Noi di Stay Nerd, in quel di Etna Comics 2017, abbiamo avuto l’onore e il piacere di intervistare Mark Texeira, celebre disegnatore americano, tra DC, Marvel, Image e altro ancora, iconico e riconoscibile per via della sua formazione e del suo stile fortemente pittorici. Mark, per la prima volta in Italia, ci ha parlato del suo amore per l’arte nostrana e, ovviamente, di fumetti! Scopriamo com’è andata, nel resoconto della nostra intervista!

Prima di tutto grazie per essere con noi, siamo veramente onorati di poterti intervistare, hai una lunghissima carriera alle spalle e i tuoi personaggi sono conosciuti da tutti.

Sono molto felice di essere qui, è la prima volta che vengo in Italia e sono davvero emozionato, questa è la terra di Da Vinci e Michelangelo!

Per rompere il ghiaccio ti domandiamo: qual è il tuo personaggio preferito tra quelli con cui hai avuto a che fare e quale, se ce n’è, uno che non hai mai disegnato.

Bella domanda! Spider-Man, Ghost Rider, The Punisher, tutti questi li ho disegnati e mi piacciono molto. Tra quelli che non ho avuto l’opportunità di disegnare, direi Daredevil, ma anche altri come Harley Quinn. Spero possa capitare l’occasione. Voglio dire, non ho mai disegnato Hellboy, voglio disegnare anche Hellboy! Così come tanti altri personaggi.

Hai uno stile molto particolare, come hai iniziato a disegnare?

Sono sempre stato influenzato da Kirby e Adams, ma ho iniziato alle superiori con il disegno dal vero, quindi ho copiato dai maestri come Rembrandt. Ho iniziato così, quando avevo quattordici o quindici anni. Poi, verso i diciassette, mi sono avvicinato al fumetto con degli amici del liceo artistico e a diciannove o vent’anni ho iniziato a disegnare He-Man per la DC Comics. Ho sempre cercato di fare storie potenti, con una mitologia alle spalle. Comunque ho sempre amato i fumetti, fin da quando mi ricordo. A dieci anni leggevo Spider-Man e ho sempre desiderato disegnare.

E per quanto riguarda la tecnica?

Beh, si inizia sempre dalla sceneggiatura. Leggo quella, poi divido la pagina e inizio a pensare all’azione, a come riuscire a raccontare la storia solo per immagini. Cerco di emulare Jack Kirby, per esempio, che aveva uno stile molto dinamico. E poi inizio a disegnare dentro la mia testa, uso me stesso come modello per le pose, prima usavo uno specchio, adesso una fotocamera digitale. Oppure uso le action figure, per esempio ne ho una di Wolverine, o ancora i manichini.

Credi che le arti figurative come pittura e scultura continuino a influenzare il mondo del disegno fumettistico?

Sì, o almeno lo spero. Credo che al momento ci sia più arte digitale che pittura, ma quando ci stuferemo del digitale, torneremo alla pittura. Però la pittura è lenta, dunque i pittori torneranno al digitale e così via, avanti e indietro. Perché quando dipingi puoi vendere il dipinto, mentre se fai arte digitale non hai niente da vendere. Un dipinto cresce di valore, anche dal punto di vista emozionale, sai che una persona fisica ha toccato i pennelli che hanno lasciato quelle tracce, mentre in futuro anche un robot potrebbe lavorare in digitale. Io resto un tradizionalista fino alla fine.

Cosa ne pensi del nuovo rapporto tra fumetto e cinema?

Un fenomeno simile è sempre positivo, il problema si presenta quando ci sono troppi film e troppe poche storie, e si basa tutto sugli effetti speciali. Questo non è positivo. Ci devono essere delle buone storie alla base, che rispecchiano sempre degli archetipi universali: il dolore, la perdita, la vittoria, la salvezza dell’umanità… Alla fine si fondano tutti sulla speranza, un sentimento chiave. Se ci pensate, Mosè è arrivato a salvare gli ebrei un po’ come Superman arriva da un altro pianeta per salvare l’umanità dai cosiddetti “cattivoni”.

Questo è il motivo per cui alcuni si preoccupano delle trasposizioni cinematografiche: perché il mercato dei fumetti segue le linee dei film. Perciò se abbiamo delle non-storie al cinema, questo rischia di riflettersi nel cartaceo, abbassando la qualità.

No, i fumetti saranno sempre letti e venderanno sempre. È importante che le storie restino molto intense, e si troveranno sempre nuovi modi di raccontarle. Questo però dipende anche dalla collaborazione tra sceneggiatore e disegnatore. Per esempio, io ho lavorato con grandi scrittori come Neil Gaiman e Frank Miller, proprio per questo cerco sempre di dare sempre il massimo e di essere di ispirazione per le prossime generazioni di artisti.

Stai lavorando a qualche progetto, al momento?

Sì, ho appena finito un crossover di trenta pagine su Jonah Hex e Yosemite Sam per DC Comics. È uno degli incontri speciali tra i personaggi dell’Universo DC e i Looney Tunes di Warner Bros, che usciranno presto. Yosemite Sam trova dell’oro e ha bisogno di aiuto per proteggere la sua scoperta, ed è qui che entra in gioco Jonah Hex, che non è tanto amichevole con il piccolo Sam, ma alla fine accetta di aiutarlo. È una storia buffa, un western, un genere che non faccio da un bel po’, dopo qualche numero di Jonah Hex nei primi anni ’80. E potrebbe esserci occasione di tornare a disegnare Ghost Rider, per una serie di cinque numeri, di nuovo con Marvel, cosa mi piacerebbe molto. Vorrei anche realizzare più dipinti.

Ultima domanda: abbiamo parlato di pittura e vorremmo ricollegarci a quanto ci ha detto di recente Milo Manara, durante l’ARF!, sulla relazione tra pittore e modella. Tu come vedi questo rapporto?

Beh, il rapporto tra modella e pittore nasce molto tempo fa, pensiamo per esempio ai pittori del Rinascimento italiano. Prima della nascita della fotografia, le modelle venivano osservate a lungo. Del resto le persone guardano sempre altre persone: anche quando vai al cinema a vedere un film, o al supermercato, stai guardando altre persone. È strano, ma ci piace guardarci e inventare storie sulle persone che guardiamo. In questo modo impariamo anche qualcosa di noi stessi. E quello tra pittore e modella è qualcosa di simile, un rapporto simbiotico, di reciproco scambio e aiuto.

Perfetto, grazie mille ancora per quest’intervista e a presto!

Grazie a voi! Ciao!