Il bicchiere mezzo vuoto

Quando si è leader in un settore di mercato, paradossalmente si è in una situazione scomoda: da un lato si è tentati di lasciare le cose come stanno. D’altronde, come si dice, “squadra che vince non si cambia”. Dall’altro bisogna trovare il modo di tenere stuzzicati i propri fan, che altrimenti rischiano di “assuefarsi” al gioco e lasciarsi tentare dalla concorrenza, per il gusto di cambiare un po’.

Se però si è indecisi su quale strada percorrere, il rischio è quello di lasciare sul mercato un prodotto a metà, che pur presentando qualche cambiamento anche di rilievo, mantiene intatte le sue caratteristiche chiave, difetti compresi, dando l’impressione di non aver avuto il coraggio di osare, e di essersi quasi accontentati e seduti sugli allori.

Ed è esattamente questa la sensazione che ci ha lasciato FIFA 18, che presenta diversi rinnovamenti rispetto al predecessore, alcuni peraltro molto indovinati, ma che finiscono per risultare solamente degli inutili orpelli, visto che gli storici difetti della serie sono rimasti pressoché identici.

Giusto per rinvangare lo storico scomodo paragone con PES, l’ultima edizione della simulazione calcistica giapponese presenta un’interfaccia presa di peso dall’edizione precedente: come scritto in sede di recensione menù, grafiche e modalità sono identiche all’anno scorso, ma una volta scesi in campo ci si accorge di una vera e propria rivoluzione attuata da Konami, che ha dotato PES 2018 di un gameplay eccellente.

A volte ritornano: Alex Hunter

In FIFA 18 succede l’esatto opposto. La scintillante modalità “Il Viaggio”, che riprende le avventure di Alex Hunter introdotte nella scorsa edizione del gioco, è più ricca che mai. Nuova storia, tanti ospiti d’onore (da Cristiano Ronaldo, peraltro testimonial del gioco, a glorie del passato come Thierry Henry e Rio Ferdinand, addirittura una comparsata della stella NBA James Harden), la possibilità di personalizzare il giocatore con acconciature, tatuaggi e quant’altro, nuovi allenamenti. Tutto molto bello, per carità, ma se le scelte che siamo chiamati a fare, non cambiano che di una virgola l’esito della storia verso cui i binari ci vogliono portare, la situazione resta identica a quella dell’anno scorso.

Avere un carattere più focoso o più pacato, avere più follower o godere di maggior considerazione del mister, sono cose che influiscono praticamente soltanto sui bonus da sbloccare, dunque, e siccome stiamo parlando di capigliature e tatuaggi, non sono neanche così fondamentali. Ciliegina sulla torta il doppiaggio in italiano, che sarebbe anche ben fatto se non fosse per il fatto che nei dialoghi con le guest star, queste ultime recitano con la loro voce originale, in inglese, per un effetto surreale e alienante.

Il risultato è una modalità monca, che seppur in grado di appassionare il giocatore, manca di mordente e lascia un po’ l’amaro in bocca.

Ciak, si gira

Più o meno la stessa cosa avviene anche nell’altra modalità principale per il single player, la carriera. A cambiare sono le modalità di trattare i trasferimenti, per i quali sono state introdotte delle cutscene: il motore di gioco mostra il proprio avatar che riceve i rappresentanti del giocatore e della società con i quali bisogna trattare per decidere un trasferimento. Numerose le opzioni nuove, dall’inserimento della clausola rescissoria a quello di una clausola che garantisca una percentuale sull’eventuale futura rivendita di un calciatore, tutti stratagemmi diventati quotidiani nel calcio moderno per cercare di strappare un prezzo o un ingaggio più bassi, dando la possibilità poi di rimpinguarli con determinati bonus, appunto.

La cosa è abbastanza coinvolgente le prime volte, ma rallenta terribilmente il ritmo di gioco: tra caricamenti, filmati e la trattativa in sé, la gestione del mercato è veramente interminabile. Certo c’è la possibilità di saltare i dialoghi, ma a quel punto avremmo preferito sin da subito avere un menù più spartano ma funzionale.

Il lato positivo

E il lavoro svolto sul terreno di gioco rispecchia poi quanto appena raccontato: anche in-game FIFA 18 presenta qualche efficace cambiamento in positivo. Le nuove animazioni sono molto indovinate, così come le nuove mosse studiate per completare il rinnovato sistema dei cross: ci sono più soluzioni per i tiri a mezz’altezza e i tiri al volo sono più convincenti. Spettacolare poi l’atmosfera, e sebbene la grafica non sia comunque all’altezza del Fox Engine della concorrenza, il lavoro svolto sulle luci è ottimo, così come il sonoro ed il comportamento e il dettaglio delle tifoserie sugli spalti. Buona anche la telecronaca di Pardo e Marchegiani, che rinnova un minimo il proprio campionario di frasi (a differenza di PES), pur cadendo in qualche strafalcione.

Ottimo l’inserimento della sostituzione rapida, da poter effettuare durante le pause di gioco, quando il pallone esce fuori, senza bisogno di richiamare il menù della gestione squadra. Un cambiamento piccolo che però effettivamente ci ha molto soddisfatti, tanto da chiederci come mai nessuno ci abbia mai pensato prima.

Il parco licenze poi è veramente enorme (personalmente mi fa molto piacere l’inserimento della nazionale islandese, anche se mi manca terribilmente quella del Giappone), e anche laddove ne manca qualcuna, il risultato è comunque apprezzabile visto che EA ha l’enorme pregio (sempre rispetto alla controparte Konami) di utilizzare i nomi delle città da cui provengono le squadre, piuttosto che nomi completamente inventati, ed anche le maglie delle varie squadre rispecchiano i colori reali. La Cremonese dunque diventa il Cremona, non “LB Red Grey”, ad esempio, così come il Bari resta il Bari pur senza licenza, e non diventa il “Bagnaroni” come in PES.

“Ci prova… non va!”

Si resta invece clamorosamente fermi sui classici difetti della serie: il ritmo di gioco è troppo veloce e poco realistico, i portieri sono fessi al limite del ridicolo, le partite spesso finiscono in goleada e quella fastidiosa sensazione che se una partita deve finire in un certo modo, finisce in quel modo. Quei legni strategici colpiti all’ultimo minuto, quelle partite in cui la palla non vuole proprio entrare, quei match che nonostante i 15 tiri a 1 in proprio favore, finiscono 1-1. Certo, partite così le vediamo anche nella realtà, ma (per carità, potremmo anche sbagliarci) francamente dubitiamo che si voglia cercare di ricreare la frustrazione di tali episodi.

Anche per quanto riguarda l’online, poche novità: le modalità sono le stesse di sempre, il netcode è molto solido, come d’abitudine, e tra Ultimate Team, Stagioni online e quant’altro potreste tranquillamente tenere il blu ray del gioco inserito nella console fino a settembre dell’anno prossimo.

Perché, chiariamoci: FIFA 18 è comunque un buon gioco di calcio, che resta sempre divertente da giocare. Che siate amanti del single player offline, o che siate stati folgorati da FUT e avete fatto del multiplayer online il vostro passatempo preferito, o ancora che preferiate giocare in compagnia degli amici di sempre sul divano di casa vostra, il titolo di EA Sports si lascia giocare come sempre, anche con molto piacere.

La brutta sensazione che lascia però, è che finché i dati di vendita continueranno a dare ragione al colosso americano, e finché la gallina dalle uova d’oro che risponde al nome di Ultimate Team continuerà a macinare soldi su soldi, EA preferisca concentrarsi sugli aspetti extracalcistici del gioco, e che non abbia alcuna intenzione di provare a migliorare gli evidenti difetti a livello di gameplay che FIFA si trascina dietro da anni. E adagiarsi sugli allori è un errore che alla lunga si paga, soprattutto con una concorrenza così agguerrita.

Verdetto

FIFA 18 prova a rinfrescarsi mettendo un vestito nuovo alla modalità storia ed arricchendo la carriera con un rinnovato sistema di gestione delle trattative: tutto bello, ma niente di così rivoluzionario. Sul campo da gioco cambia invece poco e niente, stesse modalità (sia online che offline) e stessi difetti storici della serie. I portieri meriterebbero una bella rivisitazione e le partite, soprattutto quelle online, finiscono spesso con risultati poco credibili. Ed è un peccato, perché il gioco è comunque godibile e divertente, sia in single player che con gli amici, e molti dei nuovi spunti sono buoni. Luci, sonoro e parco licenze sono tra i migliori della serie, e il nuovo sistema di sostituzioni rapide è ottimo. Ma senza un buon rinnovamento del gameplay, sono sforzi che finiscono per restare un po’ fini a se stessi.

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.