La sottile linea tra speranza e tormento

Nonostante il suo passato piuttosto burrascoso, ho dei bei ricordi di PlayStation Vita: una console portatile tra le migliori in circolazione e ricca di buoni giochi, seppur non abbastanza da non prendere polvere e diventare altresì un fermacarte hi-tech dal dubbio valore.
Tuttavia è grazie a questa console che ho scoperto le visual novel, letteralmente dei romanzi interattivi che sono diventati una parte fondamentale del mio vivere i videogiochi, quando magari la troppa azione veniva alla noia oppure quando ero alla ricerca di qualcosa in grado di intrattenermi senza iniezioni di adrenalina.

Ed è qui che ho scoperto Danganronpa, serie realizzata da Spike Chunsoft che ha raggiunto il giusto successo dopo la precedente pubblicazione su PSP e che ora torna anche sull’ammiraglia di casa Sony come Danganronpa 1.2 Reload, rimasterizzazione dei primi due capitoli e apripista per i piani di NiS per la serie, che prevede il remaster dello spin off Ultra Despair Girl e il terzo capitolo della saga, Danganronpa V3.

Trigger Happy Havoc

Danganronpa 1.2 Reload, come già detto, propone i primi due titoli della saga ovvero Danganronpa: Trigger Happy Havoc e Danganronpa 2: Goodbye Despair, entrambi con la medesima trama: Makoto Naegi e Hajime Hinata sono due studenti della Hope’s Peak Academy, una delle scuole più prestigiose del mondo e che ammette soltanto coloro che si sono rivelati prodigi del loro campo di appartenenza, qualunque esso sia.

Una volta entrati in questa scuola, però il mondo di successo tanto sognato si trasforma in un incubo: quella classe di studenti viene infatti imprigionata nella scuola sotto il comando di Monokuma, un orso malvagio che si autoproclama preside e mette davanti ai giovani due possibilità: vivere per sempre nell’istituto oppure guadagnarsi la libertà uccidendo uno studente senza essere scoperti. La narrazione sa comunque diversificarsi e rimanere intrigante in entrambi i casi, con il pregio di poter giocare i titoli a distanza ravvicinata e dunque permettendo una maggior comprensione degli eventi, pur proponendo lo stesso modus operandi di gioco senza reali innovazioni tra il primo e il secondo capitolo.

Il gameplay di Danganronpa è infatti diviso in due parti ben distinte, ovvero la porzione spiccatamente visual novel e quella investigativa. La prima ci vedrà sostanzialmente alle prese con la vita quotidiana della scuola, venendo a conoscenza di più dettagli circa la storia del gioco e dei vari studenti: preparatevi dunque a stare belli comodi perché, ovviamente, ci saranno numerosi testi da leggere, rigorosamente in inglese e nemmeno troppo semplici seppur coinvolgenti e magistralmente scritti.
Una volta avvenuto un omicidio, però, il gioco prende ritmo trasformandoci in veri e propri detective che dovranno scovare ogni possibile indizio sulla scena del crimine e sugli alibi dei vari personaggi, per poi arrivare alla fase del processo. L’analisi del caso andrà fatta sfruttando sapientemente le prove raccolte, ma anche facendo attenzione alle dichiarazioni fatte in aula in modo non dissimile da quanto accade nella serie Phoenix Wright, pur con delle meccaniche puzzle in più che rendono il gameplay leggermente più vivace. Inutile dire che la componente narrativa sarà quella più pregna, capace di raccontare un’ottima storia ricca di plot twist inaspettati che difficilmente vi lasceranno indifferenti; d’altronde stiamo pur sempre parlando di una visual novel, dove questo aspetto è fondamentale.

Parliamo però anche di una rimasterizzazione, dunque siamo obbligati a soprassedere sulle qualità ludiche in virtù di quelle tecniche, versante dove il gioco non brilla come dovrebbe: se il passaggio da PSP a PlayStation Vita ci diede una versione per la seconda portatile Sony ben rifinita e bella da vedere, il passaggio all’ammiraglia in comando si rivela svogliato e poco curato. Non di rado capiterà di vedere disegni poco rifiniti, o modelli 3D non proprio eccelsi ma che potevano riceve qualche attenzione in più, tutta una serie di piccolezze che arrivano come un fulmine a ciel sereno e rendono il risultato finale abbastanza disomogeneo, e la conversione diviene una mera formalità piuttosto che una versione riveduta e corretta del gioco.

Sul piano del sonoro siamo invece sugli stessi livelli dell’originale, forse anche meglio nel caso siate dotati di un sistema audio di buon livello, con la gradita possibilità di scegliere tra doppiaggio inglese e giapponese. Dispiace però constatare l’assenza di qualsivoglia contenuto aggiuntivo che possa invogliare in qualche modo coloro che desiderano rigiocare questi titoli, tramutando il remaster in qualcosa che potrà interessare solo i neofiti della serie.

Ultima critica, ma non necessariamente un difetto, è la fruizione del gioco in modalità casalinga: laddove la portabilità permette una maggiore immersione, quasi come se fossimo di fronte ad un fumetto interattivo, in modalità divano qualcuno potrebbe trovare il ritmo lento e posato del gioco abbastanza noioso. Ribadiamo il fatto che questa non è una vera e propria critica, piuttosto una constatazione fatta giocando, soprattutto nelle sezioni in stile visual novel puro, che non hanno saputo attecchire come accadde qualche anno fa su Vita.

Verdetto

Danganronpa 1.2 Reload resta un gioco decisamente valido nel suo ambito e lo consigliamo a chiunque voglia godersi due storie legate a doppio filo da una trama decisamente interessante ed un gameplay capace di stimolare le sinapsi al punto giusto. Chi conosce già questi titoli può tranquillamente continuare a risparmiare per altri giochi, così come coloro che non sono molto pratici con la lingua d’Albione, requisito importante per godersi appieno questa remaster buona, ma non buonissima.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.