Una gita al lago per scampare alla morte

Netflix ci ha abituati a una nuova fruizione delle serie televisive, riversando in blocco intere stagioni direttamente in pasto a noi telespettatori. Adeguarsi a questo andazzo significa anche cambiare completamente modo di vedere (e non solo guardare) le serie televisive, tanto che ci pare quasi anacronistico parlare del buon vecchio “eisodio pilota”, quando invece ci troviamo di fronte a vere e proprie “stagioni pilota”. Sempre con Netflix, poi, abbiamo scoperto che è possibile fare televisione cercando di sperimentare (nei limiti del possibile), con produzioni che si allontanano parzialmente dal mainstream, cercando di ritagliarsi una fetta di target unico, convogliando una certa cura nella messa in scena e scegliendo linguaggi televisivi nuovi, o quanto meno inusuali. Partendo da questi presupposti, ci troviamo qui a parlare di uno degli ultimi nati nella nutrita cerchia delle produzioni Netflix originali: Ozark ha fatto capolino nella nostra schermata principale e subito ci siamo buttati a capofitto per vedere quanto può essere afoso e pericoloso il Missouri.

Come ti ripulisco i soldi

Alla base di tutta la trama c’è l’immagine di un contabile americano di Chicago che rimaneggia e “pulisce” soldi provenienti dal cartello della droga messicana. Marty Byrde, interpretato da un insolito Jason Bateman, è in combutta con il suo socio Bruce Lidell (Josh Randall) per rendere legittime le quantità incredibili di denaro che il loro datore di lavoro, il Sig. Del Rio interpretato da un granitico e impenetrabile Esai Morales, invia loro. Va da sé che questa situazione iniziale così idilliaca, in cui tutti sembrano trarre un vantaggio, è destinata a venir meno: infatti il sospetto di un cospicuo furto di denaro spinge Del Rio a mostrare la faccia brutale del crimine messicano. In una sequenza agghiacciante, Marty Byrde si trova quindi ad annaspare alla ricerca di una scappatoia e convincere il buon Del Rio che il contabile vale di più da vivo che da morto. E la soluzione è appunto Ozark, una località lacustre e sperduta nel Missouri, che campa solo del turismo vacanziero e grazie alla festa del 4 luglio. Inizia qui la scommessa di Marty, costretto a coinvolgere la sua famiglia nella migrazione al Lago, con l’intenzione di riuscire a fare quello che faceva prima: riciclare denaro.

La trama parte da questi presupposti, ma in realtà è molto più complicata e ramificata di quanto si pensi. Da una parte, c’è la volontà di descrivere ed analizzare la situazione familiare del protagonista e della sua consorte, e di quanto una decisione così importante come la partenza verso una nuova località possa incidere sugli equilibri familiari e sulla vita dei figli. A seguire da tutto questo, l’arrivo dei Byrde a Ozark li metterà di fronte alla comunità del lago, una ristretta cittadina in cui tutti conoscono tutti e che ora ha gli occhi puntati proprio sui nuovi arrivati. Il contatto diretto di Byrde con le varie personalità del luogo lo porterà a scoprire un bel po’ di segreti della città e soprattutto lo metterà in contatto con Ruth Langmore (interpretata da una bravissima Julia Garner) e la sua famiglia sgangherata di perdigiorno e mezzi delinquenti.

Il cast è enorme, come potete immaginare, abbracciando tutta la cittadina e i territori circostanti, e le relazioni tra i vari cittadini si snodano e incrociano senza sosta, mettendo a nudo la tranquilla vita di paese per mostrare il vero lato oscuro dell’America. Il filo conduttore sembra essere la vita nascosta che avviene tra e dietro le mura di ogni casa e che inevitabilmente viene toccata da Byrde. E per chiudere il corollario e render tutto più piccante, si inizia a giocare anche una partita a scacchi tra Byrde e l’FBI, con il suo agente infiltrato Roy Petty interpretato da un disperato Jason Butler Harner.

“O” come “Occhio”

Ozark si presenta come un dramma corale molto stratificato in cui l’arrivo e i traffici di Byrde fanno da catalizzatore di una serie di eventi che scombussoleranno l’intera comunità, come un tornado in miniatura che monta episodio dopo episodio, fino all’epilogo… che epilogo non è. Ci teniamo a dire che questo non è un telefilm facile, nel senso che dopo un inizio scoppiettante e pieno di azione e gore, si passa a una fase più riflessiva e lenta, che pervade tutte le restanti puntate, lasciando trasparire la vera anima della produzione: una storia che analizzi i rapporti interpersonali e scavi tra le connessioni sociali di una piccola comunità alle prese con un forte elemento di disturbo.

I bei momenti sono tanti e si ripetono in gran numero, tenendo sempre viva l’attenzione del telespettatore, grazie a anche a un sapiente uso dei colpi di scena e plot twist dosati e rilasciati al giusto ritmo. Però c’è da dire che in alcune occasioni tutto il motore narrativo rallenta e si siede un attimo, come per prendere fiato, lasciando che le vicende un po’ triviali prendano il sopravvento sull’incedere della trama. Non stiamo dicendo che il telefilm in alcuni frangenti sia noioso, ma che pare prendersi tutto il tempo necessario a dirci cose che forse alla lunga neanche ci interessano: è il rischio di un format particolare come quello di Ozark, che propone episodi di 60 minuti, anziché i canonici 45 o 50.

Ozark ha un suo valore perché ci ha mostrato la bravura di Jason Bateman che si spoglia dei panni dell’attore comedy proveniente da Arrested Development per diventare un combattuto, strenuo e sofferente Marty Byrde. Molto convincente nel ruolo del commercialista della mala, diventa ancora più umano e di carne quando impiega tutte le sue forze per salvare la propria famiglia e tenerla quanto più al sicuro possibile, anche se per fare questo significa esporla al proprio secondo lavoro, fino a coinvolgerla direttamente. Accanto a Marty, altrettanto brave due interpreti femminili: la prima è la moglie Wendy, dal volto solare e biondo di Laura Leggett Linney che già avevamo apprezzato in The Big C. Wendy è un personaggio vero nelle sue paure e nelle sue sconfitte, una madre in cerca di rivalsa, una donna dai risvolti dolorosi e dalle cicatrici ancora brucianti che cerca di ricucire il suo rapporto con il marito, almeno per il bene dei figli. L’altra interprete femminile brava e sicura di sé è la già citata Julia Garner, che mostra un’ottima maturità artistica nel dar vita a un personaggio complicato e sfaccettato, forse quello che subirà il cambiamento più incisivo e verrà più influenzato dalla presenza dei Byrde.

Anche gli altri comprimari si sono meritati il loro posto al sole, rendendo questa serie molto interessante e mai affettata, con interpretazioni realistiche e naturali. Dal punto di vista tecnico, Ozark si mantiene su livelli molto alti, soprattutto quando dietro la macchina da presa sale lo stesso Bateman, rivelatosi un bravo regista, con le idee chiare e una visione precisa del taglio da dare a questa serie. Le prime puntate sono il suo manifesto programmatico, potremmo dire, e si nota una certa maestria nel gestire la camera, contestualmente a un ottimo lavoro di montaggio fatto di flashback e flash forward, un po’ ubriacanti ma perfettamente chiusi al termine di ogni puntata. Il discorso cambia quando a girare ci sono altre personalità: gli episodi che non portano la firma di Bateman non sono sbagliati o brutti, no! Ma potremmo dire che si nota fin troppo la mano diversa e in un telefilm che delinea una fortissima personalità registica e di storytelling nelle prime puntate questa è una cosa che pesa, in un certo senso. Se dovessimo usare una metafora, è come se tutti i registi parlassero la stessa lingua, ma il Madrelingua è Bateman e gli altri soffrono di un pesante accento straniero.

Un piccolo paragone

Siete arrivati fin qui, e sappiamo cosa vi state aspettando: volete sentirci dire che questa serie televisiva è come Breaking Bad. Non vedete l’ora, lo avvertiamo perfettamente. Beh, Breaking Bad ha alcuni punti di contatto con Ozark, non c’è dubbio, ma quest’ultima ha anche tanto di suo da dire da non esserne un gemello. C’è chi ha detto che Ozark è il Breaking Bad della finanza: no, affatto. Anche in Breaking Bad c’è il problema del riciclo del denaro sporco, quindi anche Breaking Bad ha un suo lato finanziario. Di simile tra i due telefilm c’è un assunto: i padri devono provvedere alla propria famiglia. Indubbiamente sia Marty Byrde che Walter White sono attaccatissimi alle loro mogli e ancor di più ai loro figli, e ogni loro azione è spinta dal desiderio di tenerli al sicuro e di proteggerli. Ma sono le famiglie a essere completamente diverse: la famiglia di Byrde (e in particolare Wendy) si trova a venire a patti con la violenza del mondo in cui egli lavora, ma lo fa da un’angolazione differente e con una prospettiva che si allontana drammaticamente da quella di Breaking Bad. Inoltre, Marty ha iniziato volontariamente la sua attività di riciclatore, ma nel cuore della vicenda si trova a fare questo lavoro per avere salva la vita. Quindi, come vedete, la verità è che a parte la droga, i personaggi geniali nel loro ambito e i soldi sporchi, Breaking Bad è un po’ lontana da Ozark, anche se ne rappresenta il più vicino e diretto competitor. La creatura di Bill Dubuque ha una sua vitalità e un suo carattere che la rendono degna di ritagliarsi un posto tutto suo all’interno delle serie televisive da guardare in questo 2017.

Post scriptum: la serie non è autoconclusiva e ci aspettiamo la seconda stagione per il prossimo anno. Forse comincerà a nascere un’identità del tutto propria che zittirà completamente ogni paragone con altri prodotti vicini ma allo stesso tempo lontani. Non vediamo l’ora. Post post scriptum: ogni puntata di Ozark si apre con una enorme “O” tagliata in quattro da una croce e in ciascun quarto compaiono i disegni stilizzati di quattro elementi chiave della puntata: ebbene mettendo in sequenza le prime lettere della parola che identifica quegli elementi chiave, si ottiene sempre “Ozark”. Non male come ultimo piccolo trivia, no?

Verdetto:

Netflix confeziona un’altra serie-prodotto in linea col nuovo modo di usufruire del medium. Il cast estremamente ampio e competente, tra cui un Jason Bateman in grande spolvero sia come attore protagonista che, spesso, come regista, contribuisce a raccontarci una storia appassionante e coinvolgente che ha sì qualche punto di contatto con la celebre Breaking Bad, ma anche abbastanza elementi caratteristici da guadagnarsi e mantenere un’identità e una dignità proprie. Un ritmo talvolta eccessivamente dilatato non guasta assolutamente l’esperienza, e conferma di ciò è che, dopo una manciata di episodi da un’ora l’uno, vi unirete probabilmente a noi nell’attesa della prossima stagione.

Eugene Fitzherbert
Vittima del mio stesso cervello diversamente funzionante, gioco con le parole da quando ne avevo facoltà (con risultati inquietanti), coltivando la mia passione per tutto quello che poteva fare incazzare i miei genitori, fumetti e videogiochi. Con così tante console a disposizione ho deciso di affidarmi alla forza dell'amore. Invece della console war, sono diventato una console WHORE. A casa mia, complice la mia metà, si festeggia annualmente il Back To The Future Day, si collezionano tazze e t-shirt (di Star Wars e Zelda), si ascolta metal e si ride di tutto e tutti. 42.