C’è ancora Spirito nel Guscio? 

Sembra che la sempre più discussa “crisi delle idee” non caratterizzi unicamente Hollywood, bensì anche l’industria dell’animazione giapponese. È vero, l’ultimo lustro ci ha regalato qualche perla, ma se il 70% della programmazione risulta composta da tristissimi moe o da prodotti evidentemente basati sul fanservice, allora forse abbiamo un problema. Basta confrontare ciò che l’ultimo periodo ha offerto rispetto a ciò che gli anni ’90 – e fine anni ’80 – partorivano, per impallidire. Cavolo, senza tornare troppo indietro, basta anche solo dare un’occhiata al 2007. Non basatevi su quello che viene trasmesso in Italia: sto parlando di quanto viene rilasciato in Giappone, senza il “filtro qualità” (o supposto tale) dell’importazione.

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Scoppia così la tendenza ad adattare vecchi manga in nuovi anime, o rilanciare vecchi brand con valanghe di roba nuova (basti vedere Ken il Guerriero, Dragon Ball, Evangelion, Saint Seiya, Lupin, Capitan Harlock, Digimon, Sailor Moon, Berserk, Rocky Joe, Jojo e via dicendo), facendo leva sulla nostalgia e basandosi su opere che evidentemente avevano ancora qualcosa da dire. Che sia un bene o un male, ai posteri l’ardua sentenza; di certo toccare tasti come i ricordi della nostra infanzia può smuovere fin troppo i sentimenti, ed il rischio di risultare esageratamente severi o accecati dal fanboysmo rende dunque difficile essere del tutto oggettivi.
 In un simile ambiente, un’opera iconica quanto Ghost in the Shell non poteva che essere rilanciata assieme agli altri mostri sacri riportati in vita alla Frankenstein.

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Siamo ormai nella quarta continuity di Ghost in the Shell, dopo quella del manga (l’originale), quella delle prime due pellicole (1999, 2004) e quella della serie The Standalone Complex (2002, più relativo film finale). L’anime si pone dunque come sorta di midquel-rivisitazione della serie OAV “Ghost in the Shell: Arise” (di cui rappresenta essenzialmente l’adattamento televisivo), attualmente importata nel Bel Paese da Dynit. 
All’apparenza pare una sorta di prequel del primo film o della serie animata del 2002, tuttavia prende quasi fin da subito una strada differente. Per esempio, l’introduzione di Togusa – personaggio che in quasi ogni universo di GitS compare all’inizio come nuova recluta – crea contraddizioni con entrambe le continuity. La base narrativa già ben definita dalla serie OAV “GitS: Arise” (e dal resto del franchise, dopotutto) permette a Ghost in the Shell: Arise – Alternative Architecture di partire in quarta senza troppi indugi. Si dà infatti per scontato – probabilmente – che lo spettatore abbia visto gli OAV, o che quantomeno abbia familiarità con il cast; il risultato tangibile, è come la presentazione dei personaggi risulti infatti non necessaria, o se non altro non mostrata in maniera esplicita. La tipica sezione di episodi “leggeri/tranquilli” (atti a prendere confidenza con il cast) già vista in The Standalone Complex viene quindi saltata in tronco per catapultarci nell’azione più viva.

Reminiscenze passate


Veniamo dunque fin dai primi minuti a contatto col più ampio attacco hacker simultaneo ai Ghost (“l’anima” delle persone, elemento che distingue gli umani dalle intelligenze artificiali) su larga scala mai visto, che si traduce in un massacro di civili, poliziotti, ricchi imprenditori e via dicendo. Il tutto nei primi 10 minuti dell’episodio (che per altro, è tratto dall’ultimo film della tetralogia, mostrando una certa tendenza della serie a voler mischiare le carte in tavola).

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Una menzione alla sigla: l’opening non è nulla di particolarmente stupefacente, con una musica soft (non troppo memorabile ma orecchiabile) accompagnata da una rapida sequenza di immagini miste ad elementi grafici di stampo futuristico tali da comporre una sorta di confusionaria psichedelia digitale. Piacevole, tutto sommato.
 All’inizio dell’episodio ci viene sbattuta in faccia quella manciata di informazioni atta a permetterci di giustificare l’imminente caos militare al quale inevitabilmente assisteremo; senza scendere troppo nei dettagli, ci viene mostrata una sorta di serata di gala/presentazione pubblica organizzata allo scopo di promuovere l’appena annunciata privatizzazione dell’acqua giapponese. Fuori dall’edificio, un’ampia folla di cittadini manifesta in segno di protesta; la situazione viene classificata come “con priorità di primo livello” da quella che scopriamo essere la Sezione 9, unità segreta antiterroristica da sempre protagonista della serie. Tutti i negozi, ristoranti e locali pubblici vengono chiusi ermeticamente dalla Sezione tramite un’acquisizione forzata del controllo dei sistemi di sicurezza di un’intera ala della città, al fine di salvaguardare la vita dei civili.
 È qui che veniamo in contatto con uno degli elementi costanti del brand: la diplomazia militare. Se è vero che quasi un terzo dei prodotti di animazione targati Ghost on the Shell è composto da sezioni di stampo action, infatti, è anche innegabile quanto il resto passi da filosofia a dialoghi più o meno impegnati, a tratti investigativi/stealth, fino appunto a queste sezioni più “burocratiche”.

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Insomma, se non avete familiarità col franchise e pensate di potervici trovare un po’ di sana azione spensierata davanti a cui spegnere il cervello, non vi resta che ricredervi: l’azione frenetica si sposa infatti con un rapidissimo incedere degli eventi estremamente difficile da seguire senza la giusta attenzione. Oltre a ciò, i vari riferimenti sparsi per le serie richiedono – per essere colti – una certa cultura tanto tecnica quanto generale, ed i vari risvolti psicologico/filosofici (che determinati dialoghi spesso prendono) quasi implorano di essere ragionati dallo spettatore. In definitiva, se non ne eravate al corrente, Ghost in the Shell vi farà riflettere. Forse talvolta anche troppo.
Tornando all’episodio, la Sezione 6 protesta con Aramaki (l’anziano – questa volta, stranamente ringiovanito – a capo della Sezione 9), ma l’intervento viene giustificato in quanto a fini di sicurezza pubblica: in quel momento infatti, gli agenti della Sezione sono intenti ad infiltrarsi nella folla allo scopo di bloccare i pochi civili armati prima che la manifestazione degeneri. All’improvviso una guardia della polizia si mette a sparare ai civili, agli altri poliziotti, ed infine si uccide. Un piccolo appunto: in Ghost in the Shell, la stragrande maggioranza della popolazione mondiale (non del terzo mondo) possiede innesti cerebrali tali da accrescere le capacità del cervello, rendendolo però hackerabile. Questa volta però ci viene fatto sapere come si tratti di un virus, non un attacco hacker: lo stesso diffuso contemporaneamente nella presentazione d’alta classe, dove le guardie della sicurezza iniziano a fare massacri di uomini e donne di stampo nobile.

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Chicche per i fans

Un altro elemento distintivo della serie anime Arise emerge circa in questo punto: notiamo il Maggiore Motoko Kusanagi, protagonista e praticamente simbolo della serie, osservare la città dalla cima di un grattacielo, similmente a quanto visto durante l’apertura del primo film del ’95. 
I richiami all’opera originale non finiscono qui: la portavoce della conferenza, chiaramente al corrente e coinvolta nel massacro, si appella pubblicamente alla civiltà dello stato Giapponese confidando essenzialmente di poterla fare franca. Viene però immediatamente uccisa alle spalle dal Maggiore, che sorprende il proprio obiettivo quanto lo spettatore in una scena praticamente identica ad una vista sempre nei primi minuti del primo film. Il citazionismo della serie è evidente, così come il tentativo di richiamare le atmosfere originali senza però generare scene invadenti e superflue.

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Restando sul personaggio di Motoko, salta immediatamente all’occhio una caratteristica che ha fatto storcere il naso di non pochi fans storici: l’aspetto del Maggiore è questa volta profondamente differente da come siamo abituati, abbandonando le tipiche sembianze da maggiorata sexy per abbracciare un fisico più tendente a tratti quasi post-adolescenziali. Anche il volto ed i capelli non assomigliano agli originali; il restyle non è piaciuto a molti, sebbene la cronologia di Arise possa giustificarlo (buona parte del cast appare infatti ringiovanita). Tuttavia, il personaggio di Motoko risulta in grado di giustificare intrinsecamente un cambio totale di fisico ed aspetto più di qualunque altro: il suo passato infatti implica che il Maggiore cambi completamente il proprio corpobiomeccanico ogni tot anni (ed in effetti, tra il manga, i film e tutto il resto, siamo stati in grado di assistere a ben sette diverse “incarnazioni” del personaggio). Nulla di realmente nuovo, dunque.

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L’episodio prosegue con il ritorno dei distintivi e caratteristici robot-ragno-tank (carri armati autonomi ma pilotabili, provvisti di intelligenza artificiale, che da sempre affiancano la Sezione 9 nelle loro operazioni più “militari”), in una veste ancora diversa: trattasi infatti dei logikoma, rossi e dal design più massiccio dei tanto amati tachikoma. È vero, i tachikoma azzurri di The Standalone Complex sono diventati praticamente iconici (almeno, le vendite del merchandise derivato suggeriscono piuttosto chiaramente la cosa), quindi può sembrare azzardato sostituirli in tronco. Ma dopotutto, sono essi stessi un sostituto ideato per ragioni di copyright, atto a rimpiazzare i modelli di robot visti originariamente nel film (di cui lo studio di animazione non deteneva i diritti).
 La cosa ha funzionato nella prima serie grazie allo sviluppo delle personalità del singoli robot, atte renderli molto più complessi di quelli visti nel film originale; dopotutto, erano basati completamente sulle rispettive incarnazioni all’interno del manga, dunque godevano di una caratterizzazione marcata. Francamente, la stessa cosa non può essere detta riguardo i logickoma di Arise. Almeno, per quanto riguarda la serie OAV: il carattere dei robot non viene infatti approfondito quanto eravamo abituati, il che rende difficile affezionarcisi al posto di considerarli come una banale componente parlante dell’equipaggiamento militare relegato al background.
 Questa nuova serie potrebbe rimediare, è vero, ma le sezioni inedite non sono molte, e se si continua sulla falsariga del primo film sarà difficile rivedere gli amabili ragni-robot-killer dalla voce da loli in veste di protagonisti.

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Un’altra caratteristica tipica ereditata dal resto del franchise è indubbiamente la comicità contenuta in alcune scene appositamente ilariche. Batou (praticamente co-protagonista dela serie), ad esempio, in una particolare sequenza stuzzica Motoko, sminuendola e proponendosi come leader della Sezione, solo per ritrovarsi “svestito” istantaneamente dalla Maggiore (evidentemente al controllo del sistema olografico all’interno della stanza), che lo rende dunque nudo agli occhi dei presenti. Il cyborg sfida personalmente il proprio superiore, che esce dalla sala solo per stenderlo con un singolo pugno nel giro di qualche secondo. Il primo episodio prosegue con un’interessante successione di eventi, che spazia dal salvataggio/cattura di una ragazzina (centrale nella trama di questo e del successivo episodio) alla ripresa del proprio rank militare da parte di Motoko (non ancora parte della Sezione 9, all’inizio di Arise). Anche qui assistiamo al tema del “ritorno” del Maggiore in veste ufficiale come parte della Sezione, in una scena che ne richiama un paio già viste nel secondo film e nel finale della serie. La ragazzina salvata risulta essere una celebre sviluppatrice indipendente, molto popolare sul web; pare tuttavia un’hacker (inoltre) in grado di alterare i ricordi, elemento chiave del primo film del ’95, ma inesistente nell’universo di Arise (il che attira le attenzioni del governo, dell’esercito e di un – inizialmente – non meglio specificato gruppo terroristico). Si fa chiamare “tin man” (uomo di latta), evidente citazione al Meraviglioso Mago di Oz, opera che fa da chiave e metafora all’intero resto della storia. 
Connettendosi a proprio rischio con il Ghost della ragazza, il Maggiore si imbatte nel colpo di scena che fa da cliffhanger dell’episodio; non prima, però, di essersi auto – classificata come Super Wizard Class Hacker, cosa in grado di illuminare l’adolescente evidentemente ossessionata con l’opera di L. Frank Baum. L’uso palese e marcato di citazioni ad opere celebri ed entrate nella cultura popolare non è certo una novità, dopotutto.

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Una menzione alle animazioni: pur essendo figlia di unatetralogiala cinematografica, non ci si può aspettare dalla serie una qualità paragonabile alla spettacolarità del film del 95. Per essere tratta da una serie di film, la qualità è nella media; le scene d’azione risultano impeccabili (se consideriamo dopotutto come nell’effettivo si tratti di un prodotto televisivo), così come i primi piani sui personaggi; sono le sezioni più statiche ed i personaggi in secondo piano a lasciare talvolta a desiderare, toccando talvolta una qualità quasi tv-budget.

In conclusione…

La serie di Ghost in the Shell: Arise si pone essenzialmente come un gradito (?) more of the same. Non del film del ’95, bensì della serie del 2002. 
Serve per farci assistere ad un po’ d’azione alla Stand Alone Complex, leggermente più ragionata a tratti, sebbene pur sempre non al livello del film originale per quanto riguarda la filosofia e lo spessore generale dell’opera. Nonostante ciò, Arise strizza l’occhio al primo film del ’95 (ed ai suoi fans) citandolo ripetutamente con riferimenti e “remake” di scene già viste. Tutto sommato, i film di Arise possono risultare mediocri se confrontati ai primi due “storici” del fanchise, mentre la serie (che include di fatto i film, tagliando scene opinabilmente statiche/superflue ma aggiungendo materiale inedito) può essere vista come un gradevole spin-off/rivisitazione di quella dei primi del 2000, sebbene forse più inconclusiva e frettolosa. È percepibile quindi come almeno parzialmente superficiale, se ci si concentra sul mancato approfondimento dei personaggi (che tutto sommato, conosciamo già).

Insomma, se siete fan del brand (non in cerca di nuovi capolavori) e/o delle opere cyberpunk in generale, potreste prendere in seriaconsiderazione di dare una chance alla serie.