Need for Speed si è trasformato negli anni nell’Assassin’s Creed dei racing game. Un brand dal glorioso passato che si è trasformato in una serie a cadenza annuale che ha molto faticato a rinnovarsi, e anche quando l’ha fatto non è poi mai riuscita a convincerci appieno.

Chi vi scrive è un fan della serie dai tempi della prima PlayStation, che dopo la lunghissima serie di capitoli più (Most Wanted e per certi versi Rivals) o meno (quelle cacate di Undercover, The Run e Hot Pursuit, e io ci metto anche i due Shift che non sono malaccio, ma per me hanno il terribile difetto di non essere né carne né pesce) riusciti, non avrebbe scommesso i canonici due centesimi su un nuovo capitolo che avrebbe risollevato le sorti della saga.

Finché poi non hanno annunciato quest’ultimo Need for Speed.

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Nostalgia, nostalgia tamarra

Già dal nome innanzitutto, senza inutili altisonanti sottotitoli, si avvertiva un certo senso di ritorno al passato. Chiamarlo semplicemente Need for Speed non mi ha mai dato l’idea di un reboot, di fronte al quale probabilmente non mi sarei neanche avvicinato, ma più una roba tipo “Ok, ci siamo divertiti, ora torniamo a lavorare seriamente”.
Quando poi sono cominciate a filtrare le prime notizie ed indiscrezioni, il mio senso di tamarro ha cominciato a pizzicare. Perché dal breve elenco di cui sopra ho volutamente escluso due dei capitoli più belli della storia dei racing su console, perlomeno per chi apprezza un determinato tipo di corse: i due Need for Speed Underground.

Facciamo un rapido salto all’indietro: è l’epoca dei primi Fast & Furious e chiunque sia un 15enne un minimo appassionato di motori (leggasi ME), non può che sbavare copiosamente alla vista di gare clandestine con i bolidi giapponesi anni ’90 (leggasi Toyota Supra e Nissan Skyline su tutti). Se poi tali bolidi sono pure personalizzabili in tutto e per tutto (andiamo, si poteva scegliere il colore del fumo da far uscire dal cofano motore quando si accelerava col freno a mano tirato!) e l’ambientazione è notturna e piena di luci che neanche Vice City, capirete bene che il numero di ore che il sottoscritto ha passato davanti a quei due giochi tende all’infinitamente grande.

Così quando tutte le informazioni sul gioco facevano pensare a Need for Speed come l’erede spirituale degli Underground, per citare Leonardo Di Caprio in Django, “Signori, avevate la mia curiosità, ma ora avete la mia attenzione.”

Ma sarà davvero così?

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Il Ritorno del Re. O quasi.

Dopo la lunga e doverosa premessa passiamo alla sostanza: in che consiste questo Need for Speed?

Sostanzialmente la storia di fondo è il classico concentrato di banalità. Siamo il classico pilota di strada emergente che trova la crew alla quale unirsi e deve tentare la scalata al successo. Il tutto è raccontato in maniera anche abbastanza sfiziosa, con filmati con attori in carne ed ossa che interpretano varie scenette. Niente di eccezionale, ed alcune sono recitate anche da cani (sarà anche “colpa” del doppiaggio. Non che sia fatto male, ma lo slang di strada tradotto in italiano a me suona sempre tremendamente ridicolo. Insomma “Yo fratello, come ti butta?”. Avete capito.)

Ogni membro della crew ha la sua specialità: c’è Spike che è un patito delle gare in velocità, Manu, specialista in derapate, Amy che si occupa del tuning e Robyn che… boh, a dire il vero non si sa bene quale sia la sua specialità, ma poco importa visto che le missioni di Amy e Robyn alla fin della fiera sono sempre gare o drifting.

“Missioni”, sì, perchè grazie a questo sistema potete scegliere in che modo mandare avanti la propria storia. Se si è patiti del tuning ad esempio, vi converrà portare avanti la storyline di Amy, mentre se vi interessa la velocità pura vi basterà semplicemente finire le missioni di Spike. Insomma il modo e le gare in cui gareggerete influenzerà poi l’evoluzione della storia.

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Storia che, ripeto, non è nulla di così trascendentale. Eppure avete presente quando state giocando da un po’ di tempo e si è fatta ora di andare a dormire, e vi dite “Vabbè, faccio giusto un’altra partita e poi spengo”, e poi guardate fuori dalla finestra ed è mattina? Ecco, è una sensazione che potreste avvertire anche in questo gioco. Dal momento in cui mi ha fatto scegliere tra una delle tre macchine iniziali (una Subaru BRZ, per chi fosse interessato) al momento in cui ho spento il gioco per la prima volta saranno passate veramente ore.

Perché ciò che conquista di Need for Speed è la sua immediatezza, la sua bellezza grafica, la figaggine delle macchine presenti, ma soprattutto il suo essere divertente. È un gioco di guida senza troppe pretese e che neanche si prende troppo sul serio, e forse proprio per questo riesce a conquistare da subito il giocatore.

Il paradiso dell’automobilista

Dicevamo delle macchine, la scelta è tra oltre 50 modelli che variano dagli scassoni proletari come la Volvo 242 del 1975, o la vecchissima Golf, passando per le già citate sportive giapponesi che gli amanti di Gran Turismo ricorderanno (Honda NSX, Subaru Impreza, Mazda RX-7), fino ad arrivare alle più moderne supercar come la Porsche 911 GT3 o la Lamborghini Aventador o a veri e propri mezzi leggendari come la Ferrari F40.
Ce n’è per tutti i gusti insomma, e la sensazione di varietà è amplificata anche dalla grande varietà di personalizzazioni disponibili. Cerchioni, paraurti, minigonne, adesivi, spoiler, passaruota, tubi di scarico, fari anteriori e posteriori, specchietti retrovisori e perfino la targa sono tutti personalizzabili, e la sensazione è di poter fare TUTTO. Vi basti pensare che le mie prime due auto sono state una ispirata ai colori della Sampdoria, ed un altra da… una fetta di pizza. E il bello è che quanto più vi portate avanti con le missioni di Amy, più potrete divertirvi a cambiare le caratteristiche della vostra vettura.

Vettura che è personalizzabile anche nell’assetto di guida, attraverso l’acquisto di pezzi di ricambio che potranno far pendere l’ago del vostro bilanciamento verso il drifting e le derapate piuttosto che verso la tenuta di strada e la velocità, o viceversa.

Tutto perfetto, dunque? Beh… no.

Ma chi ti ha dato la patente?

Perché se è vero che l’entusiasmo delle prime ore di gioco ci ha mandato in brodo di giuggiole, è altresì vero che il gioco è tutt’altro che privo di difetti.

In primis l’intelligenza artificiale, che davvero a volte fatichiamo a comprendere. Capita di vedere le auto controllate dal computer fare delle curve a velocità irreali, per poi vederle inchiodare in rettilineo con strada libera senza alcun apparente motivo. La cosa è più evidente nelle prime fasi di gioco, dove peraltro risulterà abbastanza facile vincere, mentre andando avanti nel gioco, il livello di sfida si manterrà su livelli abbastanza alti e per fortuna riuscirà a contrastare la sensazione di idiozia di alcuni piloti avversari, ma tutto sommato la sensazione che da questo punto di vista si potesse fare qualcosa di più è evidente.

Un altro difetto altrettanto evidente è il multiplayer. È assurdo che in un titolo che richieda una connessione ad internet perenne, e in cui si sia sempre connessi, il multiplayer preveda semplicemente di invitare i propri amici alla gara a cui si sta per partecipare. Francamente ci aspettavamo qualcosa in più, magari anche qualche altra modalità, perché no? Sì, ok, si può sfidare il tizio che incontri per caso per strada, ma è poca roba. Ed è sfizioso che si incontrino i giocatori connessi sul proprio server anche durante le proprie gare, ma la possibilità che interagiscano con le stesse, magari andandoti anche a rompere le balle più o meno involontariamente è una lama a doppio taglio.

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E vogliamo parlare dei poliziotti? Una delle caratteristiche chiave della serie erano gli splendidi inseguimenti con la polizia, che però in questo capitolo sembra capeggiata dal commissario Winchester dei Simpson, ubriaco e che non arriva a schiacciare il pedale dell’accelerazione. Davvero, sfuggire alla polizia sembra davvero eccessivamente facile, tanto che ci sono anche alcune sfide dedicate, come ad esempio sfuggire ad un inseguimento di due minuti e mezzo, che per portare a termine ho dovuto letteralmente frenare e mettermi ad aspettare la volante della polizia che mi stava inseguendo.

E poi c’è la questione dell’ambientazione. In Need for Speed si corre in notturna, sempre, e le tipologie di gara sono più o meno sempre le stesse. Come ho detto prima, il gioco per fortuna diverte e funziona, per cui se il genere vi piace ed il gioco vi diverte, difficilmente avrete una fastidiosa sensazione di ripetitività. Se invece cercate un po’ di varietà in più, o qualche panorama degno di giochi più blasonati o simulativi, beh, qualche problemino potreste avercelo. E a proposito di simulazione, inutile dire che nonostante la personalizzazione dell’assetto delle vetture aiuti un po’ la varietà di guida, il modello di gioco rimane sempre più votato all’arcade, per cui mettete anche questo in conto.

Gabriele Atero Di Biase
Diplomato al liceo classico e all'istituto alberghiero, giusto per non farsi mancare niente, Gabriele gioca ai videogiochi da quando Pac-Man era ancora single, e inizia a scriverne poco dopo. Si muove perfettamente a suo agio, nonostante l'imponente mole, anche in campi come serie TV, cinema, libri e musica, e collabora con importanti siti del settore. Mangia schifezze che lo fanno ingrassare, odia il caldo, ama girare per centri commerciali, secondo alcuni è in realtà il mostro di Stranger Things. Lui non conferma né smentisce. Ha un'inspiegabile simpatia per la Sampdoria.