Voi, signori, avete dimenticato il volto dei vostri padri

Quando fu annunciato un lungometraggio per La Torre Nera, io non ne rimasi particolarmente colpito. Non lo fui, perché aspettavo un lungometraggio (o qualunque altra cosa che non fosse scritto su delle pagine) dell’opera da tempo immemore ed avevo vissuto, come tanti, i lunghi rinvii, rimandi, e posticci annunci che si concludevano, troppo spesso, in un nulla di fatto.

Ho atteso un lungometraggio della Torre Nera per anni, oltre una decina, praticamente da quando terminai, nel 2004, l’ultimo libro della serie (perché, ricordiamolo, “La Leggenda del vento” non esiste). Mi lasciò in pezzi. Lasciare che Roland, Jake, Eddie e Susannah andassero avanti, per la loro strada, fu come dare un lungo e doloroso addio a degli amici. Amici che ti avevano accompagnato per tanto tempo e che, alla fine, avevano portato a termine il loro viaggio. Non rimasi colpito perché La Torre Nera è forse quanto di più complesso sia stato scritto nei tempi che corrono e, più in generale, dalla penna del suo prolifero autore, Stephen King, che quando è in giornata riesce ancora a scrivere racconti, storie, personaggi, di brillante vivacità. Intendiamoci: la serie de La Torre Nera non è scritta in modo complesso. Non si rifà alla complessità stilistica di autori del passato (seppur, taluni, li cita strizzando forte forte l’occhio. Lovecraft su tutti), non costruisce parafrasi gordiane e non inventa parole che non avranno mai un senso per il lettore. La complessità è altrove, è nella costruzione, è una complessità architettonica, fatta di rimandi, collegamenti, e porte. Infinite porte, che schiudendosi si aprono su altrettanti, ed infiniti, mondi. Perché La Torre, come scoprirete, è al centro di tutto. Non al centro del mondo, ma dei mondi. Un Nexus, un collegamento tra gli universi. E questi sono i racconti di King, che confluiscono tutti nella Torre, taluni velatamente, altri palesemente. La Torre Nera è lo snodo centrale, il racconto che fa da base a tutti i racconti ed i suoi personaggi animano i sogni di ognuno dei mondi circostanti, in una continua allegoria sul senso del destino.

Ora che siamo a capo sarete forse storditi e penserete – erroneamente – che chi vi scrive è solo troppo infoiato dai romanzi originali per mantenere la lucidità. Sbagliato. La Torre Nera è davvero un’opera di rara complessità, i cui rimandi sono così tanti da aver fatto fioccare guide su guide alla lettura. Capiterà, dopo aver completato la saga, che leggendo un altro libro di King inciamperete in qualche modo sul lascito della Torre e questo è un qualcosa di raro e bellissimo. Perché tutto è connesso, come i raggi che puntano al centro di una ruota. Se l’idea è chiara, anche solo in parte, capirete allora come sviluppare un film su qualcosa di simile sia probabilmente complesso. Non si tratta di un semplice problema di minutaggio, si tratta di dover fare i conti con innumerevoli premesse, con informazioni apparentemente inutili che poi si rivelano fondamentali. Si tratta di sviluppare personaggi dalle origini alla loro fine (o spesso, alla loro morte, perché taluni in essa trovano senso) e più in generale, si tratta di concedere al racconto dei tempi, che per mere questioni di trasposizione mediatica, non possono adattarsi facilmente.

Sarebbe difficile per tutti, per La Torre Nera lo è stato particolarmente ed il risultato è, senza altre remore, un disastro totale.

L’uomo in nero fuggì nel deserto… non che a qualcuno freghi qualcosa

Scegliendo di non narrare la storia dal suo inizio, La Torre Nera, parte da un momento imprecisato della cosmogonia della serie, quasi il racconto fosse stato già scritto da tempo e noi ne fossimo partecipi solo ora. La verità è che pur mantenendo qualche vaga citazione a specifici momenti nella storia della Torre, il film parte fondamentalmente da zero, mantenendo intatti solo 3 dei suoi principali personaggi.
Roland Deschain, il Pistolero
, originario del Medio-Mondo. Jake Chambers, un ragazzo particolarissimo appartenente alla nostra New York, e L’uomo in nero, Randal Flagg, Walter O’Dim, Tom Padick, Il caos strisciante, Nyarlathotep. Tutto il resto è un rimescolone delle situazioni letterarie di cui è stato conservato molto poco ed a cui sono stati aggiunti, anche per evidenti problemi di narrazione su schermo una moltitudine di comprimari, così inutili che non ci si prende la briga neanche di chiamarli per nome.

Il resto è fondamentalmente un teen movie, privo di qualunque estremizzazione di violenza e con poco, pochissimo sangue.
A New York vive un ragazzo speciale, Jake (Tom Taylor), che da un anno è tormentato dai sogni di una Torre che crolla e che, pare, sia connessa ai terremoti che animano il nostro mondo. Da qualche altra parte c’è Roland (Idris Elba), un pistolero che scorrazza per il mondo alla ricerca dell’Uomo in nero, artefice della morte di tutti i pistoleri e, non ultimo, di suo padre. E infine l’Uomo in nero (Matthew McConaughey), machiavellico manipolatore, stregone, che attraverso l’uso di una tecnologia sconosciuta, rapisce bambini dotati di poteri psichici e prosciugandone la forza cerca di far crollare la Torre, baluardo dell’energia che tiene in piedi la barriera che divide tutti i mondi dai mostri e dagli orrori che abitano al di fuori di essi. Jake e Roland scopriranno di essere connessi, e saltando dal mondo della Torre (Medio-Mondo) alla nostra New York, cercheranno di fermare i piani dell’Uomo in nero.

Basta, tutto qui. Teen movie da antonomasia. Tutto il resto sono una valanga di citazioni (alcune persino piacevoli) che praticamente di continuo si divertono a strizzare l’occhio allo spettatore come per dire: “Hey, questo è un film de La Torre Nera! Non lo vedi quante connessioni ci sono?!”. Amarezza.
Il punto è che a La Torre Nera manca tutto ciò che ha reso memorabile la saga letteraria. Manca la profondità di Roland, il suo senso del dovere, la sua amarezza, la sempre più rimarcabile presenza del tarlo, del dubbio, che tutto sia scritto, che il Ka sia una ruota e che quello che sta vivendo è un ciclo continuo, dove bene e male condividono un equilibrio che non può essere risolto da un’ultima, epica battaglia.

Manca il pensiero dell’Uomo in nero, dell’entità irraggiungibile, macchinatoria, fredda. Manca la sensazione del male che si annida, che ci osserva, che serpeggia tra i mondi e che pianifica una vittoria perché, in antitesi, non sembra essere cosciente di quanto tutto sia transitorio ma, comunque, già scritto.

Mancano poi le vicissitudini, le complessità e soprattutto le debolezze del gruppo di Roland, del suo Ka-tet, di cui ci resta solo una blanda versione di Jake, qui più simile al ruolo tipico del “ragazzino da film fantasy di fine anni ’80”. Non c’è l’acerbo pistolero apprezzato nei libri, né lo sviluppo (per altro lunghissimo) del rapporto tra questi e Roland. O meglio c’è, ma viene tutto compresso in appena un’ora e mezza, lasciando che attorno si crei un diverbio molto elementare tra bene e male, con un Pistolero più incazzato che mai, che salta e spara come il Detective Tequila (o, se preferite, a la Max Payne) e un Randall Flagg che si diverte a fare lo charmante manipolatore, tronfio di una certa invulnerabilità.

la torre nera recensione film

Attorno si sviluppa il Medio-Mondo, un luogo a metà tra deserti sconfinati e qualche sprazzo di post-apocalittico. Bello, ma non bellissimo. Giusto utile a ricordare che “il mondo è andato avanti”. Una tecnologia antica permea il mondo di Roland, ma questo paradigma ci è servito su di un piatto d’argento dagli stessi personaggi che, boh, vivono una sorta di immensa consapevolezza, con tanto di autoctoni capaci di usare le meravigliose porte lasciate dalla civiltà che fu. Tutti espedienti a servizio di una narrazione breve e striminzita, ma è incredibile che nessuno si sia posto il problema di quanto tutto ciò sia in antitesi con il racconto che, per inciso, è bello che è servito. È lì, pronto in capitoli, dal 1982, e pur capendo la complessità di trasporlo come si deve, sarebbe forse bastato essere aderenti al primo libro, e ricrearne il pathos (invece di citare a cazzo il suo incipit per dieci minuti buoni), per accontentare quanto meno i fan a cui, questo film, sarebbe dovuto essere tributato.

Così com’è, pur ponendosi sull’altra sponda di questo bivio, andando al cinema, cioè, a digiuno totale della saga letteraria, la Torre Nera è comunque un film raffazzonato e frettoloso, buono forse come compagnia per una domenica sera a casa, ma ben lungi dai fasti che forse avrebbe meritato. A salvarlo, fondamentalmente solo il casting, che dà ai personaggi due attori di spessore immenso, pur costringendoli a dei ruoli posticci e mal sceneggiati. Elba, in particolare, è un Roland eccellente, ma solo quando questi raramente si comporta da ombroso pistolero. E succede poco, purtroppo.

Oltre a ciò, il film non ha praticamente motivi per essere visto. Banale nelle sue soluzioni narrative, scontatissimo nel suo finale. Del tutto privo di vezzi registici intriganti e minato anche da qualche pessimo effetto di CG.
La Torre Nera è un disastro totale che ha dimenticato il volto di suo padre.

la torre nera recensione film

Verdetto:

La Torre Nera è un adattamento desideratissimo, che tuttavia non può in alcuna misura accontentare i fan. D’altro canto si tratta persino di un film mediocre e banale e dunque, pur non essendo avvezzi alla serie letteraria, finireste comunque per restare delusi. Da qualunque lato lo si guardi il film è evidentemente un fiasco, su cui – ed è forse l’unico pregio – si scontrano due attori dall’invidiabile talento. Il resto è fondamentalmente un teen movie dal sapore nostalgico, dove si fronteggiano il bene e il male, ed in cui al centro c’è un ragazzino speciale. Punto. Praticamente “Il ragazzo D’oro” con Eddie Murphy, ma con l’ambientazione di Fallout e le pistolettate. L’unica cosa che ci fa essere speranzosi è quel corno di Arthur Eld su cui, di tanto in tanto, la camera indugia. Come a dire che esistono infinite porte, e con esse infiniti mondi, e tra questi ce n’è uno in cui il racconto de La Torre Nera è una minchiata atomica. Purtroppo però è il nostro mondo, e questo floppone estivo ce lo dobbiamo beccare noi. Fortunati tutti gli altri mondi, che forse non avranno dimenticato il volto dei loro padri.