Il tutto e la somma delle sue parti

Nel lontano ottobre 2014 (mamma mia quanto tempo è passato!), il Boss in persona firmava un editoriale in cui cercava di spiegare perché ci sono le recensioni, non solo su Stay Nerd, ma in generale. Perché si sente il bisogno di salire in una proverbiale cattedra ed esprimere un parere, in barba ai tempi che corrono, dove le informazioni viaggiano a velocità siderali. In quel frangente il Boss si interrogava davvero su quanto servissero e a chi servissero, quanto un redattore fosse responsabile della sua recensione e quanto un lettore dovesse accettare di quelle parole che riempivano le pagine. Davvero, un pezzo di analisi scritto ottimamente che non perde smalto nonostante i mesi passati. Vi consiglio di andare a ripescarlo. Oggi però, vorrei andare oltre quel discorso, vorrei guardare in faccia queste recensioni, le tante che abbiamo scritto, e metterle in gioco, cercare di capire se hanno davvero dignità di esistere così come sono state pensate.

Recensione

Abolizione

Il primum movens che mi ha spinto a buttare giù queste righe è stato una piccola, fugace, notturna discussione avuta nell’etere con un altro mirabile scrittore e conoscitore di videogame. Tutto è nato da una sua affermazione, forte e quasi assoluta, in cui chiedeva a gran voce e in maniera colorita che la parola COMPARTO venisse completamente cancellata dalle recensioni. Alla richiesta di delucidazioni, il motivo è risultato essere alquanto interessante: la divisione, lo spezzettamento, la ‘compartimentalizzazione’ dell’opera (che sia un videogioco, un libro o anche un film) diventa ‘una bella via di fuga dall’incapacità che dimostriamo costantemente di non riuscire a rendere il senso di ciò che facciamo, così ci rifuggiamo nella catalogazione’ [cit. dalle parole testuali del collega].
La catalogazione quindi è più o meno il male assoluto, o quasi, quella cosa che emerge quando in pratica non sappiamo come articolare un discorso, non troviamo la giusta prospettiva per guardare con dovizia il ‘tutto’, abbandonandoci alla oziosa analisi delle singole parti: noi redattori ci affidiamo allo spezzettamento del prodotto quando non riusciamo a guardarlo nella sua interezza.

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È un punto di vista molto duro, assolutista, che mette sul piatto un sacco di concetti, e che soprattutto spara sulla qualità e sulle impostazioni di molti lavori di critica. Dalla sua ha un fondo di verità: i videogiochi stanno diventando ormai un mezzo di comunicazione così complesso e importante da perdere la vecchia connotazione di piccoli divertimenti elettronici, o scacciapensieri. Ormai ‘sti videogiochi ti fanno venire i pensieri, altro che scacciarli! Il collega redattore è stato molto chiaro: non è la parola in sé a disturbarlo, ma il concetto che si porta dietro, un po’ datato e forse magari rottamabile. D’altro canto, io non la vedo come lui, non in maniera così drastica. E ora vi spiego perché.

Le singole parti…

Io sono un vecchio: ho imparato a leggere le recensioni e poi a scriverle con modelli su carta stampata, vecchie riviste e mensili a tema. Quella è stata la mia palestra, la mia scuola, e da lì ho mutuato le regole per scrivere una recensione, da lì ho scoperto che esistono tante sfaccettature nascoste sotto la superficie grezza del gioco che meritano di essere messe a nudo. Ho imparato queste cose, ne ho fatto tesoro e ho mosso i primi passi parlando di grafica e sonoro, longevità e gameplay, tutto ben ordinato, talvolta in sequenza rigorosa, dando a ciascuna delle varie caratteristiche un voto. E cercando poi di far quadrare il cerchio arrotondando una drammatica media aritmetica per riuscire a sintetizzare in un numero solo anche il mio parere personale.  Questo era all’inizio. Poi, mi sono divertito a sperimentare, ho fatto davvero un po’ di tutto per le mie recensioni, mischiare le parti, accorparle e nasconderle, ho addirittura preso a scrivere piccole premesse romanzate per il gusto di farle, per il gusto di divertirmi. Perché ero giunto alla conclusione che la recensione per me doveva essere divertente esattamente come lo era stato il gioco.

Recensione

Nonostante tutte queste sperimentazioni (per modo di dire), persistono nel mio modo di impostare i miei lavori di critica, i dettami della schematizzazione classica. Il motivo? Non è affatto pigrizia nel cercare qualcosa di diverso, come qualche malpensante potrebbe immaginare, non è neanche la volontà a uniformarmi a qualche particolare corrente di pensiero vetusta o in via di essere sorpassata.  Semplicemente reputo questo metodo estremamente efficace nell’analizzare un prodotto, qualsiasi esso sia. Anche un videogioco.  Talvolta ci si trova di fronte a lavori enormi, che subissano di informazioni multiple il fruitore, tanto da ubriacare chi si avvicini a loro senza un briciolo di preparazione. Esistono recensioni difficili, appunto, che meritano di essere affrontate con calma, con metodo. E il modo migliore per guardare davvero negli occhi un videogame (o un film, o un libro) è quello di ridurlo ai minimi termini, per avere tra le mani pezzi di un tutto facilmente manipolabili. Ogni singola parte ha un suo pregio o un suo difetto, ha un valore che in qualità di recensore devo evidenziare, iniziando da una prospettiva assoluta. Spezzettare il gioco in tutto ciò di cui è composto non lo snatura, ma anzi lo mostra uno strato alla volta, svelando tutti i suoi segreti, anche quelli più reconditi, facendo sì che chiunque getti un occhio si renda conto di cosa c’è davvero di buono e cosa no. Per questo secondo me la parola ‘comparto’, che può essere riferita al comparto tecnico, a quello multiplayer, a quello single player in ambito videoludico, è ancora fondamentale nell’affrontare una recensione con metodo e con rigore, senza che ci si lasci travolgere da entusiasmi inevitabili che potrebbero in un certo senso oscurare il giudizio oggettivo su un videogioco.

…e la loro somma

Questo non vuol dire che la recensione è solo un’analisi strumentale e algida di quello che c’è dentro la scatola di un gioco. Assolutamente NO! L’approccio schematico e metodico è solo il primo passo, il modo per iniziare il lavoro con l’occhio del giudizio pulito e netto. Da questo punto possiamo quindi iniziare a costruire la vera recensione, quella che andrà a mettere insieme i pezzi, che rimonterà tutto quello che abbiamo visto e sentito e ne darà un finalmente il giudizio finale. Vi confesso una cosa: guardando un videogame ci vedo tante cose. Innanzitutto è un opera di codici informatici, programmi e routine più o meno complicate. Ci vedo subito un lavoro tecnico che funge da tappeto elettronico, che rappresenta le fondamenta e lo scheletro di tutto il prodotto finale. Questo glaciale e asettico comparto tecnico è condannato a essere piegato ai voleri di una storia, nascosto in maniera più o meno netta dalle volute di un comparto narrativo che può essere preponderante o scialbo, ma che comunque esiste. La ‘piegatura’ del comparto tecnico può essere tanto più destruente quanto lo è l’impianto stilistico di un gioco. Tutte queste cose, e sicuramente tante altre che non sto a enunciare per annoiarvi, sfociano turbinosamente in quella che potremmo chiamare Gestaldt, la percezione del tutto come un’unica grande esperienza unitaria.

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Questo è il punto massimo e finale a cui deve arrivare una recensione: illuminare la Gestaldt di un prodotto, dopo averne smantellato tutte le singole unità, passate al microscopio e sezionate con rigore quasi scientifico. Questo momento quasi rivelatorio non è un passaggio così immediato e scontato, ma anzi al contrario, può serbare sorprese: non sempre il tutto che abbiamo tra le mani è uguale alla somma delle singole parti, ma anzi, può essere di più, ma purtroppo può essere anche di meno! Quindi per concludere: il discorso del mio collega è giusto sotto moltissimi aspetti, e rappresenta una direzione verso cui la critica videoludica si sta dirigendo, anche se per motivi decisamente più puerili. Bisogna cercare di mostrare i videogiochi nella loro interezza, come prodotti complessi e sfaccettati quali essi sono, ma contestualmente, per quel che mi riguarda, questo traguardo è la fine di un percorso che invece affonda all’interno di ogni singolo aspetto dell’opera videoludica.
D’altronde, qui a Stay Nerd lavoriamo proprio in questo modo, lasciando che la Gestaldt di un videogame emerga nel commento finale, che non è un riassunto di quanto detto prima, ma una summa, una coagulazione di concetti concentrici che spiegano il senso del videogioco e della recensione stessa.

E il voto è UNICO.  

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.