Durante il View Conference abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Joe Letteri, istituzione nel mondo degli effetti speciali cinematografici, che ha ottenuto ben 4 Oscar e numerosi altri riconoscimenti. Da Il Signore degli Anelli, ad Avatar, a Il Pianeta delle Scimmie, fino al recentissimo Justice League, Letteri vanta una eccellente e variegata sfilza di produzioni eccellente.
Ecco dunque il resoconto della nostra intervista.

È stato molto apprezzato il tuo lavoro su Caesar, della saga de Il Pianeta delle Scimmie. Sembra che i primati siano nel tuo destino, dato che nel 2005 hai supervisionato anche gli effetti speciali di King Kong.

In King Kong ho lavorato di nuovo con Andy Serkis dopo Il Signore degli Anelli, e se Gollum era un personaggio molto umano e riuscivi sempre a capire cosa stesse provando perché non smetteva mai di parlare, con King Kong ci siamo trovati a affrontare un film senza dialoghi e tutte le emozioni dovevano essere trasmesse dal linguaggio non verbale. La parte più difficile è stata pensare a quali sarebbero stati i movimenti naturali di una scimmia in determinate circostanze e farli riprodurre all’attore, ma è stata anche la parte più interessante: lavorare solo tramite il corpo e gli occhi.

Come è stato invece lavorare su delle creature che oltre a dover sembrare reali hanno anche una crescita intellettiva nell’arco della trilogia?

In ogni film, aspettiamo di leggere la sceneggiatura per decidere come lavorare. Ne Il Pianeta delle scimmie, visto il grado di realismo di cui avevamo bisogno, abbiamo anche valutato di usare degli animali veri, o attori con delle protesi, ma poiché la storia aveva bisogno di scimmie che si evolvessero dal loro stato naturale di animali a uno più cosciente, con una maggiore intelligenza acquisita nel tempo, dovevamo essere in grado di concepire una creatura in grado di affrontare l’intero percorso da animale a essere senziente. In ogni caso è sempre la storia che devi raccontare a spingerti verso certe scelte anziché altre. La tecnologia è al servizio della narrazione, gli effetti speciali devono servire per rendere possibile quello che gli sceneggiatori hanno immaginato, per permettere allo spettatore di immergersi nella storia.

Quali sono state le sfide tecniche con cui vi siete confrontati in The War – Il pianeta delle scimmie?

Credo che la sfida più grande sia stata rendere credibile la performance di Andy Serkis come Caesar perché il regista, Matt Reeves, ha dato a questo ultimo capitolo della storia un ambiente molto cupo e anche il capo delle scimmie mostra molte delle sue ombre. Fino a quel momento Caesar è sempre stato un personaggio positivo, si è sempre impegnato per stare dalla parte giusta, ma in The War iniziamo a vedere un cambiamento in lui e di riflesso cambiano anche le sue espressioni facciali; Caesar si indurisce e quello che una volta era facile esprimere, ora ha luogo solo nella sua mente. Questo per noi ha significato dover far trasparire le sue emozioni prevalentemente attraverso lo sguardo, trasmettere la rabbia che prova a chi lo guarda negli occhi, perché se avessimo fallito lo spettatore non si sarebbe sentito coinvolto dalla storia. Andy è un attore eccezionale, e il fatto che grazie alla motion-capture possa recitare fisicamente assieme agli altri interpreti in scena rende la performance ancora migliore. Il valore aggiunto di questa tecnologia è che possiamo costruire il personaggio da zero: Caesar non è Andy Serkis, e se da un lato abbiamo dovuto lavorare in modo abbastanza minuzioso da permettere al pubblico di credere in quello che stava vedendo sullo schermo, questo lascia anche qualche libertà in più nella creazione. Andy era lì, e Caesar era lì, ma erano comunque due entità distinte, questa è la differenza quando lavori con questa tecnologia e devi essere sicuro di usarla in maniera appropriata.

Tra i suoi prossimi progetti troviamo Alita: Battle Angel. Come stanno procedendo i lavori?

Stanno andando molto bene, non posso dire molto di più, ma uscirà il prossimo anno. Stiamo anche iniziando la produzione del sequel di Avatar.

A proposito di Avatar, il colossal di James Cameron ha fatto da apripista al cinema 3D nelle sale, ma sembra che nel giro di pochi anni questa tendenza sia scemata senza lasciare grandi tracce. Perché il 3D al cinema non ha funzionato?

Beh, lo useremo per Battle Angel, quindi non è ancora morto.
Credo che per sfruttarlo al meglio si debba mantenere il 3D naturale, senza forzare le situazioni. So che si fa molta sperimentazione su questa tecnologia, cercando di usarla per stupire il pubblico, ma quando abbiamo girato Avatar il 3D non era forzato, si integrava bene con il modo in cui funzionano normalmente i tuoi occhi. Non abbiamo fatto niente che potesse sembrare strano alla vista. Mi piace lavorare in questo modo: non voglio che lo spettatore presti attenzione al 3D, voglio che il 3D sia un modo per far prestare allo spettatore più attenzione al film che sta guardando.

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.