Se i morti hanno camminato, camminano e cammineranno sulla terra, è grazie a lui

Si dice che gli artisti vivano per sempre grazie alle loro opere. Se questo è vero, e lo è, allora George A. Romero vivrà in eterno. Non solo per la sua sacra tetralogia, perfetta nel suo insieme, e superba nei suoi tre primi film, ma anche per la figura che ha creato. Lo zombie è un concetto “antico” ed esotico. È qualcosa che non centra con l’idea di Romero. È un concetto caraibico, di Haiti. È lontano. C’entra poco col mondo moderno. Eppure, un singolo uomo, un visionario (in quanto tale spesso bistrattato da molti, se non tutti) tira fuori dalla sua mente una rielaborazione terrificante, nuova e viscerale dello zombie, o meglio, del morto vivente. Un cadavere che a causa di un misterioso virus, a quanto pare si rianima, lento, inesorabile, con un unico pensiero: predare ogni singolo essere umano vivente, per cibarsene. Ma la genialità di Romero non consiste solo nel creare una nuova figura dell’orrore, ormai divenuta celeberrima grazie a migliaia di rivisitazioni, omaggi e scopiazzature. La sua vera genialità è criticare in maniera più o meno aperta ed evidente la società. E distruggere alcuni “stereotipi” dell’epoca.

Un terrore viscerale e profondo

La fantasia dell’uomo ha da sempre creato terrificanti mostri e creature da temere… Spiriti malvagi pronti a fiaccare la volontà delle persone, impossessarsi dei loro corpi: i demoni. La feralità dell’animo umano, trasfigurata in un’incarnazione bestiale e massacratrice: i licantropi. Una creatura antica, immortale, che vive alle spese degli altri: il vampiro. Uno spirito inquieto una volta uomo, ora condannato ad una terrificante sorte: il fantasma. Un terrore antico, proveniente da tempi in cui anche la morte poteva essere sconfitta: la mummia. E così via. In un panorama già tanto ricco di orrori, George A. Romero è stato in grado di creare la figura più terrificante di tutti: lo zombie, il morto vivente, NOI.

Gli zombie sono terrificanti, perché siamo noi. In tutto e per tutto. È una critica alla società, al suo mostruoso consumismo e alle sue abitudini cannibalistiche. Eppure anche un terrore più profondo. Perché la morte, sì, ci spaventa, ma ci spaventa ancora di più pensare che ci sia qualcosa di terribile oltre di essa. Una resurrezione innaturale, empia e malvagia. Che porta i nostri conoscenti, i nostri amici e i nostri più cari parenti ad essere un nemico. Ma non un nemico razionale e malvagio come le creature sopracitate, bensì qualcosa di ancor più terrificante, un automa spinto da un semplice input: mangiare. Mangiare le nostre carni, fare scempio dei nostri organi. Gli zombie terrorizzano non solo perché la prospettiva di morte per causa loro è la più spaventosa possibile, ovvero essere divorati vivi, ma anche perché, come sopra accennato, gli zombie siamo noi. Il nemico non è quindi qualcosa di lontano, mistico o soprannaturale. È il vostro vicino, è il vostro negoziante di fiducia. O peggio, è vostro fratello. O ancora peggio, è vostra figlia. Come se questo non bastasse, il morto vivente va a sconfiggere quello che è l’ordine naturale delle cose in maniera massiccia. La morte non è più la fine del viaggio, bensì l’inizio di una terrificante realtà. Per questo La Notte Dei Morti Viventi scosse il pubblico nel lontano 1968. Nonostante le immagini fossero in bianco e nero, tutti sono rimasti scioccati dal cadavere divorato al primo piano della casa. E tutti sono trasaliti, quando una madre è stata uccisa e mangiata dalla propria figlia. Se la figura dello zombie, da schiavo innaturale nelle piantagioni di cotone si è trasformato in un’apocalisse da incubo, lo dobbiamo a Romero. Il Padre degli Zombie.

La critica sociale tramite l’orrore

Non sazio di terrorizzare il mondo, George ha avuto anche un altro merito particolare. In una terra ancora stereotipata e razzista, mise al centro della sua storia un personaggio di nazionalità afro-americana. Come se non bastassero i morti che tornavano in vita per predare i vivi, il protagonista era un uomo comune e non ben visto dalla maggioranza della comunità. Non si fermò però a Ben, protagonista di The Night Of The Living Dead: in ogni suo film, il protagonista è di colore. Sebbene si possa pensare che in Day Of The Dead la protagonista sia la protagonista, sarà l’elicotterista a risolvere le situazioni, dimostrare eroismo, ma soprattutto umanità e profondità d’animo. Infine, nell’ultimo capitolo della tetralogia, il leader degli zombie, il cosiddetto “Big Daddy”, è un enorme zombie afro-americano che guiderà i morti in un massacro per ristabilire una sorta di pace.

I film di Romero, non solo riguardanti gli zombie, abbondano di critiche al governo e alla società. In pellicole come The Crazies (noto in Italia come: La Città Verrà Distrutta All’Alba) è palese il messaggio “anti-governativo”. Ancora più lampante, la critica al consumismo in Dawn Of The Dead. Quindi il regista non ha il solo pregio di aver inventato una figura inquietante, ma anche quello di averle dato uno scopo sociale ben preciso, quello di farci ragionare. E farci pensare.

Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra

Romero è andato per tutta la vita controcorrente. Una critica miope, nel ’68, stroncò il suo film, nonostante fosse campione di incassi. E nonostante Dawn Of The Dead si rivelò un successo, la sua terza pellicola fu girata con un budget più limitata del previsto, data la sua pubblicazione come film vietato ai minori, mentre la casa di produzione avrebbe voluto una pellicola fruibile a tutti. Ma le opere di Romero non erano, e non sono, questo. Non sono film per il grande pubblico, o meglio, possono essere visti in tante maniere: come film dell’orrore “mainstream” o come film dell’orrore dal profondo contenuto, sono piccole chicche sotto ogni punto di vista. Tralasciando la perfezione delle scelte stilistiche e tecniche, tra cui delle colonne sonore perfette (soprattutto in Dawn Of The Dead e Day Of The Dead) e la scoperta di piccoli geni in erba come Tom Savini e Greg Nicotero, Romero ha avuto l’abilità di dare un’impronta personale ad ogni sua creazione.

Molte frasi o fotogrammi di suoi film sono pietre miliari indimenticabili nella testa di un cinefilo che si rispetti. Citazioni diventate leggendarie, da “They’re coming to get you, Barbara” di Johnny, fino al “Spero vi ci strozziate” del Capitano Rhodes. Per concludere, ovviamente, con la frase di cui sopra: “Quando non ci sarà più posto all’inferno, i morti cammineranno sulla terra”. Che a pensarci bene non è solo una frase a effetto, ma piuttosto un avvertimento, un tetro monito per il futuro. Quando i peccati degli uomini saranno tali da non essere più rimediabili, il nostro mondo si trasformerà in un inferno reale. Terrificante. Niente male per un film del 1978. Forse anche troppo profetico, no?

Quindi George A. Romero non è morto. Perché il suo spirito e le sue idee vivranno eternamente nelle sue opere. Il padre degli zombie è morto biologicamente, sì, ma è ancora forte e vivo nelle sue creazioni. Ogni volta che sentirete in un film o in una serie qualcosa come: “Sparagli alla testa!”, lo dovrete a Romero. Ogni volta che penserete: “Cavolo, sembrano proprio degli zombie!”, lo dovrete a Romero. Ogni volta che rabbrividirete all’idea di orda implacabile, lenta, famelica e mortale, lo dovrete a Romero. Ogni volta che vedrete un film di questo straordinario regista di cui avete letto finora, lui sarà ancora vivo. Romero sarà sempre presente, nelle sue opere nonché nell’infinita progenie da esse generata: film, libri, fumetti e videogiochi. La sua creazione è immortale, e così sarà anche lui.

Grazie, George Andrew Romero.