Ritorno alle origini

Amandolo od odiandolo, Andrzej Sapkowski non è uno scrittore capace di lasciare le persone indifferenti. La sua notorietà, raggiunta come tanti altri grandi scrittori del genere fantasy attraverso mezzi “accessori” (in questo caso, ovviamente, stiamo parlando dell’epica saga videoludica di The Witcher) non è certamente immeritata, avendo comunque donato ai lettori di romanzi fantastici un mondo di genere ma di impostazione classica, dotato tuttavia di trame complesse e, a modo loro, originali.

In Italia, purtroppo, siamo riusciti a mettere le mani sulla saga solo in tempi relativamente recenti. Per desiderio dello stesso autore le sue opere non potevano approdare in un paese senza avere una traduzione direttamente dalla lingua originale, il polacco. I diritti relativi alle opere di Geralt sono stati perciò, per così dire, congelati per lungo tempo. Per contro questo ci ha permesso di godere di una traduzione ottimale e di poter apprezzare la saga senza dover aspettare lunghe pause, potendo mettere le mani sui nuovi libri a intervalli regolari.

Il ritorno d’immagine dovuto alla trilogia di The Witcher ci ha concesso un maggiore interesse su uno dei cicli che, giustamente, è riuscito a ritagliarsi una bella fetta di notorietà al pari di molti altri grandi nomi del settore. In breve tempo l’Editrice Nord ha pubblicato tutti i romanzi del Ciclo di Geralt, portando anche velocemente in Italia una raccolta di racconti inediti dello Strigo.
Con la conclusione della Saga di Geralt di Rivia, andata pure oltre le aspettative dell’autore (tre raccolte di racconti e cinque romanzi), era lecito aspettarsi da parte di Sapkowski qualcosa di nuovo. La sorpresa, invece, è che l’ultima pubblicazione di Nord dedicata allo scrittore polacco è relativa a qualcosa di vecchissimo. E non solo.
La strada senza ritorno è un titolo azzeccato. In effetti l’antologia sembra tracciare una vera strada della carriera di Andrzej Sapkowski come scrittore. Al suo interno troviamo racconti di tutti i generi affrontati dall’autore nella sua carriera trentennale: dal fantasy, all’horror di stampo lovecraftiano, dallo storico, alla fantascienza.

Prima di cercare di tracciare un giudizio a riguardo, sarebbe bene soffermarsi su un pensiero: è davvero utile un’antologia così poco omogenea? Certo, anche altri grandi autori hanno affrontato raccolte di racconti utilizzando diversi generi letterari. Per non andare troppo distanti e rimanere “in casa” potremmo pensare a Stefano Benni e al suo Il Bar sotto il mare, dove è riuscito a inserire quasi ogni genere conosciuto in un unico libro. Qui, tuttavia, il contesto è assai diverso, si tratta di storie che raccolgono un arco temporale molto vasto: la prima è del 1988, l’ultima del 2006, scritte perciò in momenti e situazioni assolutamente differenti.

Se il primo racconto eponimo della raccolta rappresenta un vero e proprio ritorno alle origini, grazie al quale, come lo stesso Sapkowski afferma nella prefazione, possiamo ripercorrere i primi anni di carriera, poco dopo l’uscita delle prime storie dedicate a Geralt, diverso discorso andrà fatto per “Spanienkreuz”, scritto nel 2006 da un autore affermato. Logicamente risulta quasi impossibile trovare una fetta di pubblico specifica a cui consigliarlo.

Ma, si badi bene, non per uno scarso gradimento delle opere, tutt’altro. In alcuni casi ci troviamo di fronte a testi che fanno capire tutte le qualità dell’autore. Trasportato fuori dal genere che lo ha reso famoso, Sapkowski sembra comunque a suo agio nel narrare storie che poco hanno a che fare con quel fantasy che ha dato l’imprinting alla sua carriera. Il problema è proprio nell’estrema differenza dei racconti da un punto di vista stilistico.
Se Sapkowski è noto anche per la sua capacità di parlare a un pubblico mediamente più colto di quello che viene considerato lo stereotipo del lettore fantasy medio, ci troviamo dinanzi a storie che presentano tratti evidentemente acerbi, come appunto La Strada da cui non c’è ritorno.

A nostro parere, questo tipo di raccolta, per quanto possa anche considerarsi necessaria per permettere ai lettori di godere di opere che, altrimenti, non potrebbero leggere, finisce per risultare controproducente. E gli effetti si sono già visti. Pubblicizzata sul web come una raccolta di storie accessorie del mondo di Geralt di Rivia, con il focus dedicato esclusivamente al primo racconto, il grande pubblico che si è dovuto immergere in storie sullo stile di Lewis Carroll, racconti sulle bombe intrisi di humour nero e spaccati sulla Guerra Civile Spagnola, ha visto disattese le sue aspettative, rintuzzando di conseguenza un’opera comunque meritevole.

Il problema maggiore è che non esiste un metro di giudizio univoco per valutare opere scritte in momenti diversi, con stili e finalità tanto differenti. Farlo sarebbe scorretto: l’unica soluzione consiste nel giudicarle singolarmente, valutando ognuna nel suo contesto storico e personale. Impresa ardua e laboriosa ma, tuttavia, l’unica adatta al caso.

Il primo racconto di questa antologia, risultato delle pressanti commissioni che venivano fatte al giovane (e talentuoso, come lui stesso rimarca più volte) Sapkowski, è una storia che risale ai primi anni di carriera, sull’onda del successo avuto in patria dai primi racconti dedicati a Geralt. I protagonisti sono due personaggi quasi agli antipodi. Da un lato la druida Visenna, calma e riflessiva, dall’altro Corin, guerriero ardente e impulsivo. Se i nomi non vi sono nuovi è perché, forse, li avete letti su una delle pubblicazioni dedicate al nostro Strigo preferito: si tratta proprio dei genitori di Geralt.

All’epoca della pubblicazione del primo racconto (1988) Geralt di Rivia era ancora una creatura giovane. Aveva ottenuto un discreto successo in patria, ma era ben lungi dall’essere quel personaggio, icona del fantasy grimdark, che avremmo conosciuto. Lo stesso Sapkowki ammette che, al tempo della stesura, i personaggi di Corin, Visenna e Geralt non solo non erano collegati, ma non erano nemmeno stati concepiti per far parte dello stesso universo narrativo.
Solo qualche tempo dopo, quando Geralt iniziò ad affermarsi sulla scena fantasy mondiale, complice il crollo della Cortina di Ferro e la sua diffusione in occidente, l’autore pensò di dare una collocazione anche ai suoi “secondogeniti”, donando quindi una posizione importante a Corin e Visenna per le vicende dello Strigo.

L’opera in sé presenta alcuni di quei tratti che sarebbero stati portanti nella saga di Geralt: oltre all’ambientazione, ai mostri da sconfiggere e ai popolani in cerca di eroi, abbiamo la dicotomia tipica delle opere di Sapkowski, quella tra modernità e tradizione, rappresentate in questo caso proprio dai due protagonisti. Visenna, in qualità di druida, sa di essere parte di un mondo, quello della magia, destinato a scomparire. E questa sottile malinconia, accompagnata dalla freddezza del personaggio, si avverte qua e là durante l’intero racconto.
Apprezzabile – poiché meno usuale per lo scrittore – è il racconto successivo, “I musicanti”, in cui si mischiano elementi horror di stampo lovecraftiano con altri presi da una storia tradizionale tedesca (quella dei quattro musicanti di Brema). Se alcune scene offrono quasi un ritratto psichedelico e al contempo manieristico, più difficile è riuscire a trovare una continuità nella trama. Sotto questo punto di vista ci troviamo davanti a un esperimento incompiuto.

La vera sorpresa dell’antologia resta, a nostro parere, “Tandariel!”: una storia di alienazione e di confusione giovanile, con protagonista una ragazza ventiseienne che vive con difficoltà i tentativi di inserirsi nel mondo dei suoi coetanei. Per quanto vi sia qualcosa di evidentemente forzato (soprattutto i tentativi, spesso goffi, dell’allora quarantenne di calarsi nella mente di una donna di ventisei anni), la storia analizza in maniera interessante il sentirsi lontani, estraniati da un mondo che dovrebbe essere parte di noi e la conseguente necessità di trovare rifugio altrove. Lo stile e l’intero contesto richiamano a quel genere che potremmo definire “realismo magico”, ovvero una premessa realistica che si conclude in fatti al limite del possibile. In effetti comprendere dove finisca la realtà e inizi la follia della protagonista risulta molto difficile.

Tralasciando “Nel cratere della Bomba”, interessante ucronia ambientata in una Polonia contesa da diverse fazioni, dove assistiamo a uno strano esperimento letterario che mescola humour nero e critica sociale, e il già citato Spanienkreuz, ci troviamo di fronte anche a tre racconti che, a modo loro, sembrano rielaborare diverse storie tradizionali del passato.

Il primo è “Pomeriggio Dorato” rivisitazione di Alice nel paese delle Meraviglie vissuto dal punto di vista dello Stregatto; il secondo è un ritorno al tema caro all’autore del conflitto tra modernità e passato, osservato sotto una lente tanto analitica quanto pessimistica, ne “I Fatti di Mischief Creek”, nel contesto della caccia alle streghe americana; infine “Maladie”, che riprende storie del ciclo arturiano.
Come si vede, non esiste un genere di riferimento. I racconti spaziano da un’ambientazione a un’altra, da uno stile lineare e pulito a qualcosa che potrebbe essere definito sperimentale.

Insomma, questo è un caso molto strano di “antologia a buffet”: il lettore medio sarà probabilmente costretto a scegliere cosa leggere, apprezzando certi scritti e scartandone altri, senza trovarsi di fronte, nel più probabile dei casi, a un testo apprezzabile dall’inizio alla fine.

la strada senza ritorno
Verdetto:

La strada senza ritorno non può essere apprezzato da tutti: i lettori si troveranno di fronte a un’antologia con testi estremamente diversi per gusto, stile e contenuti. Spesso potrebbero essere tentati di saltare un racconto per passare direttamente al successivo, cosa naturale soprattutto se si è acquistato il libro aspettandosi un prologo delle avventura di Geralt di Rivia. Tuttavia il testo è meritevole di una lettura in tutte le sue parti, cercando di analizzare ogni racconto nel periodo storico e nel momento in cui Andrejz Sapkowski l’ha redatto. Da parte nostra c’è la raccomandazione di acquistare il libro soprattutto se non cercate un genere di riferimento nelle vostre letture, ma esclusivamente se ne amate diversi.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.