Déjà vu in salsa stregonesca

Destiny è sicuramente una serie piuttosto controversa: Bungie si è lanciata in un ibrido sperimentale che mescola elementi MMO con meccaniche gameplay, fondendo un gameplay basato su missioni lineari con un sistema di quest che fa appunto riferimento alla scuola degli RPG online. Il risultato è piuttosto noto: alti e basti che hanno portato quanti credevano in questo esperimento su delle vere e proprie montagne russe emozionali. La storia è nota e ci sarà tempo e modo di ripercorrerla. Quello che è, invece, va detto sin da subito è che Bungie non sembra voler imparare la lezione, ripetendo gli errori che hanno reso il primo capitolo un occasione mancata. È doveroso a questo punto dirlo sin da subito: La maledizione di Osiride è un’aggiunta piuttosto scialba, a tratti noiosa e che non aggiunge niente di sostanziale a quanto visto nel gioco principale. Se questo vi basta, vi invitiamo a non perdere altro tempo e non continuare con la lettura. Se volete, invece, approfondire le ragioni e scoprire quanto di buono (poco) Bungie ha tirato fuori con questo primo contenuto del season pass continuate pure.

Nell’affrontare l’analisi di questo primo DLC è bene cominciare dalla storia per due motivi principali: primo, questo contenuto è stato presentato come un tuffo nell’universo di Destiny, un’occasione per scoprire i retroscena di alcuni guardiani (Ikora su tutti) e affondare i denti in quella Storia con la S maiuscola che sembra essere sempre sfuggente e poco definita nel lavoro di Bungie; secondo, La maledizione di Osiride non aggiunge molto altro. Vedremo, infatti, che ci sono alcune nuove modalità e una serie di nuove armi che, però, non sono costituiscono nulla di rivoluzionario rispetto a quanto visto in precedenze. Bando alle ciance e inoltriamoci in questa nuova avventura. Questo primo DLC ci presenta per la prima volta Osiride, mentore di Ikora, una figura leggendaria che viene definita il “Zavala prima di Zavala” (Ohhhh!): dopo aver acquisito un enorme potere, Osiride si era dimostrato piuttosto indipendente nei confronti degli altri guardiani finendo per osteggiare il progetto della Città. Il risultato fu l’esilio dello stesso Osiride che trovò dimora su Mercurio, dove fondò un culto (fatto poi da tre o quattro persone). Da li in poi si persero le tracce del leggendario guardiano e con lui sparì anche l’enorme conoscenza che aveva acquisito sui Vex. Avanti veloce di qualche anno e ci ritroviamo l’ormai invecchiato Osiride alle prese con i Vex che sono sul punto di impossessarsi dell’intero universo, grazie alle macchinazioni di un Hydra speciale chiamato Panoptes, al mente infinita. Qui le cose si complicano, anzi potremmo dire si impasticciano. Senza scendere troppo nei dettagli, possiamo dire che Bungie si lancia su quel miserrimo filone che ha mietuto più vittime della peste nera: le simulazioni temporali con tanto di duplicazioni, bivi e percorsi alternativi. Da questo punto in poi la storia che già aveva un incipit piuttosto scialbo finisce per trottare su una serie di cliché visti e rivisti che la rendono estremamente banale e in un certo senso difficile da seguire. Il finale rimane tra i più deludenti di tutte le espansioni di Destiny con un climax che finisce per essere una debole chiusura di circostanza.

A livello di gameplay, la campagna non aggiunge poi molto a quella struttura che il secondo capitolo ci ha abituato a seguire. Per sbrogliare la matassa e ritrovare il buon Osiride dovremo saltellare da un pianeta all’altro lungo missioni piuttosto lineari e visitando luoghi che costituiscono un buon mix tra spiagge conosciute e mete completamente nuove. Il faro è sicuramente una delle introduzioni più interessanti: la mappa si presenta come il classico budello alla Destiny al cui centro però si trova questa costruzione circolare che costringe il giocatore a rivedere leggermente le sue tattiche d’assalto e impostare una strategia sicuramente più votata alla mobilità. Ciò detto anche questa espansione come tutte quelle precedenti soffre di un problema relativo al bilanciamento della difficoltà: i giocatori più esperti, infatti, la troveranno piuttosto facile, tanto da aver più la sensazione di essere lì a fare il tiro al piattello coi nemici che nel bel mezzo di una guerra.

Questo sembra essere un problema endemico dei contenuti aggiuntivi di Destiny che da un lato vogliono dare la possibilità alla maggior parte dei giocatori di goderseli senza dover livellare con estrema costanza, ma dall’altra finiscono per essere davvero poco soddisfacenti per chi ha speso molte ore nel gioco a potenziare il suo personaggio. Non si salvano dalla mediocrità neanche le boss battle: estremamente semplici e sopratutto con delle meccaniche trite e ritrite, sopratutto per quanto riguarda il gran finale con Panoptes che finisce per essere una grande occasione mancata. Insomma le tre ore di campagna non riescono a dare quella spinta che ci saremmo aspettati, una spinta che pensavamo necessaria visto che la mancanza di contenuti di rilievo sta lentamente distruggendo l’entusiasmo dei giocatori.

Cosa ci aspetta dopo la fine della campagna? Ben poco. Ci sono una serie di missioni disponibili da Ikora e alcune quest dal fratello Vance per ottenere equipaggiamento esotico. Entrambe non aggiungono molto a quanto già visto nella versione liscia del gioco, anzi il buon Vance pare volerci spingere ancora di più verso il grinding delle attività di gioco, rendendo le sue “Profezie Perdute” una fastidioso dolorino nelle parti basse. Non abbiamo avuto modo di provare ancora i Raid Lair che si propongono come una versione in miniatura del Raid sul Leviatiano con meccaniche inedite: sebbene abbiamo la speranza che possano essere davvero interessanti, dubitiamo siano sufficienti da sole a giustificare il prezzo dell’espansione.

Verdetto

Insomma in conclusione, come era stato per il Casato dei Lupi, la prima espansione di Destiny 2 si è rivelata un buco nell’acqua: campagna corta e poco interessante, nessuna novità di rilievo e una community di giocatori piuttosto arrabbiata per i continui fallimenti di Bungie. A questo punto iniziamo a temere che gli sviluppatori di Halo debbano ritornare al punto di partenza e cominciare seriamente a dare una direzione diversa ad un titolo che sembra lentamente scivolare verso l’estrema mediocrità.