Creare è dare una forma al proprio destino

Il primo Dishonored fu un fulmine a ciel sereno. Si trattava di un titolo che riprendeva alcuni dei concetti alla base di titoli come Thief (il meraviglioso Thief, aggiungerei), unendoli ad una trama affascinante e ad alcune trovate in grado di fondere perfettamente meccaniche stealth e action ad una certa libertà di azione, ormai comunemente sacrificata in nome del senso dello spettacolo e dello script. Ecco perché non tutti hanno digerito il primo gioco, e specie a causa di un comparto tecnico altalenante forse lo hanno persino abbandonato.
Errore. Gravissimo. Perché il lavoro di Arkane è stato eccezionale, quasi seminale per la rinascita della parte migliore dei titoli in prima persona, solo lontanamente accostabili alle dinamiche di un FPS e invece più simili a delle vere e proprie avventure esplorative. Siamo, come detto, dalle parti di Thief, di Bioshock, di Half Life. Nomi altisonanti a cui Dishonored si può accostare, oggi più che mai, con i traguardi che si è giustamente meritato. Per comprendere appieno questo Dishonored 2 occorre, dunque, fare una premessa: questo non è un mero clone del meraviglioso titolo uscito 4 anni fa. Non è un copia incolla o un more of the same. È più un progresso. Un sequel nell’accezione più squisita del termine. Si tratta  di puro divertimento, costruito su scelte di game design intelligenti, sulla costruzioni di livelli dalle architetture sopraffine in cui la libertà di approccio è ancor più ampia rispetto al suo predecessore. Dishonored 2 è lungi dall’essere perfetto, ma ci va incredibilmente vicino e dimostra l’abilità di un team, quello di Arkane, di mettere ogni interazione possibile al servizio del giocatore, in quello che è un meraviglioso affresco digitale che, come vedrete, ci siamo sentiti di premiare con pochissime remore.

 

Il gioiello del sud

Dishonored 2 si colloca cronologicamente a ben quindici anni dagli eventi del primo capitolo. Quindici anni in cui all’Imperatrice Jessamine Kaldwin si è succeduta sua figlia, Emily, poco più che una bambina tra i giochi di potere durante i fatti del primo titolo, e oggi radiosa e ben voluta nuova sovrana di Dunwall. Sotto il governo illuminato di Emily, spalleggiata dal Protettore Reale, Corvo Attano, la città è rifiorita. Le strade sono tornate vivibili dopo essersi messe alle spalle il morbo della peste che le aveva colpite, e il mondo guarda a Emily come la speranza per un nuovo ordine mondiale. L’Imperatrice ha infatti stabilito floridi e utili rapporti commerciali con il sud al fine di fortificare il suo governo e la sua posizione; ha rimpinguato le casse dello stato e la sua rettitudine ha gettato alle spalle persino l’oscuro passato di Corvo, ormai rivalsosi della terribile nomea di regicida che lo aveva “disonorato” quindi anni prima. Purtroppo, quando le cose sembrano andare per il meglio, la situazione precipita. Un colpo di stato viene infatti ordito dal Duca Luca Abele, signore di Karnaca, che approfittando di vari sostenitori interni alla corte e della festa che si sta tenendo a palazzo in occasione dell’anniversario della morte della precedente Imperatrice, riesce a introdurre nel castello i suoi soldati, facendo strage dei presenti e istituendo sul trono, con la forza, una nuova usurpatrice: la strega Delilah. Figlia illegittima del nonno di Emily e, dunque sorellastra di Jessamine, Delilah si impone subito con la forza, in quelli che sono attimi concitati e, forse, sin troppo sbrigativi in termini narrativi. Gli eventi sconvolgono lo status quo in pochissimi minuti, senza troppe giustificazioni ed in modo quasi forzato, portando di fatto alla prima e fondamentale scelta del gioco, ossia quella relativa alla selezione del personaggio con cui giocare. Al giocatore sarà infatti chiesto di vestire ancora i panni di Corvo o quelli di Emily, saggiamente istruita negli anni proprio da Attano al combattimento ed alla furtività. Qui, chiariamolo subito, la storia non si scinde in due filoni diversi. Le ripercussioni sulla narrazione saranno infatti marginali e saranno invece lasciate ad altri fattori che saranno alla portata del giocatore a prescindere dal personaggio scelto. Giocare con Corvo o con Emily, insomma, vi lascerà quasi del tutto indifferenti in termini di trama, tanto che alcune linee di dialogo saranno praticamente le stesse, modificate all’occorrenza solo con il doppiaggio del relativo personaggio scelto. Ma onestamente poco importa, perché tutto è determinato dal gameplay che gode invece di differenze considerevoli in base al personaggio selezionato, dando al giocatore diverse opzioni in termini di approccio al livello e invogliando, grazie anche alle diverse scelte che il gioco offre, anche ad un certa rigiocabilità.

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Selezionato il personaggio ed assistiti impotenti alla presa al potere di Delilah, al giocatore sarà quindi chiesto di scappare dal castello di Dunwall per incontrare un misterioso contatto in attesa di noi presso il porto. Una donna, tale Morgan Foster, mai vista prima da alcuno dei due protagonisti, ci aspetterà lì per darci una mano a fuggire grazie alla sua nave, la Dreadful Whale, su cui di fatto stabiliremo una sorta di base operativa su cui pianificheremo a mano a mano di rovesciare Delilah. Con Megan partiremo dunque alla volta di Karnaca, porto apparentemente sicuro seppur visceralmente connesso a Delilah poiché sotto l’egida del suo più fido alfiere, quello stesso Duca che era alla testa del colpo di stato di Dunwall. Qui comincia Dishonored 2.
Dopo un incipit forse troppo frettoloso, che per fortuna in alcun modo lede quello che è invece un racconto molto intrigante e pieno di sfumature politiche e sociali. Curioso come ancora una volta la scrittura che ci viene offerta resti aderenti a quello che è il tema che dà nome al gioco. Dishonored 2, come il suo predecessore, è infatti un racconto di rivalsa, e – se intraprenderete certe scelte – anche di vendetta. La differenza che poi aggiunge anche un certo fascino al gioco è il districamento dei misteri dietro il personaggio di Delilah che, come un ragno, ha intessuto una tela fitta attorno ad un entourage di nomi che costituiranno poi gli obiettivi che studieremo a bordo della Dreadful Whale. Ci troveremo quindi a visitare ogni anfratto di Karnaca, dapprima per rimetterci in sesto e cercare informazioni, poi pian piano per colpire obiettivi sensibili, utili ad indebolire il gioco di Delilah prima di colpirne inevitabilmente la testa. E non solo, Dishonored 2 si propone anche di offrirci un finale completo e meno frettoloso di quello del suo predecessore, in cui le scelte morali del giocatore influenzano realmente la conclusione degli eventi, positivamente o negativamente che sia seppur, c’è da dirlo, per lo più dipendenti dai metodi con cui decideremo di porre fine ai complotti dei vari sgherri dell’usurpatrice che, come immaginerete, saranno poi di fatto i vari “boss” che incontreremo nel nostro sul nostro cammino di rivalsa.

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Un cammino per nulla semplice, che muoverà i passi attraverso un racconto che si farà apprezzare non solo per quello che è il viaggio dei suoi protagonisti, ma anche per quello che è il mondo costruito dal team di Arkane. Profondo, stratificato, sfaccettato. In Dishonored 2 non si ha mai l’impressione di correre lungo una linea retta, e non solo per i particolari verticalismi del suo level design, ma perché come in prodotti come Bioshock (il primo, quello che ha fatto scuola) la trama coinvolgerà così tanti aspetti e racconterà così tante storie da offrirsi, al giocatore, come un ventaglio. Ci sono gruppi in lotta per le strade di Karnaca, come i famigerati cultisti dell’Abbazia dell’Uomo Comune o i più subdoli e sfuggenti contrabbandieri detti “Urlanti”, ci sono personalità che si beano del disagio e della povertà. Ci sono personaggi che hanno pagato il prezzo del potere altrui, e in generale una popolazione che soffre come una bestia in gabbia, e che vive lo smacco di un’elité ricca e opulenta. Karnaca è la città delle storie, che potranno sfiorarci marginalmente, che potremo toccare o che talvolta potremo persino sovvertire, attraverso poche ma miratissime scelte che in certi frangenti ci permetteranno di modificare persino l’approccio al livello di gioco in sé. Abbiamo citato Bioshock, ed il motivo è evidente: ci troveremo a intraprendere decisioni che potrebbero portare ad una sorta di bene comune, o semplicemente renderci facile la vita palesando un disprezzo esagerato per la vita altrui. Come fu per la splendida Rapture e le sue sorelline, che allora decidemmo di salvare o meno e così è per Karnaca che anzi, a differenza dell’opera di Levine risentirà ancor di più della nostra influenza. Non per forza, ma solo per volontà del giocatore. Restituendo un mosaico complesso e leggibile su così tanti e vari livelli da costituire, di per sé, l’occasione imperdibile per un immediato replay. Per altro consigliatissimo.

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L’imperatrice ed il suo corvo

Venendo al gameplay, Dishonored 2 offre, come detto, due prospettive diverse: quella di Corvo, estremamente fedele a quanto avrete potuto apprezzare nel primo capitolo, e quella di Emily, del tutto nuova in termini di poteri e abilità. Qui apriamo una postilla: i due personaggi non godono di particolari diversificazioni che non siano relative al loro campionario. Non avrete, dunque, un personaggio più agile o uno fisicamente più resistente. La differenziazione è giocata tutta sulle abilità attive per cui se per caso doveste decidere di intraprendere l’avventura senza il supporto delle  magie offerteci dal ben noto Esterno (scelta che il gioco propone e che sarete liberi di intraprendere), le differenze saranno ben poche. Il consiglio, se possiamo permetterci, è quello di giocare almeno una volta con ambo i personaggi utilizzando il loro campionario di abilità al completo che, tra le varie, non è neanche detto sblocchiate per intero vista la necessità di reperire le già note “rune”, corrispettivo locale dei punti con cui acquistare e, volendo, potenziare le varie abilità. Detto ciò, e premesso che abbiate optato – giustamente – per utilizzare la magia, Corvo e Emily avranno dalla loro un bel set di poteri, alcuni dei quali veramente fondamentali in termini di esplorazione ed efficienza, specie se vorrete giocare il gioco tenendo un basso profilo, e lasciandovi così stregare dal suo animo più stealth.

Scegliere Corvo, significa rimettere mano, come detto, al personaggio giocato quattro anni fa, con nulla più nulla meno che qualche variazione che potremo apportare ad abilità che vi saranno fondamentalmente note. La sempre utile Visione Oscura ci permetterà di percepire i nemici oltre le pareti, tracciarne i passi e, di fatto, vedere i limiti del loro campo visivo. Con Traslazione potremo invece spostarci rapidamente, tanto per raggiungere alla spalle un ignaro nemico, tanto per migliorare le già ottime capacità esplorative del personaggio. Possessione ci permetterà di possedere animali e umani per utilizzarli come più ci pare, talvolta persino come “cuscino” per una caduta troppo ripida, o per infiltrarci in luoghi altrimenti inaccessibili; mentre Distorsione ci permetterà di rallentare il tempo, partendo da un vantaggio di mobilità ad una vera e propria stasi in cui i nemici non ci percepiranno affatto. Infine Branco Famelico ci darà la possibilità di evocare un vorace gruppo di ratti, con cui dare da filo da torcere ai nemici, e dulcis in fundo con Ciclone potremo lanciare una potente raffica di vento con cui abbattere porte e nemici.

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Emily è invece una vera e propria novità, ed ha poteri solo vagamente simili a quelli già noti. L’Imperatrice gode infatti della Visione Oscura, e sostituisce il potere di Traslazione di Corvo con la Proiezione, ossia la capacità di trasportarsi velocemente in avanti. Sembrerebbe in effetti la stessa cosa, ma in realtà il potere di Emily è, in termini di movimento, vagamente più limitato e concede meno libertà verticale al prezzo però di una maggiore velocità orizzontale. Non che non sia possibile scalare una facciata come farebbe Corvo, semplicemente Emily è più propensa all’azione che ad un approccio in silenzio e l’immediatezza del suo potere si adatta perfettamente all’esigenza di uno spostamento rapido su di un campo di battaglia più che ad una tranquilla e pacata esplorazione. Anche il resto delle abilità suggerisce la maggior propensione di quest’ultima all’azione, tanto che persino le abilità che incitano ad un approccio furtivo e non letale possono mietere rapidamente vittime. La migliore, in tal senso, è la sua Passo d’Ombra, grazie alla quale si trasforma di fatto in un’ombra mostruosa, strisciante e sinuosa e quasi del tutto impercettibile con cui, tuttavia, è possibile trafiggere a morte i nemici ignari. Con Clone d’Ombra è invece possibile evocare un doppione oscuro per distrarre i nemici sicché però anch’esso può essere usato per farne strage. Domino permette invece di legare le sorti di più personaggi a quella del bersaglio su cui si lancerà la magia, così che quel che capiterà al primo malcapitato si ripercuoterà sugli altri in un macabro effetto domino (rompete un collo, e ne romperete tre all’unisono, purché nell’aria di lancio della magia). Ipnosi, infine, evocherà uno spirito  direttamente dall’Oblio, con cui potrete lasciare di stucco i nemici per sgattaiolare via o per ucciderli senza allarmare troppo la zona.

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Insomma, se Corvo resta l’impareggiabile re dello stealth, ed è perfetto per chi vorrà intraprendere una partita con il minor numero possibile di vittime, Emily è invece quella che è più propensa ad uno stile di gioco mortifero e, talvolta, persino d’assalto. Un qualcosa che non avrebbe mai funzionato nel primo capitolo, e che invece qui si incastra perfettamente con le velleità dei vari livelli che non facilitano l’arrembaggio del giocatore, ma anzi cercano di porlo in situazioni difficoltose o comunque di svantaggio. Uno svantaggio che nel caso di Emily significa spesso dar sfogo ad una sadica creatività, nonché alla possibilità di un veloce rimescolamento delle carte in tavola qualora la situazione dovesse farsi impossibile da gestire. Detta più semplicemente: Corvo, pur nelle libertà offerte dal gameplay, resta comunque in difficoltà nel prendere certe situazioni di petto, mentre Emily ha dalla sua delle abilità che sembrano costruite apposta per renderla un’ecatombe rapida e subdola, capace di venire a capo anche di situazioni molto concitate senza poi dover effettivamente far uso della spada. E questo, signori, è uno dei più bei punti di forza del gameplay, che non vive di una contrapposizione manichea delle sue due anime ludiche, sleath ed action, ma che riesce (soprattutto con Emily) a mettere il giocatore nella situazione di poter risolvere lo scontro con il nemico con una rosa di soluzioni tale da trovare limiti solo nella fantasia di chi impugna il pad. Con un senso di libertà quasi assoluto e con la capacità di regalare soddisfazioni considerevoli tanto a chi vorrà caricare a testa bassa, tanto a chi deciderà, invece, un approccio più saggio e furtivo. In entrambi i casi senza sacrifici, costrizioni, e senza l’impressione di essersi persi una parte del divertimento… qualunque essa sia.

Infine, se proprio doveste optare per una partita senza l’uso delle stregonerie, il gioco vi offrirà comunque delle abilità da poter potenziare, che saranno però relative alle mere capacità fisiche dei due personaggi e che saranno qui identiche. Parliamo di un miglior recupero della vitalità, a salti più alti, parate più efficienti e così via. Non mancheranno, infine, i Frammenti d’Ossa, nulla più che una lunga sfilza di oggetti equipaggiabili con le più disparate abilità passive. Proprio suddetti Frammenti, già ben noti ai giocatori del primo capitolo della serie, sono poi i protagonisti di una piccola ma intrigante introduzione, quella relativa al crafting.
In Dishonored 2 è infatti possibile sia costruirsi da sé i propri amuleti, sia creare da zero delle rune, con cui velocizzare la progressione delle proprie abilità. Requisito fondamentale sono le ossa di balena, oggetti da reperire previa un’attenta esplorazione, ed al cui prezzo è possibile darsi da fare per la creazione di Frammenti e Rune. Il sistema è in verità estremamente semplice ed elementare, ma permette una cosa che nel primo Dishonored era impossibile, cioè equipaggiare più abilità passive di quante effettivamente sarebbe possibile fare. Questo perché i Frammenti d’Ossa saranno ben più numerosi di quelli che potranno essere inseriti negli slot a disposizione del personaggio. Il crafting aggira questa restrizione, permettendovi di creare un singolo frammento che raggruppi da un minimo di 2 ad un massimo di 4 abilità diverse, premesso ovviamente che siate a conoscenza dell’abilità da infondere nella vostra creazione, la qual cosa sarà possibile solo dopo aver volontariamente distrutto un Frammento per ottenerla. Il numero di abilità è immenso, e con un po’ di pazienza potrete indossare una serie di frammenti che, pur non sovvertendo le regole del gameplay (senza dunque rendervi la vita troppo semplice) vi daranno bonus consistenti e utili alla sopravvivenza, mantenendo il tutto comunque bilanciato e godibile.

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Ovviamente, non mancano poi monete e preziosi vari con cui rimpinguare il nostro bottino, utili ad acquistare i vari rivenditori del mercato nero (rivenditori che potrete anche svaligiare, premesso che ci riusciate…) che ci offriranno munizioni, proiettili, e persino alcune novità tra mine e granate, con cui potremo dar libero sfogo alle nostre abilità campali. Proprio i nostri gingilli saranno anche potenziabili, giacché potremo rendere pistole, balestre e quant’altro più efficienti sia in termini di velocità di fuoco, che di ricarica che di portata e precisione. Anche qui, il gioco avvinghia il giocatore invogliandolo all’esplorazione più forsennata per la ricerca di progetti senza i quali le migliorie più importanti non potranno essere né visibili né acquistabili. In tal senso Dishonored 2 è così subdolo da mettere a disposizione del giocatore due categorie diverse di progetti, quelli più comuni (di colore blu), con cui sbloccare le abilità più ovvie poco sopra descritte, e quelli più rari e difficilmente procacciabili (di colore giallo), con cui aggiungere ad armi e varie degli effetti unici tutti da scoprire.

Dulcis in fundo, come se le rune e i Frammenti d’Osso non costituissero di per sé una buona serie di oggetti da stanare negli intricati livelli di Karnaca, il gioco vi offrirà anche ben due set di collezionabili e una piccola rosa di missioni secondarie. Il tutto ovviamente senza suggerirvi troppo e lasciando che siate voi, giocatori, a scoprire il tutto attraverso un’esplorazione vorace e continua.

Osservare un quadro

Prima di avviarci alla conclusione di questa recensione, vorrei spendere qualche riga su quello che è un aspetto fondamentale del gioco: il level design. Generalmente vi proponiamo analisi simili all’interno dei precedenti paragrafi, integrandole alla lettura per rendervi le cose più digeribili (ed i testi meno lungi), ma qui la menzione è d’obbligo ed è poi il motivo fondamentale per cui questo titolo va premiato, encomiato e ricordato. Il level design di Dishonored 2 è infatti maestoso, e la cura impiegata nel mettere su certe soluzioni supera il concetto di “certosino” per finire nel maniacale. A stupire sono la semplicità di certe soluzioni, la cui apparente banalità diventa invece l’occasione per una curiosa sperimentazione sia da parte del team che da parte del giocatore. Giocando a Dishonored 2 non ho potuto fare a meno di pensare ad alcune frasi del sociologo tedesco Erich Fromm, che molto spesso si è espresso sul concetto di creatività. Riferendosi ad essa, e relativamente all’arte della pittura, Fromm una volta disse: “Il quadro dà vita all’osservatore, che a sua volta lo fa rivivere per sé”, e – credetemi – difficilmente troverete un quote migliore per descrivere proprio Dishonroed 2.

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L’abilità nel confezionare i livelli del gioco, e le soluzioni che animano alcuni di essi, è infatti tale da mettere il giocatore nella costante condizione di ripensare le proprie azioni e le relative priorità. Non si tratta ovviamente di una pratica ad uso e consumo di tutte le tipologie di giocatori, tant’è che come detto, molti di voi potrebbero non apprezzare certe soluzioni, o giocare livelli in modi completamente diversi rispetto a quanto fatto da altri. Ma il punto è proprio questo, ci sono opzioni e possibilità che il gioco accoglie con piacere dopo che il giocatore ha osservato i relativi problemi offerti dal livello, raggiungendo da sé le sue conclusioni. Sembrerebbe difficile da comprendere, ma lasciate che vi faccia un esempio pratico: ad un certo punto raggiungerete un livello in cui vi sarà proposto un enigma. Risolvere l’enigma è obbligatorio per procedere ma il bello è che potrete non esplorare praticamente nulla e provare a risolverlo da soli o potrete, se non ne sarete capaci, trovare la soluzione altrove e tornare poi a risolverlo. Ancora, potreste in quello stesso livello rendervi le cose facili sfruttando la guerra tra due gruppi per mettervi in un vantaggio “comodo” durante l’esplorazione, o ignorare la schermaglia e procedere solo con la ricerca o, ancora, ignorare di nuovo tutto e tornare solo all’enigma. Questo è un caso, ma il gioco ne propone altri, mettendovi nella costante condizione di osservare, giudicare il da farsi e poi agire. O perché no, osservare ed agire e basta. E benché pensiate che questo sia lo standard di gran parte dei videogame, vorrei farvi comprendere che in realtà non è così. Cioè è possibile per precise scelte di game e level design che vi permettono persino di barare, ma solo dopo aver “osservato” e portandovi, ad esempio, al completamento del gioco  – come dimostrato – in poco più di 30 minuti. La libertà è veramente enorme, ed è al servizio del giocatore. Per l’appunto: un bellissimo quadro da osservare e far rivivere per sé.

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Luci e ombre del gioiello del sud

Sotto il profilo tecnico, Dishonored 2 è diverse spanne sopra il suo predecessore, in primis per la qualità con cui sono stati costruiti i modelli, oggi più rifiniti ed espressivi seppur ancora lontanissimi dal realismo a cui comunque, la serie, non ha mai puntato. Del resto il gioco è costruito su di un motore completamente nuovo, il Void Engine, software proprietario che Arkane ha messo in piedi partendo dalle fondamenta del ben noto idTech, che il team ha smantellato e rimaneggiato a uso e consumo delle proprie necessità. Ne consegue, su tutto, un’immagine più pulita, con un orizzonte più profondo e nitido, molto distante da quello che era l’orizzonte offerto dalla Danwall del primo episodio ed evidentemente al servizio della splendida (e più luminosa) Karnaca. Anche i personaggi, come detto, ne hanno risentito positivamente e pur mantenendo uno stile conservativo, restando stilizzati per certi tratti, ed esagerati per altri con proporzioni anatomiche non sempre credibili eppure riconoscibilissime, con un rendering pulito ed elegante, supportato da texture quasi mai sotto la media, sia per ciò che concerne gli oggetti in movimento, sia per i materiali vari che compongono abitazioni, carrozze, suppellettili e quant’altro.

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Anche la gestione luci è stata completamente rivista e Karnaca è un’ambientazione più luminosa e raggiante che mai nelle sue costruzioni a metà tra steampunk, occasionalmente fuso all’arte moderna concettuale, all’art decò o ad un puro e semplice lassismo, a simbolo dei quartieri più poveri e sfortunati.
Il punto è che Karnaca, nella sua maestosa e opulenta bellezza è dignitosamente sorretta dal motore di gioco, laddove la precedente Dunwall si perdeva troppo spesso in una generale povertà di dettagli, il Gioiello del Sud è invece magnifico ed eterogeneo, mescolando bellezza e degrado, ricchezza e povertà, fungendo da palco dignitoso e forse persino migliore di quello offerto dalla Dunwall del precedente capitolo.
Restano moltissimi i livelli che alternano bui claustrofobici a ombre inquietanti, ma in generale l’illuminazione è realistica ed efficace e restituisce un quadro in movimento sempre apprezzabile e soprattutto affascinante, lontanissimo dalla resa artefatta e oggi più che mai mediocre del primo Dishonored. Sottotono sono invece le animazioni in generale, con una certa incertezza anche nelle collisioni che specie nei combattimenti mostrano il fianco a diverse critiche, per lo più relative alla pulizia degli impatti e, in generale, all’hit box offerto dal gioco che non sempre permette di percepire chiaramente la distanza tra bersaglio e stoccata della spada. Un problema già noto nel primo capitolo, già discusso e masticato e che qui è stato solo marginalmente risolto.
Le pecche più grosse restano comunque due: la mancanza di competenza del filtro antialiasing, che spesso si perde in scalettature dove non se ne vorrebbero vedere ma qui, per fortuna, parliamo di poca roba; e l’efficienza dell’intelligenza artificiale, spesso troppo limitata dallo spettro visivo dei nemici, fuori dal quale sarete praticamente delle ombre. In generale i nemici si comportano secondo schemi semplici e prevedibili, limitandosi a chiamare rinforzi e ad attaccare in modo forsennato (e suicida). Il consiglio qui è di aggirare il problema avviando l’avventura ad una difficoltà più alta del normale dove il gioco (e le sue variegature) non perdono smacco e non costringono il giocatore forzatamente ad un approccio silenzioso, ma semplicemente rendono i nemici più reattivi ed attenti, rendendo la sfida più dignitosa e competitiva. Dishonored 2 non è insomma tecnicamente perfetto ma riesce comunque ad avvolgere e stupire il giocatore, per lo più grazie alla maestria con cui gli ambienti sono confezionati e per l’atmosfera generale che permea l’intera avventura, con i suoi alterchi di luci e ombre, tanto sotto il profilo narrativo che ambientale.