Con Arrival nelle sale, tratto dal racconto che dà il titolo alla raccolta, è il momento di riscoprire e rileggere Ted Chiang

Prima di Arrival c’era un racconto pubblicato nel 1998, diciannove anni fa. Insieme a questo ci sono altri sette racconti, scritti tra il 1990 e 2002, tutti nati, o meglio progettati, dalla mente di Ted Chiang, scrittore di manuali di software nato a New York da genitori cinesi.

L’intera bibliografia di Chiang è presto riassumibile: dal ‘90 a oggi ha pubblicato quindici racconti più o meno lunghi, senza mai avventurarsi nel romanzo, giocando con i limiti che separano un novel da una novella, perfezionando l’arte della miniaturizzazione di mondi che distingue lo scrittore che si presta al racconto da quello che in questa forma trova l’essenza del suo metodo di narrazione.
Che Chiang si trovi a proprio agio nei racconti, è dimostrato dal suo medagliere: 4 Nebula Award, 1 Sturgeon Award, 4 Hugo Award e una serie di altri premi coronano la carriera di un autore che travalica i confini della narrativa di genere, fondendo elementi di letteratura alta con viaggi nel tempo, teosofia e scorci di vita familiare.

I personaggi di Chiang sono modellati come rappresentazioni olografiche 3D e congegnati con la stessa cura che richiede la scrittura di un software: per il lettore è facile scivolare nella mente del protagonista, che sia un umile minatore all’ombra della torre di Babele o la linguista Louise Banks, alle prese con gli eptapodi di Arrival. Anche nel racconto più particolare della raccolta, strutturato come narrazione corale, non c’è modo di confondere un personaggio per l’altro, nonostante – o proprio grazie a – la narrazione in prima persona.

Something Old

Storie della tua vita può essere etichettata semplicisticamente come una silloge di racconti di genere e, ancora più specificamente, di science-fiction, ma un buon lettore sa che la letteratura vive di scambi e contaminazioni, e anche se non lo sa il lettore, Chiang ne è senza dubbio conscio.

Ne La torre di Babele l’ispirazione è biblica, postdiluviana, e il protagonista, Hillalum, raggiungerà la città tra le nuvole che si trova in cima alla torre per scoprire se davvero Dio dimora al di là della volta celeste che delimita l’atmosfera.
Il primo dei racconti della raccolta si intreccia con la religione, tema che ricorrerà spesso tra queste pagine, come se fosse impossibile per l’uomo fissare il cielo senza domandarsi cosa – o chi – vi si nasconda dietro.

La devozione, per esempio, è al centro di uno dei racconti più innovativi della raccolta: in questa realtà, l’esistenza di Dio, degli angeli e dell’inferno non è più solo una credenza, ma una certezza e i miracoli sono comuni, per quanto non sempre benevoli. La moglie del protagonista, Neil, è una di quelle “morti collaterali” che occorrono quando una creatura celeste si manifesta. Neil non ha mai creduto in Dio, mentre la moglie era una fervida osservante. Certo, nessun problema nel nostro mondo, ma come fare se al momento della morte della vostra anima gemella la vedete ascendere verso il paradiso, mentre il vostro destino è di finire in quell’inferno che ogni tanto si intravede sotto di voi, come se la crosta terrestre diventasse improvvisamente di vetro?

Intrecciando la storia di tre persone diversamente toccate dalla mano di Dio, Chiang riflette sulle ricompense, reali o paventate, della religione, perché, come sostiene Neil:

“Forse è meglio vivere in una menzogna in cui i virtuosi sono ricompensati e i peccatori puniti, anche se il criterio su cui si fondano rettitudine e peccaminosità ci sfugge, che vivere in una realtà dove non esiste nessun tipo di giustizia.”

Nel quinto racconto della raccolta, si spinge ancora più lontano nella sperimentazione, fondendo ambientazioni steampunk, alchimia (fin qui niente di innovativo), cabala e manipolazione genetica. Anche se apparentemente questi elementi sembrano sposarsi tra di loro quanto i bastoncini di pesce e la crema pasticcera dell’undicesimo Dottore, Chiang riesce a costruire una scenografia e degli attori credibili per questo universo caotico, vaporoso, popolato da golem che sembrano diretti precursori degli androidi positroni di Isaac Asimov.

Something new

Ma è nelle ambientazioni moderne, presenti o future, che Chiang scatena tutto il suo immaginario.
Ci racconta la storia di un uomo che in seguito a una cura sperimentale per riparare le cellule cerebrali danneggiate, vede le sue capacità intellettive crescere in maniera esponenziale. Lo so che può sembrarvi una storia già sentita, vi sento già mormorare Limitless con sdegno, ma questo racconto è del 1991, quel film che tutti abbiamo visto, o di cui abbiamo sentito parlare è più giovane di vent’anni e il romanzo da cui è stato tratto, di Alan Glynn è del 2001. Chiang vince ancora.

Il desiderio di conoscenza è il motore primo che muove i protagonisti di questi racconti: tutti sono alla ricerca del sapere, tutti sono impazienti di apprendere, che si tratti di una lingua aliena, nuovi superpoteri mnemonici dovuti all’implemento di neuroni o la soluzione finale di un’equazione mai risolta prima.

In Divisione per zero la matematica Renee dimostra l’inconsistenza dell’aritmetica come sistema formale. Immaginate quale sconvolgimento sarebbe la prova che la matematica è inconsistente, una mera illusione, e che in realtà uno è uguale a due, o a qualsiasi altro numero. Questo è forse il racconto più distopico della raccolta, quello in cui il lume della speranza diventa fioco, mentre uno dei pilastri su cui si regge la cultura mondiale si sgretola. Il tutto, ovviamente, avrebbe potuto essere raccontato con toni apocalittici e distruttivi. Proprio per questo, la scelta di narrare un evento così sconvolgente attraverso la vicenda personale di una sola persona, l’autrice della scoperta, è spiazzante e coinvolgente.

Un altro degli innegabili pregi dei racconti di questa raccolta è che sembrano perfetti per essere trasposti in tante serie TV: non solo si inserirebbero molto bene in una stagione di Black Mirror, ma alcuni di questi potrebbero sopportare il peso di molte stagioni. Gli universi narrativi di Chiang sono popolati da personaggi anche solo accennati che hanno un bagaglio di storie mai raccontate ma percepibili; realtà alternative come quella del già citato L’Inferno è l’assenza di Dio, o di Il piacere di ciò che vedi, sono una miniera di trame e sottotrame che non capiamo perché non siano ancora state sfruttate da Netflix, o perlomeno da Fx, negli ultimi tempi così attente a tutto ciò che di fantascientifico possa essere distillato in puntate da quaranta minuti.

Something beautiful

Il piacere di ciò che vedi, un documentario, è in assoluto il racconto che più ho apprezzato. Strutturato come una vera e propria trascrizione di interviste, veniamo proiettati in una società in cui la discriminazione nei confronti delle persone poco attraenti è stata debellata grazie alla calliagnosia. In medicina, l’agnosia è un disturbo, dovuto a lesioni del cervello, che determina nel malato l’incapacità di riconoscere gli oggetti più familiari mediante gli organi di senso. La calliagnosia è una lesione reversibile procurata volontariamente, che impedisce reazioni all’estetica delle persone.

La bravura di Chiang consiste nel ricreare verosimilmente la frammentata varietà di reazioni a una simile opportunità. Non solo pro e contro, ma anche reazioni intermedie, o esageratamente di parte, trovano spazio in queste pagine. Non mancano le frasi ispiranti (una su tutte: “se volete combattere le discriminazioni, tenete gli occhi aperti”), che rendono questo racconto, l’ultimo della raccolta, non solo un fantastico pezzo di fiction, ma anche un gramo memorandum per la vita di tutti i giorni in cui troppo spesso il bello, o il brutto, del mondo appannano i nostri occhi.

Ted Chiang è un meraviglioso narratore, anticipatore e fine intenditore della materia umana e non ci resta altro che ringraziare l’arrivo del film di Denis Villeneuve nelle nostre sale per goderci la ristampa del volume a opera di Frassinelli (ma se ve la cavate con l’inglese, tutti i racconti di Chiang, anche quelli più recenti, si trovano legalmente online).

Angela Bernardoni
Toscana emigrata a Torino, impara l'uso della locuzione "solo più" e si diploma in storytelling, realizzando il suo antico sogno di diventare una freelancer come il pifferaio di Hamelin. Si trova a suo agio ovunque ci sia qualcosa da leggere o da scrivere, o un cane da accarezzare. Amante dei dinosauri, divoratrice di mondi immaginari, resta in attesa dello sbarco su Marte, anche se ha paura di volare. Al momento vive a Parma, dove si lamenta del prosciutto troppo dolce e del pane troppo salato.