Ripercorriamo la storia della letteratura horror

Edgar Allan Poe, William Hope Hogdson, Robert Loius Stevenson, Bram Stoker, Howard Philips Lovecraft, Robert William Chambers, Richard Mateson, William Peter Batty, Clive Baker, Stephen King. Questi sono solo alcuni degli innumerevoli maestri dell’orrore che nel corso degli anni ci hanno fatto sobbalzare e crepitare dalla paura con la loro letteratura horror, influenzando l’immaginario collettivo di milioni di lettori in giro per i quattro angoli del globo da centocinquanta anni a questa parte. Vi sembra poco? Infatti, la letteratura horror è relativamente “giovane” ed è uno dei grandi filoni creativi dell’epoca moderna, periodo per qualche motivo estremamente florido di mostri, angosce, ossessioni, fantasmi, tremende creature, assassini e indicibili avvenimenti di ogni tipo.

In realtà la narrazione dell’orrore affonda le proprie radici in secoli ben più antichi, fin dalle prime opere di fantasia di cui abbiamo memoria. Eppure, nonostante la paura faccia parte dell’umanità dai suoi albori, ha faticato molto a conquistarsi un genere tutto suo che venisse riconosciuto come movimento letterario al pari di tanti altri.

Non a caso, per giungere a questo dovuto riconoscimento è stato necessario il lavoro di tanti precursori, sperimentatori e visionari che hanno cominciato a giocare con le suggestioni del mistero prima che fosse di moda, ma purtroppo poco conosciuti al grande pubblico. Stay Nerd si sobbarca l’ingrato compito di scavare nei loro orrori. Che Cthulhu vi protegga!

letteratura horror

Letteratura horror: le origini

Parlare della letteratura horror delle cosiddette “origini” non è un tema facile. I letterati tendono infatti ad individuarne i natali in quelli che vengono definiti romanzi gotici, racconti di toni crepuscolari dove regnano il soprannaturale e il mistero, venuti fuori durante il XVIII secolo. In realtà gli elementi horror frequentano gli infiniti mondi della narrazione da molto più tempo.

Fin dai tempi più remoti, l’umanità ha avuto paura delle storie e si è raccontata a vicenda storie di paura. Il perché in un primo momento sembra difficile da individuare. Per quale motivo dobbiamo farci venire reciprocamente il terrore parlando di mostri, creature sovrannaturali, incubi inconsci, morti, sangue di qua e sangue di là? I più temerari di voi potrebbero sostenere che si tratta di un complesso sistema per vedere chi è coraggioso e chi invece se la fa sotto, oppure per riuscire ad affrontare gli orrori stessi a debita distanza. Non è esattamente sbagliato. Dagli albori della cultura nel suo complesso (robetta di svariate migliaia di anni fa) le narrazioni avevano una forte funzione didattica, ovvero mettevano in scena avvenimenti e prospettive reali e irreali, inverosimili e verosimili, in modo da preparare chi le ascoltava a vivere poi un giorno in prima persona.

Questa sfumatura didascalica spesso generava un conseguente “effetto catartico”, secondo cui il fruitore, messo a contatto con sensazioni fortissime e indicibili, riusciva ad apprezzare il tanto desiderato ritorno alla realtà. Ed era questo (e lo è tuttora) il motore principale delle grandi narrazioni collettive, viste come momenti di apprendimento dove si assisteva a tutte le variazioni assurde del vivere comune così da essere più e consapevoli del mondo che li circonda. Durante questi istanti, spesso si istituivano racconti dal grande impatto emotivo che mostravano situazioni in cui la morale, gli usi, i costumi e i sensi incontravano i loro esatti opposti attraverso contenuti estremi, grotteschi e surreali.

La chiave del gioco era la rappresentazione di contrasti violenti tra ciò che era lecito, buono, giusto e il suo contrario. Non a caso, abbiamo parlato di “rappresentazione”, perché questo meccanismo era proprio della tragedia greca, in cui fungeva da rito collettivo grazie al quale la comunità poteva liberarsi dai veleni e delle scorie del vivere comune e tornare serenamente alla normalità. E proprio alla cultura greca (come per tante altre cose) dobbiamo guardare quando si parla dell’origine dell’Horror.

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Infatti nei poemi, epici e non, da Omero in poi possiamo trovare un quantitativo forse incalcolabile di elementi orrifici che non stonerebbero affatto in un testo di Stephen King o Edgar Allan Poe. Basti pensare, sempre rimanendo dalle parti del mar Egeo, alle visioni profetiche dei fantasmi che avvengono sui campi di battaglia di Troia nell’Iliade, alle discese nell’Ade dell’Odissea, insieme alle mostruose creature incontrate da Odisseo nel suo lungo peregrinare, alla Teogonia di Esiodo, dove le divinità di cui si tratta la nascita, l’ascesa e la caduta contengono tremendi elementi che sembrano accomunarli, alla lontana, con i Grandi Antichi di Lovecraft.

Ma la possibile individuazione di tratti orrorifici può andare avanti a lungo, anche solo considerando tutte le situazioni inquietanti rappresentate nelle tragedie, a benestare del meccanismo di cui abbiamo parlato prima. Seguendo questo filo, che dalla terra delle Polis si snoda attraverso epoche e continenti, potremmo rintracciare alcune avvisaglie dell’horror in tutte le opere prodotte dall’ingegno umano, passando per l’Impero Romano, i testi biblici, il Medioevo, i nostrani Dante e Boccaccio, andando avanti e avanti ancora fino ad arrivare alle Americhe e oltre.

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Dobbiamo attendere il Romanticismo affinché l’attrazione per queste sfumature oscure dell’animo umano possa sublimarsi in un modo di raccontare nuovo e differente. Perché proprio in quell’epoca, se queste tendenze esistono da migliaia di anni? Beh, come spesso capita nella storia dell’uomo (creatura bipolare per definizione) si tratta di una reazione dovuta al post-illuminismo. L’Illuminismo, altro periodo storico e culturale che dovreste ben conoscere, aveva infatti messo al centro della vita e della società la ragione, il “lume”, la mente umana in tutto il suo splendore. Ma, alla fine, tutto questo elevare la razionalità al grado di motore immobile di ogni cosa aveva generato nelle persone una curiosità sempre crescente per il mistero, l’inspiegabile, il soprannaturale.

Verso la sua conclusione, l’età dei lumi aveva rintuzzato le sensazioni e le percezioni dell’insondabile che da sempre accompagnano le fantasie dell’uomo, quasi come se l’umanità avesse cominciato a rigettare la scienza dopo che ne aveva fatto la sua sola e unica divinità.

Il romanzo gotico, padre della letteratura horror

Tuttavia non fu solo un cambiamento storico e di mentalità, ma soprattutto culturale. Non a caso è in questo clima che nasce il romanzo gotico, quello che può essere a tutti gli effetti considerato come il padre della letteratura horror. Le prime avvisaglie di questo genere vengono fatte risalire fino alle erbose distese della Gran Bretagna, dove si fanno strada narrazioni a forti tinte oscure e soprannaturali, ambientate in castelli abbandonati, luoghi solitari e abbazie diroccate, con protagonisti giovani uomini e donne, di provenienza nobiliare o altoborghese, che devono affrontare autentici orrori spesso sotto forma di spettri e demoni infernali.

La corona di capostipite del romanzo gotico viene assegnata al Castello di Otranto di Horace Walpole che, oltre a fregiarsi di un simile titolo, è anche stato riconosciuto come la prima ghost story della letteratura moderna. La trama è piuttosto semplice e vede al centro un principe, Manfredi, che ai tempi delle crociate deve fare i conti con diversi delitti che uniscono reale e soprannaturale, sullo sfondo dell’Italia medievale. Se agli occhi dei moderni potrebbe sembrare un intreccio tutt’altro che avvincente, Il Castello di Otranto fu un enorme successo, che fece epoca soprattutto per il fatto che, come confidato dall’autore, riusciva a conciliare l’anima “antica”, fatta di immaginazione e fantasia, e quella “moderna” della narrativa, fatta di plausibilità e verosimiglianza.

Il romanzo ebbe un numero impressionante di epigoni e plagiatori che tentarono di replicarne lo stile, ottenendo risultati di scarsa importanza. Ma ormai il seme del nuovo genere era stato piantato nella cultura collettiva e presto avrebbe dato frutti di rilievo.

Una delle penne più importanti di questo primo periodo sperimentale fu Ann Radcliff (all’anagrafe Ann Ward), che molti considerano la vera pioniera della letteratura horror. Grazie alle sue trame complesse, un gusto visionario della meraviglia e del terrore, oltre che una certe tendenza ad esplorare e battere nuove strade, ha dimostrato che le possibilità di questa nascente branca letteraria erano vastissime, grazie a romanzi celebri come Romanzo Siciliano, L’Italiano, o il confessionale dei penitenti neri (l’ambientazione italiana è spesso presente), e soprattutto I Misteri di Udolpho. Citato per la sua importanza in tantissime opere successive (tra cui spiccano L’abbazia di Northanger di Jane Austen e Il giro di vite di Henry James), racconta di una giovane donna, Emily St. Aubert, che si trova controvoglia a dover viaggiare con la zia e il nuovo marito nel lugubre castello di Udolpho, teatro di misteriosi eventi al termine dei quali riuscirà a coronare il suo sogno d’amore.

Dopo la Radcliff, abbiamo molti tentativi di canonizzazione che portano ad elaborare diverse figure che verranno riprese in seguito dagli epigoni del genere. Tra questi, per quanto riguarda la letteratura del nuovo mondo, troviamo Charles Brockden Brown, che si distingue per la sua prolifica produzione, tra cui risaltano romanzi importanti del calibro di Wieland, o La trasformazione, Ormond, o Il testimonio segreto e Arthur Mervyn.

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Restando invece dalle parti della vecchia Europa, per quanto appartengano teoricamente ad un ambito diverso, i racconti di Ernst Theodor Amadeus Hoffmann coniano e riportano diversi topoì dell’orrore. Particolarmente interessanti sono, in questi senso, i suoi Racconti Notturni tra cui spicca L’uomo della sabbia, una storia surreale e allucinata che, oltre ad essere una delle vette tedesche dell’horror, ha suscitato l’interesse di numerosi studiosi per le sue anticipazioni delle future teorie della psicanalisi del subconscio.

Un altro autore importantissimo è John William Polidori, che nel 1819 pubblica anonimamente una novella chiamata Il Vampiro. Qui vengono delineate per la primissima volta le caratteristiche tipiche dei succhiasangue che altri autori, in primis il creatore di Dracula, rievocheranno successivamente: l’origine aristocratica e la descrizione più “umana” della creatura, che viene definitivamente allontana da quella folkloristica del demone abitante dei Balcani.

Ma a parte questi fondamentali meriti, Polidori risulta basilare anche per la peculiare vicenda che lo portò alla realizzazione della novella. Infatti, ideò la storia all’interno di una gara di scrittura indetta da Lord Byron, di cui era medico, il quale, per trascorrere il tempo a villa Diodati, in prossimità di Lucca (notare che l’Italia c’entra sempre in qualche modo), aveva organizzato una piccola gara di scrittura con i suoi ospiti. Tra questi c’era anche Percy Bysshe Shelley e la sua futura moglie, Mary Wollstonecraft Godwin. La giovane signora, in particolare, si aggiudicò la contesa scrivendo un racconto che aveva per protagonista un geniale scienziato capace di dare la vita ad un cadavere, intitolato Il Moderno Prometeo.

Esatto, stiamo parlando di Viktor Frankestein e del suo celebre mostro e l’autrice è ovviamente Mary Shelley. Caso volle che le due opere più significative dell’ultima età del romanzo gotico venissero al mondo in concomitanza e per vincere la stessa sfida alla noia. Soprattutto Frankestein, opera borderline tra la letteratura gotica e la nascente letteratura dell’orrore, che viene considerata l’opera d’avanguardia che segna il passaggio tra l’una e l’altra.

Per le sue peculiarità, nel mantenere le atmosfere cupe, oscure, gli orrori che rappresenta, ma anche nello sfuggire ai canoni del romanzo e nel suo preludere alla fantascienza, l’opera di Mary Shelley può essere considerato il grande spartiacque del gotico nonché quella che segna il passaggio da un protogenere ad un altro codificato, maturo e ormai degnamente riconosciuto come nuova espressione della cultura letteraria, ovvero l’horror.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!