Another lovely day

Non ci sono mezzi termini. Mad Max: Fury Road è stato un rilancio totale dell’epica metallica creata da George Miller ormai 30 anni fa riuscendo nell’impresa non solo di rilanciare un personaggio caduto nel dimenticatoio, ma di farlo anche aderire ad un attore nuovo (Tom Hardy) che ha dovuto sostituire “l’ingombrante” figura di un quanto mai iconico Mel Gibson, Mad Max: Fury Road ci ha entusiasmati e calamitati, e come noi tanti si sono sinceramente galvanizzati nella visione di una pellicola densa di azione, uscendo dalla sala al grido di “ammira” nella speranza (poi realizzatasi) che un sequel fosse annunciato e che Max potesse continuare la sua attraversata desertica verso un’irraggiungibile pace interiore. Con questa premessa così corroborante non deve meravigliare quel certo interesse cresciuto attorno al Mad Max videoludico, titolo ad opera di Avalanche Studios ed in sviluppo da ben prima che il film entrasse nella sua effettiva produzione. Partorito a metà tra un prequel ed un tie-in degli eventi cinematografici, Mad Max nasce quindi con un problema non da poco: collocarsi quasi alla cieca in quello che è l’universo della serie con il rischio tangibile che qualcosa possa non incastrarsi a dovere. Premessa, incredibilmente, quasi del tutto scongiurata in quello che è un lavoro, diciamocelo, non privo di difetti ma anche con diversi pregi. AMMIRA!

Il mio nome è Max, il mio mondo è fuoco e sangue. Un tempo ero un poliziotto, un guerriero di strada in cerca di una giusta causa. Mentre il mondo crollava, ognuno di noi a modo suo era a pezzi. Difficile capire chi fosse più folle: io… o gli altri. Eccoli che tornano, si insinuano scavando nella materia nera del mio cervello. Ripeto a me stesso che non possono toccarmi: sono morti e da tempo. Sono colui che fugge sia dai vivi che dai morti, inseguito da saprofagi, perseguitato da coloro che non ho saputo proteggere. Esisto così, in questa terra devastata: un uomo, ridotto a un unico istinto… sopravvivere.

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Che giornata!

Le premesse narrative di Mad Max sono le medesime di Fury Road. Inseguito dai figli della guerra di Scrotus (uno dei bravi figlioli di Immortan Joe) Max viene infine sconfitto. La sua intramontabile Interceptor, il Gioiello Nero, viene rubata e fatta in pezzi, mentre lui stesso viene praticamente svestito di ogni bene. Nel peregrinare desertico che segue una violenta battaglia su 4 ruote in cui Scrotus, apparentemente, viene persino sconfitto, Max si imbatterà nel folle Chumbucket, un ditonero (leggasi meccanico) gobbo e reietto che vede subito in Max il “Santo” di una antica profezia, l’unico per cui avrà senso costruire la sua opera migliore, una vera e propria bibbia su 4 ruote ispiratagli direttamente dall’Angelo Combustione: la Magnum Opus. Con un nuovo compare ed una nuova auto dalle prestazioni leggendarie, Max comincia quindi una nuova guerra, su tutto per vendicarsi di Scrotus che lo ha privato del suo bene più prezioso e, infine, per proseguire il suo viaggio verso le mitiche Piane del Silenzio, un luogo a metà tra realtà e finzione in cui il nostro spera (anzi CREDE) di poter finalmente trovare la pace dai fantasmi del suo traumatico passato. Le premesse di Mad Max, come intuibile, sono praticamente identiche a quelle dell’ultima opera cinematografica e la cosa non deve meravigliarci. Come detto nell’incipit ai ragazzi di Avalanche è stato permesso di lavorare con dei materiali del film, peccato che questi fossero – di fatto – materiali di pre-produzione evidentemente rimaneggiati in qualche modo all’atto pratico di girare la pellicola il che, ovviamente, porta ad alcune contraddizioni narrative rispetto al canone cinematografico. La cosa, francamente, lascia il tempo che trova. Un po’ per le stesse modalità con cui la serie di Mad Max è concepita, un po’ perché la trama non resta comunque banalotta o telefonata, ma riesce persino a fare più che bene il suo lavoro con alcuni colpi di scena ed un cast di comprimari (tra cui proprio Chumbucket) capaci di supportare più che degnamente il protagonista. Il fatto, poi, che il Max del gioco non sia modellato né su Mel Gibson né su Tom Hardy, lascerà perplessi giusto il tempo di ambientarsi lasciando che sia poi il mondo di gioco a catturarci con i suoi colori saturi e le sue calde tonalità. Il pregio più evidente è infatti quello di essere riusciti a ri-costruire le Wasteland restando fedeli all’opera di Miller il che, ripetiamolo, considerando il fatto che il team fosse allo scuro dei “movimenti sul set” ha quasi dell’incredibile. Il mondo post apocalittico di Max e dei figli della guerra è decisamente aderente all’epopea cinematografica, denso anch’esso di quella fascinazione motoristica che ha eletto il V8 ad araldo divino. Anzi, considerando il gioco canonico (salvo futuri ripensamenti), Mad Max è anche un ottimo momento per approfondire la lore delle Wasteland in cui non solo esiste un sottesto spirituale solo vagamente accennato in Fury Road, ma anche un preciso ordine sociale fatto di fortificazioni, leader più o meno carismatici e variegati gruppi di folli. La trama, insomma, fa decisamente il suo lavoro. Non un opera di fino, ma neanche quello scialbo miscuglio di idee che spesso permea i tie-in. Sembra piuttosto un competente filler, occasionalmente tediato da qualche banalità action in puro stile americano ma, non per questo, da rigettare in toto.

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Il cammino del Santo

Per quel che riguarda il sistema di gioco, Avalanche ha giustamente optato per un free roaming dalla mappa particolarmente ampia dove, ovviamente, regna la desolazione del dramma atomico. Il punto è che una mappa enorme fatta di sole dune e strade battute dagli pneumatici non avrebbe avuto senso, e così aderendo al canone della serie anche le Wasteland videoludiche hanno le loro fortificazioni e, perché no, le loro diversificazioni passando dai bianchi deserti ove una volta c’era l’oceano, agli spurghi acquitrinosi delle zone “industriali” ove gli uomini di Scrotus sono dediti all’estrazione petrolifera. Antiche highway in evidente abbandono tagliano a metà le dune, mentre in lontananza i comignoli di Gastown ricordano ai superstiti che la dinastia di Immortan Joe regna sovrana. Il mondo di Mad Max è piacevole da esplorare e presenta delle trovate che, francamente, non ci saremmo aspettati e che rendono la lunga traversata sicuramente più eccentrica e meno tediosa (ve lo immaginate un free roaming di sole dune?!). Con l’incedere del gioco la mappa andrà pian piano costellandosi di una moltitudine di incarichi secondari impressionanti tra missioni più o meno banali, sino al prevedibile procacciamento di viveri e rottami (qui moneta di gioco utile praticamente per qualsiasi necessità). I compiti sono veramente tantissimi, e si sveleranno sulla mappa sia tramite l’incarico diretto commissionatoci da uno dei vari comprimari, sia grazie all’uso di appositi palloni aerostatici che, similmente alle torri di Assassin’s Creed ci permetteranno la “sincronizzazione” con l’area di gioco. Il numero di missioni è elevato ma purtroppo la loro diversificazione è appena sufficiente a superare senza noia le 15 ore necessarie per il completamento della trama (almeno 40 per completare invece il gioco al 100%). Si passa quindi dalle prevedibili gare (ma occhio a sbrigarvi, perché la macchina esploderà se non raggiungete il traguardo in un tempo limite!), allo smantellamento delle effigi di Scrotus, sino all’eliminazione di cecchini ed all’assalto delle fortificazioni dei Figli della Guerra. Purtroppo queste missioni, nonostante una presupposta difficoltà crescente (indicata, ma di fatto mai veramente capace di creare una sfida degna di questo nome) si esauriranno già nelle prime due ore di gioco costringendoci ad un viaggio variegato negli ambienti, ma non negli incarichi. L’incedere di compiti fondamentalmente tutti simili a sé stessi, e la cui variabile è solo il numero di sgherri da piallare, o la vastità del fortino da razziare, lascerà ben presto il passo alla noia. Non dimentichiamo, inoltre, che la generale presenza di Scrotus sarà indicata con un apposito “livello di minaccia” che andrà da zero a 5 ove 5 è il livello di partenza di ogni zona e zero corrisponde alla zona liberata. Perché specificarlo? Perché di fatto molte missioni non cominceranno senza che non abbiate liberato la zona fino ad un certo livello o senza che abbiate ottenuto un certo ammontare di risorse (rottami) o potenziamenti utili per proseguire. Questa meccanica, invero abbastanza tediosa in un gioco del genere, in pratica ci obbliga talvolta a girovagare alla ricerca di piccoli punti di sciacallaggio per ottenere rottami, o nel completamento forzato di numerosi incarichi secondari (molti sono infatti gli obiettivi da completare per far scendere l’indicatore anche solo di un livello). Ne viene da sé che se non siete oggettivamente vogliosi di esplorare la vastissima mappa, spesso il gioco potrebbe risultarvi stancante o noioso. Il consiglio è allora quello ci completare, nel corso delle lunghe tratte in auto, quante più missioni collaterali vi si presentano, così da limitare al più possibile le forzature che il gioco vi imporrà.

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La parola dell’Angelo

Ma che cosa sarebbe Mad Max senza un tripudio di carrozzerie ammaccate e motori in fiamme? Con la Interceptor fatta barbaramente a pezzi, al nostro eroe non resterà che affidarsi alle mani di Chumbucket ed alla sua meravigliosa creazione: la Magnum Opus. Trattasi a tutti gli effetti di un veicolo in costante evoluzione; una macchina dalle prestazioni potenziabili e dall’aspetto in costante cambiamento che potrà addirittura “evolversi” attraverso un numero consistente di varianti pre-impostate chiamate “Arcangeli”. Un Arcangelo è, a conti fatti, una versione della Magnum Opus sbloccabile da un certo punto del gioco in poi, e che per essere ottenuta richiede il possesso di un certo numero di potenziamenti acquistati per mezzo dei rottami e di una apposita carrozzeria. Ogni Arcangelo fa di uno o più parametri della magnum Opus il suo punto di forza sicché esso potrebbe essere più veloce, più resistente o semplicemente inarrestabile. La Magnum Opus è in effetti forse l’aspetto più galvanizzante del gioco in quanto la meraviglia costruita da Chumbucket godrà di così tanti e vari potenziamenti da costituire uno dei più grandi (se non il più grande) sproni all’accumulo di risorse. Come detto la macchina sarà potenziabile, e per sbloccarne le migliorie dovremo sia completare alcune missioni (sia principali che secondarie) sia ottenere il giusto numero di rottami. Come in un simulatore automobilistico (ma con un ovvio sistema di guida squisitamente arcade) potremo quindi tenere sotto controllo parametri come velocità, manovrabilità e accelerazione, ma anche statistiche come attacco, resistenza e velocità di riparazione. Questo perché, ovviamente, nel mondo di Mad Max buona parte delle mazzate sarà a bordo di veicoli in quelli che sono degli inseguimenti spesso concitati e carichi di auto ammaccate ed esplosioni. Potenziare a dovere la Magnum Opus sia nella sua carrozzeria, che nel suo armamentario (costituito da un arpione, una lancia esplosiva ed un fucile da cecchino) è una differenza sostanziale tra la vita e la morte, specialmente quando si andranno a fronteggiare i “convogli” che, proprio come nel film, sono composti da un buon numero di vetture armate di tutto punto. La situazione è spesso caotica ma divertente e rappresenta più che degnamente le situazioni viste nel film, con tanto di alcuni veicoli veramente difficili da tirare giù mentre si corre a velocità folli. Occorre poi capire bene quando si è abbastanza pronti da affrontare certe sfide (ovviamente opzionali tra le varie missioni secondarie) poiché col procedere dell’avventura certi convogli, ma anche solo certi gruppi di auto, potrebbero essere troppo blindati per il nostro armamentario ed in quel caso toccherà ripiegare con la coda tra le gambe o, peggio, finire carbonizzati nell’esplosione della nostra auto.

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The fury off the road

Purtroppo la stessa bontà non si rispecchia quando Max è a piedi il che, credeteci, succede decisamente spesso. Il combattimento corpo a corpo, per quanto presenti qualche obbligatoria variazione al tema, è costruito sulla base dell’ormai celebre Free Flow concepito da Rocksteady per la serie Batman Arkham, con un solo tasto demandato all’attacco (ma che premuto più a lungo genera un colpo più forte) ed il tasto triangolo adibito alla parata o, con il giusto timing, al contrattacco. Purtroppo a Mad Max manca però lo stesso piglio di Batman, anche solo in termini di spettacolarità. Il sistema soffre infatti di un pessimo locking del nemico, tant’è che spesso Max si trova a dare tre o quattro colpi all’aria prima di rivolgere la sua furia all’avversario. Il livello di sfida, inoltre, è di una bassezza disarmante tale che spesso l’indicatore di difficoltà di un fortino si traduce solo in un maggior numero di sgherri da pestare, ma praticamente MAI in una vera sfida. Aggiungeteci poi che l’intelligenza artificiale dei tizi è davvero ridicola e che, per quanto essi siano molto ben differenziati tra di loro, finiranno più o meno tutti per caricarvi a testa bassa e capirete quanto il mordente del combattimento lasci ben presto il posto alla routine. Il gioco, infine, oltre che offrire potenziamenti per la vostra auto, propone anche non uno, ma ben due sistemi di miglioramento per Max. Il primo è accessibile direttamente dal menù e permette molto velocemente (e spesso ad un costo ridicolo!) di potenziare il vostro equipaggiamento, come il vostro campionario di attacchi, il numero di proiettili del vostro fucile, o la resistenza del vostro vestiario. Il secondo è invece accessibile previo l’incontro di un certo personaggio, Griffa, che in cambio di appositi gettoni ottenibile con l’accrescere della vostra fama (ergo: completando missioni a manetta) vi permetterà di ottenere ulteriori bonus come un maggioramento dei danni inflitti, un aumento dell’energia, e così via dicendo. Il gioco, insomma, vi renderà ben presto così forti ed efficienti (senza tuttavia fare lo stesso per i nemici) che la curva di difficoltà diverrà una linea retta il che, in un gioco con una vastità disarmante di gente da picchiare e luoghi da visitare, non è proprio uno stimolo alla gioia.

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Ammirami… ma non troppo

Dal punto di vista tecnico Mad Max segna dei punti a favore, salvo poi compiere degli scivoloni notevoli. Il mondo di gioco, come detto, è dettagliato nel modo giusto, ricco di luoghi da scoprire e diversificato quel tanto che basta da aderire in modo convincente a quanto girato da George Miller sia ieri che oggi. I veicoli del gioco non sono mai banali (tranne, ovviamente, quando si ripetono essendo essi divisi in apposite categorie) e la costruzione del tutto, compresi i modelli dei personaggi, è convincente e godibile. I particellari, in particolare il fuoco e il conseguente fumo che ne scaturisce, sono di una bontà impressionante ed al gioco non mancano dei colpi di genio come la celeberrima ed enorme tempesta apprezzata nel film, che randomicamente flagellerà l’intero (SI ESATTO!) mondo di gioco con vento, fulmini e compagnia cantante. Il problema è che per far fronte alla mappa spesso ci si imbatte in quale texture non propriamente memorabile, specialmente quando si va all’esplorazione di alcuni fortini o di avamposti particolarmente estesi. Anche alcuni ammassi rocciosi (di cui il gioco abbonda) nascondono spesso una magagna tecnica con delle texture che simulano la presenza di poligoni che in realtà non esistono. Inoltre, all’incontro di convogli particolarmente massicci in termini di auto presenti in strada, il gioco è stato spesso soggetto a rallentamenti imbarazzanti, tali che in un paio di casi ci siamo allontanati dall’inseguimento per disperazione il che, in un titolo in cui si passa buona parte del tempo ad inseguire auto, non è proprio il massimo. Infine, benché la mappatura dei controlli sia soddisfacente in auto, a piedi le cose sono un attimo più “scomode” con la corsa ed il salto demandati ai grilletti dorsali destro e sinistro. Il salto, in particolare, è quanto di peggio si vedeva in un videogame dai tempi di Tomb Raider (ma il primo, quello per PSX). Max è un duro, combatte, scazzotta, guida fucile alla mano e poi non è in grado di effettuare per bene un salto minuscolo. Ok bello, c’hai il tutore alla gamba ma DIAMINE!