Dunque: la questione del valutare un film come Creed è abbastanza complessa. Partiamo con lo spiegare che questo, a tutti gli effetti, non è Rocky 7.

Rocky ormai lavora a tempo pieno nel suo piccolo ristorante, tappezzato di fotografie dei suoi celebri incontri. Un giorno entra dalla porta un giovanotto che sembra conoscere a memoria la storia della leggendaria rivalità/amicizia tra lui e Apollo Creed. Quel ragazzo si chiama Adonis, è il figlio illegittimo di Apollo e ora vuole combattere, non per seguire le orme del padre (non ancora almeno) ma perché vuole costruire la sua personale leggenda e farsi un nome che possa essere all’altezza del suo cognome. Per costruire una leggenda, però, serve una leggenda e Rocky decide di tornare ancora una volta sul ring per allenare il figlio del suo più grande amico. Un atto dovuto, un atto di coraggio, l’ennesimo match contro la vita, l’avversario che porta i colpi più duri e che, alla fine, ai punti, vince sempre.

L’idea di uno spin-off, nell’economia di una saga composta da sei film (dove l’unico veramente brutto è stato il quinto ed il sesto ha rappresentato un’autentica operazione nostalgia) poteva anche starci e il regista Ryan Coogler sembrava aver in mente un’idea di storia coerente con questa scelta. Al centro di tutto c’è il conflitto personale del giovane Adonis, combattuto tra il seguire le orme del padre ma spaventato dal portare sulle spalle quel cognome lì, un cognome che non ti permette di fallire. Sullo sfondo c’è Philadelphia, storica fucina di pugili e la sua leggenda, Rocky Balboa, una vecchia gloria disposta ancora una volta a mettere a disposizione la sua esperienza e la sua bontà d’animo per aiutare un ragazzo che ha perso tutto (o, meglio, non ha mai avuto niente), come lui. Adriana non c’è più da anni, suo figlio ha deciso di andarsene per non vivere nell’ombra del padre e anche Paulie l’ha lasciato. Rocky è un uomo solo e come tutti gli uomini soli, al tramonto della loro vita, intravede nel giovane Adonis l’ultima occasione per sentirsi vivo, forse per sentirsi di nuovo un padre, un esempio da seguire. In tutto questo Creed funziona.

creed-nato-per-combattere-ecco-il-trailer-italiano-234501

La toppata clamorosa però è nella costruzione di un nuovo mito. L’Adonis Creed di Michael B. Jordan (che forse meglio di così non poteva proprio fare), diciamolo, è un personaggio senza mordente, il classico ragazzo difficile dal temperamento aggressivo ma pieno di insicurezze. Storia già vista? Si, almeno un migliaio di volte. Il paragone con l’Apollo Creed del mitico Carl Weathers è impietoso e ancor più grave è la mancanza di un antagonista capace di creare il giusto pathos nel corso delle oltre due ore di proiezione. Perché il Ricky Conlan dello sconosciuto Tony Bellew rimane sullo schermo per una manciata di minuti, senza mai incidere, senza mai dare l’impressione di rappresentare una forza inarrestabile, finendo per essere poco più che una comparsa. Questo è il grande, insormontabile limite del film: la mancanza di epicità (data anche da un doppiaggio italiano spesso e volentieri improponibile, soprattutto nella ridicola telecronaca del match clou), che è stata sempre il marchio di fabbrica della saga, dai capitoli più indimenticabili a quelli un po’ meno riusciti. Se ci mettiamo anche una sceneggiatura che spesso scivola nel patetico (soprattutto nei dialoghi, alcuni dei quali veramente agghiaccianti), trasformando a più riprese la pellicola in una sorta di parodia, non possiamo che rammaricarci per una gigantesca occasione mancata. L’intelaiatura c’era tutta: c’era un protagonista con gli occhi della tigre, c’era un Sly crepuscolare come non mai nel ruolo della sua vita (che gli è fruttato addirittura la vittoria ai Golden Globe) e c’era un regista di talento, un talento cristallino.

Warner-Bros.-Italia-Creed-Nato-per-combattere-Due-Nuovi-Poster-Italiani-1

Perché Coogler la macchina da presa la muove bene come pochi e la sua regia dinamica e dettagliata è sicuramente la cosa migliore del film, soprattutto durante i combattimenti, dove segue i pugili da vicino, con piani strettissimi e sventagliate rapide come i jab di Apollo nei primi due Rocky. Prova anche a non trasformare il suo Creed in un remake di Rocky V, non ci piazza le classiche sequenze d’allenamento “alla Rocky” ed evita pure di infilare Gonna Fly Now nella colonna sonora, fino a quel momento lì, dove te la fa saltare fuori a tradimento e per un attimo la pelle d’oca ti torna, il cuore comincia a palpitare e quasi ci si alza sulla poltrona come una volta per le fasi finali dell’incontro decisivo. E’ un “come back” però troppo tardivo per salvare completamente una pellicola carente sotto tanti, troppi aspetti. Si spera che le cose vadano meglio nel già annunciato seguito, che arriverà nel 2017… Se però queste sono le basi per una nuova saga pugilistica, la vediamo veramente buia. Nel 1977 Rocky ottenne 10 nomination agli Oscar portandosi a casa 3 statuette, incluse quelle per la miglior regia e miglior film (e in concorso c’era roba come Taxi Driver, Tutti gli uomini del Presidente e Quinto potere). Quella era la vera, irripetibile leggenda. Una favola cinematografica senza precedenti. Questa, semplicemente, è un’altra storia.

Simone Bravi
Nasce nella capitale dell'impero tra una tartaruga ninja, un Mazinga e gli eroi del wrestling dell'era gimmik. Arriva a scoprire le meraviglie del glorioso Sega Mega Drive dal quale non si separa mai nonostante l'avvento della PlayStation. Di pari passo con quella per i videogame vanno le passioni per il cinema, le serie Tv e i fumetti. Sembra Sheldon di The Big Bang Theory ma gli fanno schifo sia Star Trek che Star Wars. E' regolarmente iscritto all'associazione "Caccia allo Juventino".