Te li ricordi i platform Nintendo di 20 anni fa?

Nato con l’ammirevole intento di voler celebrare, o quantomeno citare gli splendidi platform dell’era GameCube (e in particolare il controverso, ma comunque bellissimo, Mario Sunshine), A Hat in Time è un piccolo titolo multipiattaforma nato dall’estro e dalla buona volontà del team di Gears for Breakfast. Una piccola realtà danese che, nonostante i natali nel 2012, ci consegna solo oggi il primo lavoro multipiattaforma. Considerando i titoli a cui vorrebbe far riferimento, ne viene da sé che le scommesse sul gioco lo avrebbero dato perdente, e invece dopo un primo mondo introduttivo e un po’ fiacco, A Hat in Time riesce a trovare la sua dimensione finendo per farsi apprezzare non poco, grazie soprattutto a delle intraprendenti scelte di level design, e a tutta una serie di meccaniche che ne amplificano, e non poco, il dinamismo e la giocabilità. Abbiamo giocato il titolo su PS4, restandone piacevolmente sorpresi anche se, val la pena dirlo subito, dal punto di vista tecnico e artistico il risultato è quasi anacronistico.

E così, come da tradizione per buona parte dei platform della vecchia scuola (come della vecchissima), A Hat in time offre poco più di un pretesto narrativo per giustificare le vicende che ci vedranno protagonisti. A noi il compito di controllare una misteriosa ragazzina senza nome, proprietaria per altro di una gigantesca nave spaziale su cui vengono custodite delle particolarissime clessidre, ovviamente detentrici del potere di controllare il tempo, e che fanno da carburante per la stessa nave. A causa di un improbabile incidente con protagonista una finestra (su una nave spaziale… gosh), finiremo con il perdere tutte le nostre clessidre, aprendo così il gioco ad una lunga caccia ai collezionabili, il cui ottenimento ci permetterà, come intuirete, tanto di sbloccare i successivi mondi di gioco, tanto di avere qualcosina da fare nel corso dell’endgame. Siamo dalle parti delle Lune di Mario Odyssey per intenderci, ma ben lungi da quella raffinatezza di level design, nonché da quel numero esagerato. A Hat in Time gioca più in piccolo, benché abbia comunque delle idee intriganti e si prodighi di offrire una moltitudine di diverse situazioni ludiche. L’idea è quella di avere livelli sempre diversi che, pur connessi dal tema platform, siano sempre di stimolo per il giocatore, a prescindere che sia un navigato amante del genere o un più timido neofita.

In verità l’inizio del gioco non è proprio esaltante, ed offre un mondo di gioco che sia per meccaniche che per estro artistico è il punto più fiacco dell’intera opera. Tocca quindi farsi coraggio e cercare di superare il primo ostacolo emotivo, catapultandosi poi sui restanti mondi che, senza troppe difficoltà, alzano non poco il tiro dell’intera produzione. Insomma, superata la bruttezza del primo mondo la strada per A Hat in Time è certamente in discesa, ed anzi con un nugolo in constante aggiornamento di meccaniche di gioco, il platform di Gears for Breakfast riesce a restare interessante e dinamico per ognuna delle restanti 6 o 7 ore di gioco necessarie a completare la trama principale, il che, considerata la natura budget del titolo, non è un fattore da sottostimare. Si passa quindi da livelli con meccaniche investigative, al platform puro e frenetico, sino a situazioni in cui il gioco richiede persino sezioni stealth, ad una strana ma funzionale imitazione dei “run and hide” in stile Clock Tower (o alla Little Nightmares se preferite). Il bello è che ogni mondo, per quanto non offra più che una manciata di livelli, è messo su per lasciare al giocatore assoluta libertà nel modo in cui si vogliono intraprendere le missioni, non obbligando ad alcuna linearità ed anzi permettendo persino di saltare da un mondo all’altro qualora, per dire, l’attuale livello non ci sia particolarmente congeniale. Tanto che potrete persino scontrarvi con il Boss finale senza aver completato tutti i livelli e le relative boss fight.

Al centro di tutto, come detto, ci sono le clessidre. Sparpagliate per i livelli come le più “moderne” Lune di Mario Odyssey, nascoste tra le pieghe del codice o semplicemente nelle vesti di premio per la buona riuscita di particolari sezioni di gioco. Collezionare le Clessidre ci permetterà di sbloccare i livelli, di raggiungere il vero finale del gioco ma, soprattutto, di esplorare ogni anfratto dei livelli, dandoci la possibilità di saggiare gli aspetti più complessi e variegati dell’intera esperienza di gioco.  Sublimando a dismisura l’esplorazione dei colorati e variopinti mondi di gioco. A darci supporto nell’esperienza ci saranno ovviamente dei cappelli, che la protagonista potrà collezionare e indossare, ed ognuno con la capacità di sbloccare un potere speciale unico che, ovviamente, servirà a risolvere le più stravaganti situazioni di gioco. Si passa dal cappello che permette di lanciare fiale esplosive, a quello capace di attivare dei trampolini di lancio, sino a quello che rivela oggetti “fantasma”, e persino uno capace di bloccare il tempo. I cappelli, il loro switch (più o meno) rapido e ovviamente la loro coesistenza con le meccaniche platform sono alla base del gioco e della sua esplorazione, ed anche se fa strano giocare il secondo titolo dell’anno a base di “cappelli”, c’è da dire che le meccaniche sono ben implementate e funzionali e donano all’intero gioco un bel senso di esplorazione e scoperta, con risultati che francamente mai vi sareste aspettati all’inizio della partita, facendo risultare A Hat in Time uno dei più intriganti platform low budget di sempre, e certamente un gioco da scoprire e amare. Peccato solo che dal punto di vista tecnico ed estetico il tutto soffra evidentemente dei limiti di una produzione risicata. Il gioco, per dire, non offre che un vago colpo d’occhio di sufficiente gradevolezza (e neanche sempre), dando il peggio di sé con i modelli dei vari NPC e mostriciattoli annessi, fermi sia per poligoni che per modellazione ad almeno 20 anni fa. A risollevare le sorti ci provano dei colori super saturi, atti a conferire il tutto un aspetto vagamente “giocattoloso”, ma si tratta veramente di poca roba, ed il più delle volte persino gli elementi di contorno ai più arzigogolati livelli altro non saranno che di una rara bruttezza. A Hat in Time è e resta brutto ma, una volta tanto, val la pena lasciare da parte ogni pregiudizio.

Verdetto

Per godersi a pieno A Hat in Time è fondamentale combattere i pregiudizi. I pregiudizi di una grafica mediocre, di una direzione artistica scialba e di un primo mondo confezionato con poco spirito e originalità. Fatto ciò vi troverete dinanzi ad un buon platform, le cui meccaniche, per quanto lungi dall’essere rivoluzionare (e neanche vagamente “sovversive”), saranno alla base di un gioco solido e divertente, che venduto ad un prezzo decisamente interessante, vi offrirà forse una delle migliori esperienze platform low budget disponibili sui vari store online. A Hat in Time è colorato, ricchissimo di cose da fare, e con tanta, ma tanta diversificazione nella progettazione dei vari livelli. Un platform ibrido, per certi versi spurio, ma funzionale e divertente. Ok non è Mario, ma val comunque la pena dargli un’occhiata.