Da una parte abbiamo circa cento milioni di abbonati soddisfatti, dall’altra esercenti cinematografici ed autorevoli film-maker come Tarantino, che si è recentemente esposto criticando la diffusione di Netflix e il dannoso effetto che sta portando nel mondo del cinema e alla capacità dello spettatore di sperimentare e di scegliere altre tipologie di film che non siano quelle proposte dalla piattaforma. Secondo il celebre regista di Knoxville infatti il pubblico si è disabituato a ragionare al di fuori degli “schemi”, e a differenza di quando la scelta di un film da vedere passava per forza di cose attraverso una fase attiva di indagine (sia essa in un videonoleggio o informandosi individualmente). Oggi la comodità del servizio svilisce, appunto, tutto ciò che esce dal “recinto” dell’offerta di Netflix.

Prima di lui  anche Almodovar si espresse negativamente su Netflix, cambiando però il punto di vista e affermando, in occasione dell’ultimo Festival di Cannes, che sarebbe stato paradossale che un film non destinato alla sala potesse vincere una palma d’oro (riferendosi ad Okja che era appunto uno dei candidati della scuderia di Netflix). La posizione di Almodovar però lasciava intravedere anche una diplomatica moderazione nel chiosare del ruolo di Netflix all’interno dell’industria cinematografica. Infatti, secondo Almodovar, Netflix non è necessariamente un male in generale, si tratta pur sempre di un servizio che porta degli ovvi vantaggi, ma dovrebbe semplicemente “stare al suo posto” e, se vuole entrare nel solenne e prestigioso circuito della settima arte, non sovvertirne le regole che vogliono i film fruibili prima di tutto su grande schermo.

Un’opinione che in parte condivido e in parte mi viene da lasciar sospesa in un discorso molto più ampio. Se una giuria infatti ha tutta la libertà di trattare la questione come vuole, purtroppo il pubblico, che alimenta sostanzialmente tutta la macchina, non ammette di essere contraddetto, dettando con il proprio consenso le regole del gioco.

Questo pone un’ulteriore questione, che paradossalmente va in un certo senso a ribaltare le carte in tavola rispetto al pensiero di Tarantino. Infatti nel pur limitato ventaglio di scelte proposte dalla piattaforma, il pubblico comincia ad avere forse fin troppa voce in capitolo.

Il cinema “classicamente” inteso ha decisamente perso lustro negli ultimi anni. Badate bene lungi da me fare in questa sede un discorso di pura qualità, ad ognuno piace ciò che piace, ma cerchiamo di tenere una prospettiva “esterna” su alcuni fenomeni che sembrano innegabili.

Prendiamo ad esempio la diffusione del formato seriale. È naturale che tutto nasce dal successo di prodotti di evidente bontà, ma da un punto di vista più sociologico dietro c’è anche quello che è diventato un “vizio”, cullato e alimentato dalle stesse major, una fruizione del mezzo televisivo che è diventata abitudine quotidiana. Netflix produce sempre più serie perché queste vengono viste. Questo porta ad altri show ancora, alcuni buoni altri meno buoni. Ma si sa che nell’inflazione c’è sempre il rischio di abbassare il livello. Allo stesso tempo, il pubblico, grazie alla possibilità che ha di spulciare o meno una cosa piuttosto che un’altra, con sempre un numero di alternative maggiore giorno dopo giorno, direziona con decisione il feedback ai produttori che vedranno che una cosa attira, che un’altra non piace, o peggio ancora piace solo se va in una certa direzione.

Il punto è quindi chiedersi se lo spettatore finale sia legittimato a plasmare così tanto quello che propone la piattaforma. Gli spettatori non sono sceneggiatori, registi e creativi. Non sanno cosa sia buono e cosa no in senso assoluto. Invece la tendenza odierna è lanciare un input e raccogliere la reazione ad esso per decidere il da farsi. Una tendenza che sempre di più coinvolge in cinema vero e proprio che diventa sempre più seriale (un fenomeno che a occhio attento non si ferma solo ai blasonati cinecomic ma è molto più ampio). Un problema che poi nel cinema è sempre esistito e non ha inventato certo Netflix. Parliamo in fondo dell’eterna disputa tra arte e business. Un discorso banale, e pure ingenuo, che però Netflix porta in evidenza in questo particolare momento storico dall’alto del suo successo planetario. In America è tra i primi servizi digitali ad occupare la rete dopo Facebook e Google e questo la dice lunga sull’influenza sempre maggiore che ha sulla quotidianità della gente.

Ma è necessariamente un problema? Verrebbe da dire di no. Perché come si è detto, in un modo o nell’altro Netflix ci porta a casa un sacco di roba sfiziosa ogni anno, e semplicemente, chi non è interessato si rivolge altrove. Insomma, l’importante che ce ne sia per tutti giusto? Eppure la questione culturale, emersa dalle opinioni del buon Quentin, mettono in luce prospettive oscure per il Cinema ad un livello più ampio. Rischi concreti. Lo scontro tra cinema e piattaforma di Streaming è non solo ideologico ma anche concreto. Il primo cortocircuito tra la convivenza tra le due forme di distribuzione c’è stato con il seguito de La Tigre e il Dragone, il primo film prodotto da Netflix che venne distribuito in contemporanea nei cinema e sulla piattaforma streaming. Molti grossi proprietari di sale cinematografiche statunitensi boicottarono l’operazione considerandolo uno svilimento di quello che rappresenta il grande schermo all’esordio di un film non nato principalmente per il mercato home video. C’è quindi la reale percezione che Netflix più o meno volontariamente vada ad inficiare non solo quella che è la cultura del cinema in senso concettuale, ma anche in senso fisico.

Ognuno ha quindi la propria idea e non è detto nemmeno che i detrattori, tra le cui fila militano molti illustri cineasti, come ad esempio Christopher Nolan, non sopravvalutino un po’ troppo il potere di Netflix. Il cinema in fondo fa tanti danni a se stesso anche da solo. Crisi di idee, biglietti troppo cari, sale in pessime condizioni. Non si può scaricare la colpa sempre verso la concorrenza. Ecco perché si tratta di posizioni da trattare con le pinze. Alla fine si tratta di avere una determinata percezione di un prodotto artistico. Che Netflix mini la diffusione di una certa idea di Cinema, quello che esprime il meglio di sé solo sul grande schermo e quello che si può trovare solo sondando territori non alla portata di un click del telecomando, è in parte innegabile. Se non altro perché sollecita la massa a non farlo. Ma è una colpa? Non penso. Alla fine non è che la semplice reiterazione di meccanismi che in altre forme sono sempre esistiti. Il mercato home video generava dispute del genere fin dagli anni ottanta, e per quel che riguarda la serializzazione del cinema… Beh non mi si venga a dire che i seguiti non sono sempre esistiti.

Sostanzialmente trovo quindi che essere perentori ed estremisti sulla questione sia fondamentalmente sbagliato. Come detto piuttosto, Netflix accentua la visibilità di certe tendenze dall’alto dei suoi oltre 100 milioni di abbonati, ma non è un servizio che uccide il cinema, né la possibilità di scelta, né la capacità di discernere tra un prodotto di qualità e uno scadente. Siamo noi e solo noi che abbiamo la facoltà di uccidere queste cose, siamo noi e solo noi che creiamo i monopoli e siamo sempre noi che premiamo o meno la diversità culturale, artistica e creativa. L’importante è che ci siano i presupposti per giocare pulito, che si tutelino le esigenze dei produttori e dei filmaker, che ci sia sempre la possibilità di scegliere cosa e come. Checché se ne parli in un modo o nell’altro, solo quando verranno a mancare queste libertà ci sarà veramente da preoccuparsi.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!