Ne sentivamo davvero il bisogno?

Il momento tanto atteso è finalmente arrivato. Dal 25 Settembre infatti sulla piattaforma di streaming Netflix è approdato Death Note.
Fenomeno mondiale del 21esimo secolo, al pari di manga celebri come Dragon Ball, Berserk o One Piece, realizzato dal mangaka Tsugumi Oba, è senza dubbio una delle opere più affascinanti partorite nel Paese del Sol levante.

Thriller psicologico capace di toccare argomenti tanto interessanti quanto scomodi come fede, religione e giustizia, vanta milioni di fan in tutto il mondo, nati sia in seguito alla lettura del suddetto manga, sia dalla visione della celebre serie anime arrivata in Italia grazie al canale MTV.


Prima di iniziare a parlare della produzione Netflix, affidata al regista Adam Wingard (famoso per aver diretto numerosi horror, tra i quali spicca Blair Witch), bisogna porsi una domanda fondamentale : “C’era realmente bisogno di realizzare un live action di una simile pietra miliare della cultura Nerd?”
La risposta è facile, ma è altrettanto vero che la vacca è ancora ben nutrita e non la si può non mungere.

Per fare un ripasso veloce di quanto abbiamo letto sulle pagine del manga, la storia si sviluppa su Light Yagami, un brillante studente giapponese, divenuto possessore del fatidico quaderno della morte, capace di uccidere chiunque si voglia scrivendone semplicemente il nome su una pagina.
Light ben presto diverrà più di un mero giustiziere, finendo per innalzare la sua persona al pari di un dio, risultando essere giudice, giuria e boia di ogni criminale sulla faccia della terra.


In tutto ciò, Kira (nome con il quale lo studente si farà conoscere e divinizzare dall’umanità) avrà costantemente al suo fianco Ryuk, inquietante Shinigami della morte, nonché creatore del diario soprannaturale, e Misa Amane, una folle sociopatica innamoratasi del protagonista e della sua missione.
La follia di Light verrà ostacolata dal geniale investigatore di nome L, unica mente al mondo capace di fermare la furia omicida dello studente.

La trama del prodotto Netflix però è di gran lunga diversa, sia per questioni di durata (il film ha una durata di 101 minuti, mentre la serie ha 37 episodi da 23 minuti ciascuno), sia per non permettere troppi paragoni con l’originale.

Il risultato purtroppo non è dei migliori, non per la trama in sé, che risulta a tratti interessante e anche piacevole, ma per alcuni avvenimenti totalmente casuali e per la recitazione dei protagonisti, tutt’altro che memorabile.

Lo script è dinamico, privo di punti morti, e questo è senz’altro un punto a suo favore, ma troppo spesso durante la visione viene spontaneo il domandarsi: “Perché sta accadendo ciò?” “E quindi?”.
Va bene prendere spunto dall’opera originale facendosi contaminare un minimo, ma il plot, sviluppatasi linearmente, diventa caotico e sconclusionato (specialmente il finale), portandoti forzatamente a fare il paragone con il suo antenato cartaceo, scontro dal quale la pellicola può uscirne solo con le ossa rotte.
Apprezzabile però la scelta delle morti in salsa Final Destination, che senza abusarne troppo, risultano essere funzionali all’opera e non fini a se stesse.

Il vero tasto dolente invece è – come anticipato – il cast molto acerbo, che tra una faccia imbronciata, qualche grida eccessiva (preparatevi) e gli sguardi persi nel vuoto, risulta eccessivamente sopra le righe.

Ad interpretare Light troviamo il giovane Nat Wolff, il quale nonostante la giovane età vanta una discreta filmografia, e che tuttavia non riesce ad entrare mai realmente nel personaggio.
Il fatto che sia ragazzo con un passato problematico può giustificare in parte la voglia di rivalsa ottenibile grazie al Death Note, ma Wolff, durante l’intero arco di proiezione, non appare mai convincente, l’espressività e l’interpretazione risultano piatte e forzate, finendo per diventare una versione altamente malriuscita del Donnie Darko di Gyllenhaal, che finisce per portare sbadigli già dopo la prima mezz’ora.
Senza dubbio non viene aiutato dallo script, il quale corre molto, visto che il protagonista, dopo soli 2 minuti di film, entra in possesso del quaderno ed al settimo minuto c’è il suo primo incontro con Ryuk, non permettendo una corretta caratterizzazione del personaggio.

Già risulta maggiormente persuasiva, seppur non ci volesse molto, la prova di Margaret Qualley (Misa Amane, conosciuta nel film con il nome di Mia) cheerleader della scuola innamoratasi di Light e della missione che vuole portare a termine.
La recitazione della giovane è sostanzialmente sufficiente, seppur il suo personaggio ricalchi troppo lo stereotipo della ragazza borderline sociopatica, finendo per essere uno dei tasti meno dolenti dell’opera.

Simile giudizio va all’investigatore L, alias Lakeith Lee Stanfield (già reduce da buone performance in opere interessanti come Straight Outta Compton, e Scappa – Get Out), il quale non si fa inglobare dall’enigmatico personaggio che interpreta, ma lo plasma un minimo, mostrando che c’è stato un lavoro volto a richiamare il detective originale del manga, e che non si è limitato solamente a leggere il copione come altri membri del cast.

Oltre ai giovani sopracitati l’opera ha visto la partecipazione illustre di William Dafoe, il quale ha prestato voce e volto alla realizzazione dello Shinigami Ryuk.
L’interpetazione dell’attore è stata eccezionale (ed era facilmente prevedibile), capace di dar vita all’anima subdola ed inquietante del portatore originario del Death Note.
Da rivedere invece la realizzazione del demone tramite CGI, il quale risulta “plasticoso” e poco realistico.

death note film
Nota colorata del film è senza alcun dubbio la fotografia, affidata ad un veterano come David Tattersall (Il miglio verde, Star Wars I/II/III, Ultimatum alla Terra) che, tramite l’alternanza di chiaroscuri in interno, e i neon nelle scene esterne (un po’ un richiamo a Stranger Things) dona alla pellicola, sempre nei limiti, un tono a metà tra gli anni ’80 ed il techno-noir, finendo per avere un risultato qualitativamente ottimo.

In sostanza Death Note risulta essere, più che un trhiller-fantasy, un teen movie, dove la complicità tra i due amanti è figlia di un gioco perverso di coppia, invece che una missione con un solido ideale alle spalle.
La produzione Netflix è sostanzialmente godibile, se non la si paragona con l’opera originale, ma la distorsione della trama e l’esser caotico della stessa rendono questo film un prodotto con un grandissimo potenziale non sfruttato.

Death Note non va bocciato a prescindere, gli spunti interessanti ci sono, ed inizialmente incuriosisce e ti invoglia a vederlo, ma tutto ciò è unicamente frutto della sceneggiatura originale, non figlia della mente di Wingard, il quale si trova tra le mani un giocattolo bellissimo, senza essere in grado di assemblarlo correttamente.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.