non solo si fa con la verità, ma con la “nostra” verità, non dimenticatelo mai.

De Judicibus