Tanti anni fa, quando c’era ancora la Lira, ricordo che iniziarono a spuntare a Roma molti negozi pieni di computer, nei quali con una piccola spesa si poteva giocare in lan con altri giocatori. Erano tempi di connessioni internet lente, decisamente costose e spesso utilizzabili senza tariffe aggiuntive solo in determinati orari, quindi l’unica opportunità per giocare in multiplayer con il PC era rivolgersi a questi posti. Il videogioco non si era ancora diffuso, e per citare gli Zen Circus il computer era roba “da perdenti”. Era l’epoca degli fps arena, Quake III Arena e Unreal Tournament, figli delle modalità multiplayer dei primi Doom. Dopo un Doom 3 che ha deluso parte dei fan storici, id Software ha deciso di seguire il trend dei reboot per permettere a noi figli degli anni 80/90 di fracassare teste alla vecchia maniera. Appena ho potuto ho quindi scaricato la beta di Doom, sperando di ritrovare quell’atmosfera tutta brufoli, videogiochi e Magic della mia adolescenza; il risultato però è stato un po’ dolceamaro.

https://www.youtube.com/watch?v=KSZ4tSoumNk

Un colpo al cerchio e uno alla botte

È bene chiarire subito che la beta in analisi offre solo due mappe e due modalità di gioco, e che quindi ci si rivede in sede di recensione per un giudizio vero. Il principale problema di questa versione di prova è la costante sensazione che gli sviluppatori abbiano voluto tenere il piede in due staffe, prendendo il gameplay dello sparatutto arena e ibridandolo con meccaniche più moderne di cui avremmo fatto volentieri a meno. Mi sentivo una vocina dentro, e sicuramente era Carmack in collegamento telepatico, che cercava di farmi capire che siamo nel 2016 e che sarebbe stato troppo old fashioned un multiplayer à la Quake III Arena. Se è vero che alle grandi masse non piacerebbe un impianto multiplayer anni ’90, e che queste masse sono il target di del nuovo Doom, è anche vero che l’eccessivo cerchiobottismo degli sviluppatori risulta in un prodotto né carne né pesce. La salute non si rigenera, i proiettili si raccolgono sulla mappa, i power-ups compaiono a tempo, il gioco è più veloce della media; ok siamo, nel ’99. Ma… Ma non è veloce come Quake III Arena, le armi vanno selezionate all’inizio del gioco, ogni volta che si muore si può scegliere un perk tra i vari disponibili, tutti più o meno inutili, si fa level up, si sbloccano nuovi equipaggiamenti, e c’è il doppio salto. Il gioco, capiamoci, funziona, però così come è impostato rischia di scontentare sia le vecchie generazioni che le nuove.

Doom (1)

Dall’altra parte della barricata

Le modalità disponibili invece sono due, la prima è il classico deathmatch a squadre e mentre la seconda è un King of the hill atipico: se è sempre necessario conquistare e difendere un punto, quest’ultimo non starà fermo, ma si muoverà di continuo lungo la mappa, obbligando i giocatori di volta in volta a seguire e controllare i diversi accessi da cui potrebbero arrivare i nemici; questa meccanica premia decisamente la velocità ed i riflessi, a scapito della pianificazione e della strategia, risultando sicuramente più aderente al mood degli fps che furono. In generale mi è parso che il team play sia poca cosa in nuovo Doom, e che a farla da padrone è invece la reattività del singolo giocatore, e questo non è necessariamente un difetto. Altro elemento che mi è parso interessante è la costruzione delle mappe, delle due che ho potuto provare almeno, piuttosto piene di cunicoli e fortemente sviluppate in verticale, tenendo in gran considerazione la meccanica di doppio salto.

Doom (4)

Questo discorso è legato a doppio filo con il precedente sulla centralità dei riflessi del giocatore nell’economia del gioco, dal momento che le fucilate in faccia possono arrivare anche dall’alto e dal basso. Sempre inerentemente alle meccaniche, la grande novità di questo Doom è la possibilità di trasformarsi in un demone, raccogliendo l’apposito power up che compare a intervalli sulla mappa. Il fortunato giocatore che ne entra in possesso si trasforma per un minuto in uno dei demoni provenienti dalla mitologia della serie – il solo Revenant era disponibile in questa beta – ammesso che non venga abbattuto prima da qualcuno della squadra avversaria, che nel riuscire nell’impresa di uccidere il mostrone di turno ne guadagna i poteri. L’idea è sicuramente interessante, anche se la riuscita fa storcere la bocca per colpa dello sbilanciamento che la trasformazione provoca nel rendere il giocatore interessato una macchina da guerra eccessivamente più potente delle altre forze in campo.

Doom (5)

Il sangue scorre a 60 fps

Tecnicamente non c’è assolutamente di che lamentarsi, dal momento che il gioco seppure non offra eyecandies incredibili gira senza incertezze a 1080p e mantiene praticamente senza inciampi i 60 fotogrammi per secondo. Certo, le textures non sono la fine del mondo, e la conta di poligoni non fa girare la testa, ma ricordiamo che parliamo sempre del lato multiplayer che deve privilegiare la stabilità del framerate. A livello artistico ho trovato davvero brutti i personaggi, e la loro personalizzazione, dal momento che sembrano più usciti da un Halo posticcio che da un episodio di Doom, mentre gli ambienti mi sono sembrati senza infamia e senza lode, ma ad onor del vero ero talmente tanto impegnato a correre e sparare che mi avessero messo dei coni gelato al posto delle candele a decorazione delle mappe me ne sarei accorto a stento. Assolutamente terribile invece la voce “narrante”, che nel cercare di avere un tono solenne passa direttamente al ridicolo più totale.

Doom (8)

In conclusione, questa versione di prova del nuovo inizio dello Sparatutto per eccellenza ha luci ed ombre, e non possiamo che attendere con ansia maggio per scoprire se id Software avrà smussato gli angoli ancora troppo affilati, e soprattutto per scoprire la campagna single player del gioco, che posso dire senza timore di smentita essere l’elemento centrale per chiunque sia cresciuto sparando razzi in bocca a tutto quello che usciva fuori dagli inferi.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.