Un piccolo passo in avanti

Se dovessimo paragonare la strada percorsa finora dai titoli LEGO alla carriera scolastica di uno studente, ci troveremmo costretti a pronunciare quella celebre frase che tanti di noi, incluso chi vi scrive, si è sentito dire da gran parte degli insegnanti: è intelligente, ma non si applica.

La frase tuttavia riassume alla perfezione il giudizio su gran parte dei titoli del franchise dei mattoncini danesi e sviluppati dal TT Games: giochi dal gameplay che intrattiene, un umorismo sempre su pezzo e una longevità tutto sommato ampia se si prendono in considerazione i collezionabili, il tutto però senza mai apportare modifiche di un certo rilievo e rendendo le varie iterazioni spesso molto simili tra loro, escludendo la tematica portante di ognuno.

LEGO Ninjago però aveva già attirato la nostra attenzione in quel di Colonia, mostrando scampoli di novità che, seppur non rivoluzionari, lasciavano intravedere un cambio di rotta tanto leggero quanto necessario per rinfrescare un po’ l’aria. E le nostre sensazioni sono poi state confermate in sede di recensione, grazie ad un titolo che finalmente si impegna ad offrire qualcosa di diverso rispetto al solito.

La narrazione di LEGO Ninjago segue di pari passo le vicende del film, ennesimo centro di Warner Bros. che con i mattoncini ci sa davvero fare, il che rende la visione dello stesso caldamente consigliata per non incappare in eventuali spoiler.
Il minimo indispensabile da sapere è che Ninjago è un’isola costantemente sotto attacco dal perfido Garmadon, contrastato però da un gruppo di giovani ninja, comandati dal vecchio Sensei Wu, e composto da giovani ragazzi del liceo tra cui Lloyd, il Ninjago verde che tuttavia è costretto a fare i conti con il suo essere figlio del malvagio arcinemico dell’isola. Ovviamente la storia offre molto di più, tra morali ovvie ma proposte in modo originale e alcuni cliché dei film di genere in chiave umoristica, che sapranno divertire a più non posso.

Detto ciò, è tempo di passare a prendere in mano il pad e parlare di cosa troveremo nel gioco. Le radici restano le stesse: il gioco è strutturato in numerosi livelli corrispondenti a vari luoghi che compongono l’Isola Ninjago e il nostro compito sarà quello di portare a termine le varie missioni proposte. Il tutto si sviluppa con un ritmo sempre molto bilanciato tra esplorazioni platform, combattimenti e elementi unici come il crafting in salsa LEGO, dove la costruzione di nuovi oggetti con i blocchi presenti in loco permetterà di aprire porte, sconfiggere nemici e quant’altro.

Stavolta, però, abbiamo avuto la netta impressione di un cambio di marcia sotto molti aspetti, primo fra tutti i combattimenti: sin dal tutorial il gioco si impegna a enfatizzare questo aspetto quanto mai fondamentale, visto che parliamo di un titolo basato sul mondo dei ninja. Nonostante delle similitudini, infatti, LEGO Ninjago introduce un sistema di combo leggermente più complesso rispetto al passato: nulla di davvero stravolgente, sia chiaro, ma il gameplay ne giova più del previsto, con volteggi acrobatici e concatenazioni che restituiscono grandi soddisfazioni. A ciò si aggiungono poi i combattimenti con mech da terra e da aria, un po’ troppo facilitati ma che spezzano una possibile monotonia dando molto più respiro ai singoli livelli, variando un copione che da tempo tendeva alla ripetitività.

A ciò va poi aggiunta la piccola rivoluzione operata nell’hub centrale che, di fatto, si compone di tutti i livelli affrontati e ha permesso agli sviluppatori di creare un piccolo mondo da esplorare con molteplici cose da fare: tra gare di velocità, dojo dove affrontare livelli di combattimento dalla difficoltà crescente e l’obiettivo di ricostruire la città danneggiata, spendendo monete di gioco, l’hub diventa un vero e proprio playground dove ci si può sbizzarrire.
Inizialmente le cose possono sembrare un po’ confusionarie ma, una volta presa l’abitudine, la curiosità di esplorare le zone sbloccate avrà sempre la meglio sulla main quest, anche in virtù della classica meccanica del cambio di personaggio e l’utilizzo di nuovi poteri. A goderne è poi la rigiocabilità, resa meno tediosa e forzata soprattutto per chi ha già una certa esperienza con la serie e gradirà sicuramente gran parte di questi cambiamenti. La sensazione generale è dunque quella di avere un gioco dei LEGO non ancora definibile come rivoluzionario, ma che corregge alcuni errori storici con soluzioni intelligenti e che giovano ad un gameplay che sembrava aver esaurito le sue idee.

Anche sotto il profilo grafico LEGO Ninjago è quasi sempre sul pezzo: il titolo si concede qualche attimo di smarrimento con dei salti di frame, soprattutto nelle sequenze particolarmente movimentate, ma in generale le performance che abbiamo analizzato sulla versione PS4 Pro si sono sempre attestate su livelli più che buoni. Il motore di gioco sa gestire i tanti mattoncini che volano per i livelli e, soprattutto in alcune cinematiche in-game, si può appurare una cura del dettaglio notevole con addirittura i segni del tempo e dell’uso sulla plastica, realizzati in modo davvero esemplare. Le musiche sono invece un mix tra composizioni per il film e la serie e qualche traccia originale studiata per il gioco, tutte perfettamente in linea con il mood e che, seppur non indimenticabili, accompagnano l’azione con il giusto piglio.

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Verdetto:

LEGO Ninjago rappresenta un piccolo passo in avanti per l’ormai decennale serie spesso avara di nuove idee. Le nuove meccaniche ed intuizioni introdotte non fanno gridare al miracolo ma vengono utilizzate in modo intelligente e tirano a lucido un sistema ormai fin troppo classico, regalando un titolo sempre godibile e con una marcia in più.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.