Durante la fiera cosentina Le Strade del Paesaggio abbiamo avuto il piacere di scambiare due chiacchiere con Giuseppe Palumbo, importante fumettista italiano noto soprattutto per aver lavorato a Diabolik e Martin Mystere. Ma ha fatto e continua a fare molto altro. Ci racconta tutto in questa intervista.

Ti sei confrontato nella tua carriera con più di un’icona del fumetto italiano, da Diabolik e Martin Mystère; secondo te oggi esiste ancora quel tipo di icona oppure ce ne sono di nuove?

Dunque, hai parlato di icone che in realtà esistono ormai da decenni, quindi forse è ancora troppo presto per battezzarne di nuove. È pure vero che il nostro fumetto è molto conservatore, quindi mi verrebbe da dire, come si usa, che è un paese “vecchio”. Noi siamo sempre legati più ai personaggi che in qualche maniera si sono stratificati nel tempo, piuttosto che affezionarci a quelli più recenti, pur se non meno interessanti. Va anche detto che forse oggi sta cambiando il tipo di affiliazione del lettore, che più che ai personaggi tende ad affezionarsi agli autori, quindi alle idee che questi rappresentano. Penso al successo di Gipi o Zerocalcare.

Quindi si tende a non creare nuovi personaggi seriali, bensì a creare degli stili e degli umorismi riconoscibili.

Rifacciamoci anche al successo di Sio. È più noto lui più che le sue creazioni, che sono comunque divertentissime. Mi sembra di rivedere in un certo senso il clima in cui io ho iniziato negli anni ‘80, in cui per esempio disegnavo Ramarro, però non ero noto in quanto Ramarro, ma in quanto Palumbo. Andrea Pazienza era Andrea Pazienza. Persino Tanino Liberatore e Tamburini, che avevano creato un personaggio iconico come Ranxerox continuano ad essere – Tamburini nonostante la sua scomparsa, purtroppo – Liberatore e Tamburini. Credo che questa sia la sensazione che mi restituisce un po’ il mercato e un po’ anche gli incontri che ho fatto con questi autori e il loro pubblico. Il che mi sembra un bene, anche visto che io vengo da quel periodo lì (ride n.d.r.).
Sono anche contento in quanto disegnatore di Diabolik, perché rimango comunque Palumbo, che disegna Diabolik. Per molti tutto questo significa la fine del fumetto, ma per me è solo la fine di un certo tipo di fumetto. Ci saranno sicuramente dei cambiamenti a cui assisteremo anche nei prossimi anni. 

Potrebbe essere interessante pensare come, a questo punto, gli editori che si sono distinti sempre per i loro personaggi seriali, potrebbero adattarsi a questa nuova impostazione. Non trovi?

Io vedo già i cambiamenti in atto in casa Bonelli. Siamo qui a una mostra di Escobar, che è già il sintomo di un cambiamento significativo. Escobar è la prima pubblicazione targata Astorina non centralizzata su Diabolik. Quindi questo ti dà un po’ il segno di un radicale cambiamento di atteggiamento da parte degli editori nei confronti dei prodotti editoriali. È chiaro che le scelte che hanno portato Astorina a comprare i diritti di quest’opera forse sono più di ordine commerciale che non progettuale, però chissà che in futuro non possano diventare anche questi gli intenti di una casa editrice, e vedo che già in Bonelli la direzione che si sta prendendo è quella lì. 

Ci sono autori Bonelli che sostengono che in Bonelli si sia sempre fatto così, altri che dicono che stiamo cambiando e in positivo. È un coro di voci non tutte sincroniche.

Io credo che a scompaginare tutto siano arrivati due fenomeni significativi: l’espansione sempre più estesa della rete e l’invasività della stessa nella nostra vita sociale. Penso all’uso che ne facciamo anche attraverso i telefonini, accostata alla scomparsa di vecchi mezzi di diffusione, per esempio le edicole che stanno sparendo. Grazie alla rete l’accesso alle notizie è più rapido, e i quotidiani stanno pagando il costo di quello che succede, dato che prima erano il motore che faceva funzionare il sistema delle edicole, che adesso sono diventate una sorta di piccola libreria. Addirittura quasi un emporio, una fumetteria, perché ci trovi gli oggetti più diversi. 

C’è anche un tentativo di rincorsa dei quotidiani, che oggi pubblicano tantissimi fumetti, come Pazienza l’anno scorso o Corto Maltese di recente.

Sì certo, adesso è in atto anche una collana di Diabolik, con vecchi numeri storici in allegato a Repubblica. È una riprova della vitalità del fumetto italiano e dell’attenzione che il pubblico continua sempre a riservargli, e anche questo mi fa sperare che in futuro i quotidiani più che rastrellare gli archivi, considerino pure di produrne. È una cosa che io auspico da moltissimi anni. Ho sempre detto che i fumetti dovrebbero tornare sui quotidiani, dove sono nati. Ahimè, adesso alcuni giornali sono in una situazione poco florida, quindi produrre un fumetto è un po’ un controsenso, però chissà, questa potrebbe essere anche un’inversione di tendenza.

Arriviamo ora a Escobar – El Patron. Che ci dici a riguardo?

Questo libro che è uscito in Italia con l’accoppiata Astorina e Mondadori nella collana Oscar Ink, ed è stato il primo volume pubblicato in questa nuova collana che segna Astorina come nuova figura nel mercato editoriale al di fuori di Diabolik, ma rappresenta anche l’avvento di un vero esperimento da parte di Mondadori, di andare verso la direzione dei libri illustrati e fumetti di grande qualità. Hanno scelto Escobar per una fortunata coincidenza. Il volume è uscito a dicembre scorso prodotto dalla casa editrice Dargaud. Ricordo che è stato scritto da Guido Piccoli, che è un giornalista italiano che ha vissuto gli anni dell’inseguimento ad Escobar in Colombia; lui era lì come giornalista e quindi il testo che ha redatto per questo libro è fortemente documentato. Piccoli è anche autore di due libri su Escobar: la sua biografia e uno sul mondo dei Narcos. Ha realizzato, scritto e curato, come regista, un radiodramma per la radio Svizzera-italiana che si trova su Audible, e si chiama Don Pablo. Quindi lui è un grande esperto della materia, e noi siamo molto amici da tanto tempo. Questo progetto lo avevamo già provato a vendere 10 anni fa a un editore francese, non riscuotendo interesse. Abbiamo prodotto questo albo prima del successo di Narcos, quando abbiamo fatto la proposta a Dargaud, intuendo quindi una sorta di trend che stava per esplodere.

giuseppe palumbo intervista strade del paesaggio

Un trend che c’è da un po’ di tempo, verso la narrazione di un certo tipo di realtà cruda, criminale, anche in molte serie TV italiane.

Sì, siamo entrati in un solco che era già stato battuto in Italia, ma credo un po’ in tutto l’occidente; questo modo di trattare la realtà attraverso la finzione, una sorta di docu-fiction. Perché forse ha trovato una risposta nel pubblico che non vuole più storie, o ha capito che spesso la storia vera supera l’immaginazione in termini di crudezza, e quindi si aspetta di trovare dei racconti autentici, che però allo stesso tempo possano stimolare la propria mente. Noi abbiamo creduto molto proprio in questo aspetto di Escobar, proprio di essere al di sopra di ogni aspettativa immaginativa, e poi – come noi – altri che hanno prodotto film e serie TV hanno intuito lo stesso potenziale. Chi leggerà quest’opera, a differenza di tutti gli altri prodotti cinematografici o televisivi, troverà qui un fumetto più documentato, più giornalistico che di puro intrattenimento. Si legge come un fumetto – perché è il personaggio che ti porta a vivere ciò che stai leggendo come un’avventura – ma in realtà avventura non è: era la sua vera vita. 

Quindi è meno drammatizzato?

Si, perché non è necessario. È un personaggio che di per sé è sorprendente, dal punto di vista narrativo. Poi, in più, noi facciamo in modo che tutto questo materiale sorprenda nel solco di una ricostruzione obiettiva, che non ceda il passo a mitizzazioni o ideologie, e che la finzione sia ridotta al minimo essenziale, per permettere una lettura piacevole. 

Il rapporto con Narcos com’è? C’è “rivalità”?

Rivalità no perché avremmo già perso (ride n.d.r.). Però è stato incredibile che mi sia trovato a disegnare fisicamente l’albo, perché c’è un grande lavoro di preparazione dietro un libro a fumetti, sia contrattuale che di stesura del testo, di documentazione visiva, e pertanto noi avevamo già iniziato da un anno a lavorare. Forse abbiamo iniziato insieme (sorride nuovamente, n.d.r.). Mi sono trovato a disegnare le tavole tra la prima e la seconda stagione, quindi in piena esplosione del successo della serie, e poi a scoprire sorprendentemente che anche in questo caso, alcune scelte che avevamo fatto le abbiamo riviste nello show. Abbiamo immaginato due poliziotti, come ci sono nella serie, anche noi uno biondo e uno bruno. Intanto perché c’erano dei personaggi realistici a cui, sia noi che gli autori di Narcos, abbiamo fatto riferimento. Ma evidentemente sono strutture narrative, strumenti del racconto. Due personaggi non possono essere simili, ma differenziati e riconoscibili nelle loro differenze. 

Tornando al discorso icone, c’è un personaggio che ti piacerebbe riprendere? Un personaggio di quelli che hai affrontato, o anche che non hai affrontato.

Se ti devo dire una mia passione, che spero prima o poi venga accontentata, mi piacerebbe moltissimo disegnare il mio personaggio preferito: Hellboy. Però sai, sono quelle passioni un po’ da nerd che tutti noi lettori di fumetti abbiamo. Ho visto che ora esce anche un nuovo film, con un nuovo attore, molto forte come scelta. Tieni presente che la mia passione è quella di saltare dal fumetto un po’ immaginativo, con personaggi come Diabolik e Hellboy, a personaggi della realtà, come scrittori realmente esistiti, come l’adattamento che ho fatto di recente da un racconto di Scotellaro, che fa parte di questo filone. Con Massimo Carlotto ho fatto un libro molto nero, uscito l’anno scorso in Francia, già pubblicato in Italia da Rizzoli, ma in questa versione francese è completamente rinnovato. Con Giancarlo De Cataldo ho realizzato  un altro libro, un adattamento di un suo racconto che ha come sfondo la strage degli Armeni. Salto da letteratura e storia a personaggi dell’immaginario. 

Progetti futuri?

Sto disegnando il prossimo Diabolik, e questo fino a primavera. Dopo vediamo. Diabolik è un personaggio abbastanza “con i piedi per terra”, e quindi potrebbe prendere degli elementi da qualcuno realmente esistito. Ma sai, molte delle storie interferiscono con fatti di cronaca, e già in passato ne abbiamo avute con contaminazioni di questo tipo. Quando ho proposto all’editore di comprare i diritti di Escobar non ho dovuto faticare, perché questa strana commistione tra immaginario e realistico in Diabolik c’è da sempre. Ricordo una collana di ristampe di Diabolik, se non erro con la Gazzetta, atta proprio a mettere in relazione i fatti di cronaca con le storie del personaggio.