La mentalità non ha prezzo

Internet è uno strumento straordinario, ed è probabilmente l’invenzione più importante degli ultimi decenni. Parafrasando un famoso meme, grazie ad una connessione mobile ed un motore di ricerca, abbiamo accesso in pochi secondi a praticamente tutta la conoscenza umana, eppure lo utilizziamo per cercare foto di gattini e video scemi. E vomitare rancore, aggiungo io.

Perché la Rete è un’ottimo specchio di ciò che è diventata l’umanità. E se prima in fondo lo sospettavamo che l’umanità, sotto sotto, fosse un po’ scemotta, con quel megafono potentissimo che è l’Internet, è come se taluni volessero proprio gridarlo al mondo, giusto per fugare ogni dubbio. Il caso più recente riguarda Spotify.

Vi aggiorno per quelli che nell’ultima settimana fossero rimasti bloccati nel traffico dello spazio dietro la Tesla di Elon Musk: Spotify si è accorta che sempre più utenti utilizzano account crackati per accedere ai loro servizi in maniera gratuita e fraudolenta, e ha deciso di dichiarare guerra ai “pirati”, sospendendo tutti gli account sospetti, essendo poi anche piuttosto facile individuarli. Apriti cielo.
“Ma il servizio costa troppo”, “Siete ridicoli”, “Non ci avrete mai”, valutazioni ad una stella che fioccano sulla pagina dell’applicazione; ne abbiamo lette di tutti i colori sui social negli ultimi giorni.

Analizziamo un attimo la situazione: un account premium (ossia quello senza pubblicità) di Spotify, costa circa dieci euro al mese. Se siete degli ascoltatori di musica, saprete che il prezzo medio di un disco appena uscito è tra i 16 e i 20 euro. Dunque, facendo due conti, esiste un servizio che vi offre un catalogo musicale pressoché illimitato, facendovelo pagare il costo di un CD ogni due mesi: vi sembra troppo?
E badate bene, lungi da me far pubblicità a tale servizio. Personalmente non possiedo neanche un account, affezionato alla mia collezione da 300 e passa CD.
Tantomeno sono qui per farvi i conti in tasca, d’altronde uno i suoi soldi li spende (o decide di non spenderli) come meglio crede, e ci mancherebbe altro.

Se non fosse per un piccolo particolare: il servizio di base è gratuito.
Basta solo accontentarsi di una qualità audio un pochino più bassa, e sorbirsi qualche pubblicità, ma quello stesso catalogo vastissimo è disponibile anche senza sborsare un euro e in maniera legale. Del resto se hai necessità di spostarti, ma il Mercedes costa troppo, pazienza, ti compri il Pandino usato, o usi i mezzi, o in ultima istanza vai a piedi. Non è che vi mettete a rubare macchine agli incroci, magari aspettando quella rara che vi piace tanto, come dei novelli CJ in San Andreas. No, neanche questo ci va bene.

Ma non di solo musica vive l’uomo: le attenzioni del post-nerd sono più orientate su cinema, serie TV, videogiochi, e per quelli bisogna per forza dissanguarsi. Sicuri?
Un abbonamento base a Netflix costa 4 euro al mese, e se vuoi i pacchetti più costosi e con più servizi, puoi perfino condividerlo con altri amici dividendone la spesa, eppure continuiamo a protestare quando ci chiudono il sito di streaming pirata.

editoriale spotify gratis

Ci si lamenta del fatto che i giochi in digitale costino praticamente quanto quelli retail, il che in una minoranza di casi è anche una protesta sensata, eppure mi viene da chiedervi, l’avete mai fatto un giro su Steam? Conoscete servizi come l’Humble Bundle? Avete mai visto le offerte degli store Sony o Microsoft?
Senza contare che un videogioco spesso finisce per costare la metà a soltanto un mese dall’uscita, eppure continuiamo a preordinare i titoli al day one, anche se qui si aprirebbe un discorso che abbiamo affrontato già una marea di volte.
A mio avviso la verità è un’altra: possiamo provare quanto volete a farla passare per una battaglia morale, ma il punto è che ci pesa il culo pagare quei soldi, che siano l’euro e cinquanta del biglietto dell’autobus, i dieci euro del cinema, i venti del CD o i sessanta euro del videogioco, poiché se possiamo avere la stessa cosa gratis allora saremmo stupidi a non approfittarne. È illegale? Eh, pazienza.

Ebbene, sarebbe ora di cambiare questa mentalità. Perché siamo i primi a indignarci quando ci viene offerto un pagamento in visibilità, quando uno studio viene risucchiato da una grande azienda, quando ci chiedono di fare un lavoro di grafica per dieci euro perché “Tanto ci mettiamo cinque minuti al PC”, ma finché siamo noi per primi a trattare il lavoro altrui come qualcosa che non valga la pena pagare, non è che sarà anche un po’ colpa nostra?

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.