Labadessa si confronta con la sua prima graphic novel a metà tra successo ed incertezza

Classificare i lavori di Labadessa sembra una cosa semplice. In fondo, ci diciamo, sono nulla più che una serie di strip dal sapore memetico, che si avvicendano sulla rete con catchphrase particolarmente efficienti. Non necessariamente opere di importanza astronomica, più che altro spaccati del quotidiano di ognuno di noi, ritinteggiati in rosso e giallo per creare una sorta di dipendenza visiva. Le cromie di Labadessa, anzi, di Mattia, sono forse la sua intuizione più riuscita. Quella capacità di catturare l’attenzione grazie ad un universo giallo, solo occasionalmente sporco di altri colori. Non c’è uno studio preciso dietro la cosa, eppure l’intera costruzione del “labadessaverse” ha il sapore forte di un piano ben riuscito, studiato, rodato, ponderato dalla prima all’ultima vignetta.

La realtà dei fatti è che glissare Mattia Labadessa come “creatore di meme” è un po’ non riconoscergli l’affascinante capacità di saper dialogare con buona parte dei suoi lettori. “Buona parte”, s’intende, perché è ovvio che molti, magari moltissimi, potrebbero semplicemente fermarsi alla superficie delle cose. Al “meme”, così com’è. Mattia Labadessa però, quando disegna, più che altro quando racconta piccoli pezzetti di vita, tra una birra, una cannetta e un pomeriggio che vorresti proprio passare a letto, racconta più che altro di se stesso, delle sue esperienze, di quello che è il suo quotidiano, riversandoci dentro tutte quelle cose che, a ben pensarci, sono un po’ comuni a tutti. Non le banalità della vita, ma la sua semplicità, la sua quotidianità e, ogni tanto, anche qualche momento di condivisibile malinconia. Se questo principio ci è ormai chiaro dalle sue vignette, con Mezza fetta di Limone, Labadessa porta – per la prima volta – ogni sua forma comunicativa all’estremo. Sia dal punto di vista contenutistico che estetico.

La storia è in realtà un pretesto molto semplice per mettere in scena una serie di situazioni apparentemente paradossali. L’Uomo Uccello, di cui ancora, e volutamente, non conosceremo il nome, passa una giornata di (suo) tipico disfattismo, accompagnato in una nottata di bagordi da due co-protagonisti, in realtà già noti ai fan delle strisce online: Wilson, un coniglio bianco dal carattere passivo e raramente impegnato nella comprensione di ciò che lo circonda, e Franco, un esilarante tucano di indole quasi aggressivamente gioiosa nei confronti della vita. I tre passeranno una serata insieme, tra il sollazzo tipico di un sabato sera tra amici e una serie di situazioni al limite del grottesco, atte a concentrare l’attenzione del lettore su quelle che sono alcune delle tematiche ormai care a Labadessa: la desensibilizzazione nei confronti di ciò che ci accade intorno, la caducità della vita all’interno di un crudele universo, l’inadeguatezza verso se stessi e verso i rapporti sociali. I tre capitoli sono in effetti un rimpiattino continuo tra quiete e disagio, e cercano di creare un dialogo con il lettore attraverso i concetti ormai noti ad un certo disagio generazionale che, tuttavia, non riguarda erroneamente solo un pubblico di giovanissimi, ma anche una buona fetta di trentenni che forse, proprio per questo, rivedranno parte del proprio malessere tra le parole impresse, in nero su giallo, dall’autore.

Il punto è che il lavoro di Mattia risulta talvolta caotico, o per lo meno disorganico nella sua struttura di rimandi continui a concetti che derivano da situazioni “nate sul momento”. Una canzone, un oggetto inanimato, inducono i protagonisti a fare voli pindarici che si perdono in scene che fanno quasi corpo a se rispetto alla struttura dell’opera, presentando anche personaggi che si fatica a collocare all’interno del racconto tutto, come il misterioso “uomo-coniglio-uccello” che più di una volta interagisce direttamente con il lettore. Questa situazione di disorganicità è forse la manifestazione dell’intenzione di Labadessa di dare un sequel, a questo punto più che certo, all’opera, ma tale deduzione non può essere data per scontata nei confronti del lettore, che potrebbe rimanere un po’ stordito o, se vogliamo, dubbioso in merito a ciò che ha avuto modo di leggere e non completamente comprendere.

Questa è forse la pecca principale, se non l’unica, di quello che è altrimenti un lavoro che segna un piccolo ma fondamentale passo avanti per l’autore che, in primis, cerca di scollarsi di dosso la sua etichetta di “creatore di meme” e dimostra di essere in grado di dire di più, per quanto quel di più rispecchi, in realtà, un’estensione di tematiche già accennate o in parte trattate nei suoi lavori sul web. Tant’è che anche dal punto di vista tecnico, Mezza fetta di limone è un passo in avanti sereno e doveroso: evolve lo stile tipico dell’autore e gli dona un’identità più definita, se vogliamo meno piatta, nonostante l’ovvio uso di cromie ben note, ormai consolidato marchio di fabbrica, e mostra sequenze dalla strutturazione in vignette ispirata, ritmica e dettagliata, quasi come fossimo di fronte a una timida, ma autorevole, intima e condivisibile confessione animata.

mezza fetta di limone recensione

Verdetto:

Mezza fetta di limone è un esperimento interessante e, a nostro dire, parzialmente riuscito. Dal punto di vista tecnico l’autore si diverte ad evolvere il proprio stile, tramutando quelli che erano colori originariamente molto piatti in vignette talvolta vibranti e bellissime. Pur mantenendo fede a se stesso (ed è giusto che sia così), Mattia Labadessa compie insomma un bel passo avanti, dimostrando a sé ed al suo pubblico che vincolarlo alla produzione di strip è qualcosa che gli sta stretto. Dal punto di vista narrativo, tuttavia, il racconto soffre di una certa disorganizzazione che non lo rende immediatamente comprensibile, ma che almeno ha il pregio di accendere una certa curiosità, complice un finale del tutto sospeso e anticlimatico che preme i tasti giusti. Per il resto siamo di fronte a tematiche con cui l’autore si è già impratichito e con cui, essendo a proprio agio, è in grado di lavorare con una certa dimestichezza e semplicità. Val la pena dargli una possibilità, perché vincolare Mezza fetta di limone a “libretto per teenager” significa non riconoscere il conclamato disagio di un’intera generazione di trentenni che fatica, nonostante tutto, a fare i conti con la propria vita, e che invece un autore di fumetti come Labadessa riversa con nonchalance in un’opera di valore.