“Si può cucire quasi ogni cosa nella stoffa del soprabito”

Candidato al premio Oscar per Miglior film, Miglior regia, Miglior attore protagonista, Miglior attrice non protagonista, Miglior colonna sonora e migliori costumi, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson, con protagonista l’eccezionale Daniel Day-Lewis, è prossimo ad approdare nelle sale italiane (il 22 Febbraio) ed abbiamo avuto il privilegio di poterlo vedere in anteprima.

Dopo averci regalato performance magistrali ne Il petroliere, Gangs of New York o Lincoln, Day-Lewis, o colui per il quale ogni aggettivo è superfluo, torna sul grande schermo per l’ultima volta nella sua carriera, omaggiandoci con il ruolo di Reynolds Woodcock ne Il Filo Nascosto.
Il rinomato stilista inglese è una figura carica di pathos, un uomo che vive con il dramma dentro di sé, capace di far diventare l’intera pellicola nient’altro che la trasposizione della sua anima.


Il filo nascosto è ben più di un dramma, è un’analisi intima ed introspettiva nell’Io di un uomo tanto forte quanto debole, incapace di denudarsi della propria corteccia, incapace di legarsi, incapace di amare e di staccarsi dalla sua routine, dalla sua comfort-zone.
Anderson ci mette dinnanzi ad una piccola meraviglia fatta su misura di Day-Lewis, come i vestiti cuciti dal suo personaggio, regalandoci un film che, durante l’intero arco di proiezione di poco più di due ore, è una costante ed incessante analisi di una figura estremamente complessa e semplice allo stesso tempo.

La fotografia, la gustosa e delicata colonna sonora dominata da archi e piano, e la minuziosa cura dei costumi, ci permettono di entrare in un mondo di perfezione, eleganza e meticolosa, se non maniacale, cura dei dettagli imposta dal genio di Woodcock.
Un genio mai ribelle, sempre ligio al dovere e al lavoro per il quale vive ogni secondo della sua vita, fino a quando il meccanismo di questo meraviglioso orologio d’epoca non si inceppa, quando un rotella, tra i vari ingranaggi, si blocca, e quel piccolo imprevisto porta il nome di Alma.
Una giovane ragazza carica di vita che decide di infatuarsi di quell’uomo tanto affascinante quanto detestabile. Un uomo intrappolato in un’apparente perfezione, che viene compromessa, momentaneamente, nell’esatto istante in cui decide di amare qualcosa che non sia un abito cucito dalle sue mani.


Il lavoro di Lewis è talmente realistico, talmente forte ed efficace, che ci sembra di trovarci di fronte ad un vero artista della moda. La perizia con la quale tesse, prende le misure e disegna i suoi bozzetti, passa attraverso gesti esageratamente vivi e ricchi di un’implicita malinconia.
In tutto ciò viene impeccabilmente coadiuvato dal lavoro dell’attrice lussemburghese Vicky Krieps, che riesce a far apparire perfettamente sullo schermo il disagio vissuto dalla giovane amante durante tutte le fasi della loro relazione.

Ma se Lewis è stato ancora una volta eccezionale, un plauso va senza dubbio fatto al regista Anderson il quale, dopo pellicole del calibro del già citato Il petroliere o The Master, ci offre un’altra opera intima, introspettiva, ma che sa far provare allo spettatore emozioni diametralmente opposte durante tutto l’arco narrativo.
Un lasso temporale che, nonostante i vari mesi ed anni narrati, rimane fluido ed intangibile, quasi a voler sottolineare come tutti gli eventi siano realmente concatenati tra di loro tramite un filo invisibile, lo stesso che unisce, forse inspiegabilmente, le anime dei due amanti.
Seppur non abbia ricevuto una menzione agli Oscar (ma c’era da aspettarselo vista la mostruosa concorrenza), il lavoro svolto a livello fotografico è comunque meritevole di lode, riuscendo a donare, ad ogni singola ripresa, un’accuratezza tale catapultarci alla perfezione nel mondo dell’alta moda londinese dell’epoca.

In tutto ciò, però, se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo, il film appare in alcuni casi ridondante, ripetitivo, un po’ come la vita dell’artista, lasciando lo spettatore in alcuni frangenti desideroso di avere di più, ma conscio di non poter ottenere altro se non il dramma.
Ultima menzione di spicco va fatta senza alcun dubbio a Lesley Manville, che, interpretando la sorella di Woodcock, mette in scena probabilmente una delle migliori performance della sua carriera, donandoci un personaggio magistralmente riuscito.

il filo nascosto recensione

Verdetto:


Il filo nascosto è molto più di un dramma, è una pagina rubata dal diario segreto di un’artista, la trasposizione perfetta del disagio insito nell’animo dello stilista Woodcock, incapace di relazionarsi alla vita, rifiutandola e calpestandone la beltà.
Daniel Day-Lewis, senza dubbio, ha deciso di volersi ritirare dal mondo di Hollywood con una performance ricca di contenuti, di significati, di preparazione, un qualcosa che solo un attore del suo calibro poteva donarci.
Il suo modo di gesticolare, i suoi sguardi, la sua mimica è tutto esageratamente realistico e capace di incantare lo spettatore in sala.
Pubblico che, però, deve essere consapevole di ciò che sta per vedere, conscio di confrontarsi con un film impegnativo, forte, d’impatto, un dramma nel vero senso della parola.
Lewis viene brillantemente accompagnato nel suo cammino da due grandissime donne, Krieps e Meanville, che ci offrono un’interpretazione di spessore tanto quanto quella del pluripremio Oscar.
Un cammino costante, una narrazione ininterrotta, figlia di una regia minuziosa e amante dei dettagli, con il regista Anderson, che sa ricreare un ambiente degno delle nomination ricevute.

Leonardo Diofebo
Classe '95, nato a Roma dove si laurea in scienze della comunicazione. Cresciuto tra le pellicole di Tim Burton e Martin Scorsese, passa la vita recensendo serie TV e film, sia sul web che dietro un microfono. Dopo la magistrale in giornalismo proverà a evocare un Grande Antico per incontrare uno dei suoi idoli: H. P. Lovecraft.