Quando Atlus ha confezionato un JRPG da antologia

Il gusto personale, la predisposizione nei confronti di un determinato genere, di un particolare tipo di narrazione o di alcune peculiarità di gameplay sono fattori che influenzano inevitabilmente il giudizio su un videogioco. Attraverso determinate categorie, e attraverso le singole sensibilità, si arriva a decidere se un videogioco ci piace o meno. Ci sono però prodotti che ci obbligano a fare un passo indietro, a cercare di non tenere conto di questa naturale lettura personale, perché con una certa prepotenza fanno percepire al giocatore che dietro quello che vede c’è un meccanismo preciso, puntuale, che non perde un colpo e che è stato confezionato con una cura maniacale. Non si tratta di quei prodotti che riescono a rivoluzionare il medium, a loro si concedono anche delle scivolate. Si tratta invece di un lavoro che si deve essere consolidato nel tempo, con l’esperienza, e che ritroviamo in quei giochi che dopo anni di affinamento e di rifinitura di tipologie di gioco già rodate, riescono a raggiungere un livello tale di efficacia in ogni aspetto che, al pari di chi è riuscito ad inventare il nuovo, si impongono come turning point e termine di paragone per la loro categoria di appartenenza. Persona 5 è questo, dopo vent’anni dalla prima uscita della serie spin-off di Shin Megami Tensei e dopo decenni di gioco di ruolo à la giapponese. P5 è il meglio che la serie Persona ha da offrire, ma è anche il punto di non ritorno di un genere che ha difficoltà a rinnovarsi. La soluzione trovata da Atlus è sulla carta piuttosto semplice: snellire e velocizzare quelle che sono le meccaniche peculiari di Shin Megami Tensei, e quindi di Persona, confezionando un JRPG che non sia pesante e lento come il genere spesso si rivela, ma senza cedere alle lusinghe della deriva action che va tanto negli ultimi anni. Ma non si tratta solo di gameplay, ogni aspetto del gioco è un tassello di un puzzle che, una volta assemblato, appeso al muro, e fatti gli opportuni passi indietro per vederlo nella sua interezza, non presta il fianco a critiche, ma anzi rende la ricerca della sbavatura un compito difficile e ingrato.

Abbiamo detto che l’impressione che si ha giocando a Persona 5 è un generale senso di velocizzazione e snellimento rispetto al passato, e questa sensazione si prova fin da subito, da quando si avvia il gioco. Spesso e (poco) volentieri le prime ore di un JRPG sono un martirio di lungaggini, pesanti all’inverosimile, e sembra che il gioco non ingrani mai. Non è questo il caso, perché da subito ci troviamo a controllare il protagonista all’interno di un casinò gremito di persone, in fuga da imprecisati inseguitori. I primi minuti si svolgono tra le uscite di servizio del casinò e i lampadari appesi al soffitto, per finire poi arrestati dalla polizia. La scena si sposta, ci troviamo ammanettati ad una sedia e picchiati dagli agenti di turno, giusto per dare subito quel senso di gravità che non risparmierà colpi allo stomaco al giocatore per tutta la durata dell’avventura. Ci si muove poi nel passato, al momento in cui tutto è iniziato. Il ragazzo che controlleremo, a cui dovremo dare noi un nome, è in libertà vigilata per aver difeso una donna da un’aggressione da parte di una personalità importante. Viene quindi spedito a Tokyo, dove stanno avvenendo problemi legati all’improvvisa perdita di conoscenza di alcune persone. Qui il nostro protagonista scoprirà di avere un potere che gli permetterà, assieme ai vari comprimari che incontreremo nel corso del gioco, di far redimere i malvagi. Sembra semplice, ma quello che vi abbiamo appena esposto è solo lo scheletro di una narrazione eccellente che non vogliamo rovinarvi. La carne intorno alle ossa è tantissima. Le personalità che andremo a colpire non sono niente di sovrannaturale, ma semplicemente degli elementi negativi della società contemporanea giapponese, così come i membri del party sono tutti, in qualche modo, degli outsider del sistema sociale.

Questo aspetto centrale della storia di Persona 5 viene ben specificato all’inizio, quando il gioco ci dice che il mondo è ormai perverso, e che tutti quelli che si oppongono allo stato delle cose, per quanto evidentemente sbagliato sia, vengono bollati come imbroglioni, come figure da rigettare, alieni ad un sistema che ha le sue regole e che non accetta intromissioni da parte di voci fuori dal coro. È questa una storia di scontro generazionale, dove la gioventù vive in un mondo che non gli offre possibilità di uscire dagli schemi già tracciati dagli adulti, e dove l’unico modo per entrarci è piegarsi alla volontà di chi ha già un ruolo di potere, con l’unica alternativa di venire invece annichiliti nel tentativo di cambiare le cose, o più semplicemente di essere se stessi. La società giapponese descritta è una società basata su valori antichi è immobili, che punta tutto sull’apparenza, su opinioni costruite su voci e pettegolezzi, sulla posizione sociale, che chiuderebbe un occhio su ogni nefandezza per mantenere il proprio status inalterato. Le tematiche toccate sono pesanti e raccontate senza peli sulla lingua, i drammi vissuti dai personaggi del gioco sono reali, più che verosimili, fanno riflettere ed infine commuovere. Questo non deve però far pensare ad un approccio manicheo alla questione, tutt’altro. L’operato del protagonista e dei suoi compagni viene messo in discussione, innescando un processo che porta più volte a pensare quale sia il giusto processo di riforma di una società. C’è poi l’aspetto soprannaturale, perlopiù metaforico, che riesce perfettamente a donare ulteriori sfumature ad un impianto narrativo superbo. Persona 5 si fonda su questi concetti, racconta una storia forte ed importante, ma soprattutto adulta, e non perché indugia su sessualità o violenza, ma perché ha il coraggio di parlare di temi forti e reali, per giunta contestualizzandoli all’interno di una realtà piuttosto chiusa e che punta a lavare i panni sporchi in casa.

Il racconto è legato a doppio filo al gameplay, e tutto risulta estremamente organico nonostante sia possibile distinguere nettamente una parte dating sim, delle lunghe sezioni in cui si deve solo leggere come se ci trovassimo di fronte ad una visual novel e l’esplorazione dei dungeon. Questa coesione delle diverse parti è uno degli aspetti più riusciti di Persona 5, anche semplicemente per la difficoltà di fondere aspirazioni così lontane tra loro. I dungeon rappresentano la sfera emotiva dei nostri bersagli, sono le loro ambizioni che prendono forma e vita, ma soprattutto rappresentano la loro percezione del mondo e della loro posizione all’interno di quest’ultimo, e quindi della relazione che hanno con la società. La parte dating sim invece mostra le connessioni del protagonista con le persone a lui vicine, e quindi con la sua realtà, e queste connessioni lo aiutano ad affrontare più agevolmente il distorto mondo interiore dei malvagi, in senso pratico grazie a dei bonus e delle opzioni aggiuntive in fase di battaglia. È facile collegare a questo un discorso sull’importanza dei rapporti sociali per l’essere umano, che conduce ad una riflessione sul come sia più semplice rimanere integri se si hanno vicino degli affetti. Ogni aspetto del gioco, quindi ha sia valenza narrativa che effetto diretto quando poi si entra nei Palazzi, così si chiamano i dungeon, rendendo anche la semplice giornata al cinema importante sotto più punti di vista.

Questo si inserisce nella struttura a tempo propria della serie, grazie alla quale il gioco dura un numero finito di giorni, ed ogni giorno, salvo eventi specifici, è nostro compito decidere come investire il nostro tempo. Ogni giornata è così generalmente divisa come quella tipo dello studente delle superiori: al mattino si va a scuola, il pomeriggio e la sera si è liberi. Durante le ore scolastiche verremo spesso interrogati, e stare attenti si rivelerà importantissimo per quando sarà il tempo degli esami, mentre il resto della giornata potremmo investirlo come preferiamo. Le attività da fare sono tantissime, dal trascorrere il tempo con gli amici per diventare più intimi al lavorare part-time per avere qualche soldo extra e migliorare le nostre social skill, che permettono poi di prendere parte ad altri eventi quando si è raggiunto un dato livello. Oppure si può decidere passare le giornate in attività di studio o ricreative, nella lettura di libri o, più ovviamente, per esplorare i dungeon e portare avanti la storia, affrontare le sub-quest o semplicemente fare un po’ di level up. Tutto questo deve fare i conti con delle scadenze prestabilite, che fondamentalmente riguardano l’esplorazione dei Palazzi principali: in determinati giorni infatti ci si aprirà la possibilità di affrontarne uno, e contestualmente apparirà la deadline entro la quale portare a termine l’impresa. Non arrivando in tempo sarà game over.

Fino ad ora abbiamo parlato tanto di come gli aspetti del gioco siano estremamente coesi tra loro, ma non vi abbiamo raccontato esattamente come funziona ogni singola parte. Le più importanti sono certamente quelle dating sim e dungeon crawler, partiamo quindi dalla prima. Durante l’evolversi delle vicende ci si aprirà la possibilità di conoscere nuovi personaggi, alcuni obbligatoriamente per motivi di trama, altri opzionali. Con ognuno di questi si può creare un legame che può garantire diversi bonus durante il gioco, sia in battaglia sia fuori. Spendendo tempo con loro inoltre possiamo approfondire, stringendo sempre di più il rapporto, diverse sotto-trame. Ognuno di questi è legato ad uno degli arcani dei tarocchi, così come i Persona, le evocazioni tipiche della serie che porteremo con noi in battaglia, che conferiscono ai membri del party caratteristiche e abilità; ma su questo aspetto torneremo tra qualche riga, dopo aver approfondito il funzionamento dei dungeon. Nei precedenti episodi della serie l’esplorazione e la risoluzione dei labirinti era l’aspetto più tedioso, semplicemente perché questi risultavano piuttosto ripetitivi, ed il risultato era un semplice andare avanti per portarli a compimento, così da poter poi tornare alla nostra vita da studente. Il lavoro fatto in questo quinto episodio invece si distacca fortemente dai precedenti titoli, proponendo dungeon con un ottimo level design. L’introduzione più grande è la presenza di meccaniche stealth, grazie alle quali possiamo prendere i nemici alle spalle per avere un vantaggio in battaglia. Niente di complesso, semplicemente è possibile nascondersi dietro le coperture e premere il tasto per attaccare al momento giusto. Oltre al vantaggio in combattimento, bisogna notare come in caso si venisse scoperti, il livello di allerta aumenterebbe, culminando nella possibilità di essere sbattuti fuori dal palazzo, dovendo riprendere l’esplorazione il giorno dopo.

Esplorazione che risulta piacevole per tanti motivi: ogni dungeon ha una sua identità e delle sue specifiche meccaniche, collegate a doppio filo con i moti interiori del suo proprietario. Il team di sviluppo ha sfruttato brillantemente la motivazione che giustifica l’esistenza dei Palazzi, lavorando non solo sull’estetica, ma anche su enigmi ambientali coerenti ai diversi contesti. Quello che il giocatore si trova tra le mani è quindi un gioco che lo mette sempre di fronte a sfide nuove, non venendo mai a noia, anche grazie all’estrema velocità con il quale si compie ogni azione, compreso il combattimento. Gli scontri sono infatti molto rapidi, e una volta conosciute le debolezze dei nemici che si hanno di fronte si risolvono in pochissimi secondi, anche grazie all’eccezionale lavoro svolto sui menu di cui vi parleremo più avanti, rendendo la transizione tra esplorazione e combattimento immediata e mai frustrante, senza quindi portare mai alla sgradevole situazione in cui si cerca di evitare a tutti i costi i nemici perché annoiati dal dover fare l’ennesimo incontro casuale.

Il sistema di combattimento è quello che i giocatori di Shin Megami Tensei e Persona conoscono già bene, rigidamente a turni e basato principalmente su un sistema di debolezze e resistenze che punta tutto sul guadagnare turni extra. Ogni avversario e ogni Persona che porteremo con noi infatti ha determinate caratteristiche elementali. Se viene colpita una debolezza, l’attaccante guadagna un turno extra mentre chi è colpito cade al suolo. Se riusciamo a mettere al tappeto tutto il party avversario, il gioco ci offre la possibilità di portare a segno un attacco decisamente potente che coinvolge tutta la nostra squadra, oppure di parlare con i demoni avversari, per reclutarli nelle nostre fila o estorcergli denaro e oggetti. I dialoghi per convincere gli avversari a passare dalla nostra parte sono decisamente più semplici rispetto a quelli che conoscono i giocatori di Shin Megami Tensei IV, e quindi non è necessario investire lunghi minuti nel cercare di leggere le intenzioni dei singoli demoni sperando di dare la risposta giusta. Le possibilità tattiche offerte dagli sviluppatori sono enormi, e aumentano con lo svolgersi del gioco, dipendendo principalmente dall’approfondimento del nostro rapporto con gli altri personaggi, e rendendosi utili soprattutto negli scontri con i boss, che richiedono sempre un approccio specifico, ma anche nei semplici scontri casuali quando la situazione si fa più buia. Persona 5 non è un gioco difficile, ma può punire duramente una scelta incauta del giocatore, a volte anche portando al game over. Può bastare farsi cogliere alle spalle dal nemico, che così guadagna i primi turni del combattimento, o magari semplicemente equipaggiare il Persona sbagliato sul protagonista, così che un paio di attacchi mirati ad una sua debolezza portino la barra dei punti vita a zero, e quindi a dover ricaricare l’ultimo save. I dungeon sono comunque ricchi di stanze di salvataggio, mediamente posizionate più che bene. Ma ancor più importanti sono le opzioni che compaiono in caso di dipartita contro un boss: si può riavviare lo scontro senza tornare al salvataggio più recente, o direttamente riavviare il gioco dalla mattina precedente, in caso si fosse sbagliata in toto la pianificazione. Ai labirinti obbligatori per proseguire nella storia si affianca il Mementos, un’unione delle coscienze delle persone di Tokyo che danno vita ad un labirinto a tema metropolitana, in cui ogni singolo piano è generato casualmente e nel quale dovremmo portare a termine le varie missioni secondarie del gioco, che consistono sempre nel cercare e combattere per un obiettivo specifico.

Un altro aspetto di gameplay fondamentale della serie è quello della gestione dei diversi Persona, una sorta di party all’interno del party che strizza l’occhio ai completisti e aggiunge una buona profondità di approccio ai combattimenti. Ognuno dei nostri compagni di battaglia ha un suo Persona specifico, ma il protagonista può scegliere tra diverse opzioni. Questi demoni, manifestazioni delle diverse sfaccettature dell’animo umano disegnati su ispirazione di creature provenienti dalle mitologie di tutto il mondo, possono essere reclutati parlando con gli avversari durante il combattimento, con le modalità già esposte, e possono essere fusi tra loro per ottenerne di più potenti. Ognuno appartiene, come i personaggi con cui il protagonista può stringere i rapporti, ad uno degli arcani dei tarocchi, ed in fase di fusione il livello di intimità con gli NPC influisce sul livello del Persona appena creato. La gestione dei Persona è fondamentale perché può fare la differenza in battaglia tra la vita e la morte, grazie alle skill elementali possedute e alle proprie debolezze e resistenze, oltre alle statistiche specifiche che diventano di fatto quelle del protagonista. Star qui ad elencare ogni modo in cui i Persona possono essere fusi e manipolati sarebbe superfluo, ma per capire la centralità di questi all’interno dell’economia del gioco vi basti sapere che, dopo un tot di livelli, questi smettono di acquisire abilità, obbligando di fatto il giocatore a crearne sempre di nuovi e utili ad avere ragione dei nemici tipici dei diversi Palazzi.  

Passiamo infine all’aspetto che più colpisce di Persona 5: la direzione artistica, e più in generale la cura posta in ogni elemento per renderlo unico. L’aspetto che fa da cartina tornasole dell’importanza data da Atlus alla ricerca di una cifra stilistica peculiare sono i menu e le schermate di transizione e caricamento. Può suonare stupido, ma una volta provato Persona 5 cambierete idea. Ogni scritta, ogni box di testo ha un suo carattere ed è bellissimo da vedere. Ogni minimo passaggio, ogni transizione ha una sua animazione, alcune schermate di caricamento in situazioni particolari hanno un dettaglio in più, inutile ai fini del gioco, ma testimone di un lavoro così ricercato da essere fuori dal comune. Ogni icona dell’hud si anima, e tutto è permeato da uno stile particolare, perfettamente riconoscibile e ricercato senza perdere in alcun modo in leggibilità. I menu però non sono solo belli, sono anche funzionali. In un paio di click si compiono le più disparate azioni. Se ci si vuole spostare per la città, non è necessario camminare per minuti per raggiungere la metro, cambiare e prendere un’altra linea, perché tramite il menu si può andare ovunque. Non si tratta di un semplice fast travel per accorciare le distanze, dal momento che queste sono estremamente piccole, ma di un sistema efficiente per compiere delle azioni che dopo qualche ora diventerebbero una tediosa routine. La cosa peraltro permea tutto il gioco, come se ci fosse una shortcut per tutto e l’idea dello sviluppatore fosse di diminuire il numero di click necessari a compiere qualsiasi azione.

Un altro esempio è ritrovabile nel menu di combattimento: non dobbiamo scorrere con le freccette per selezionare “attacco” piuttosto che “oggetti”, perché ogni opzione è collegata ad un tasto del DualShock 4. È una sensazione, questa della cura riposta nella realizzazione dei menu, che è difficile spiegare a parole, non fosse altro perché non ci si trova spesso a lodare questo particolare aspetto di un videogioco. Sappiate semplicemente che dopo pochissimo tempo vi ritroverete automaticamente ad utilizzare ogni opzione senza pensare, con una naturalezza incredibile. Tutto questo rientra in quel discorso fatto in apertura secondo il quale Atlus ha voluto snellire la macchinosa e lenta struttura tipica del genere, e non si può che constatare l’ottimo risultato ottenuto, e pensare che nell’insieme generale, anche queste piccole cose concorrono nel realizzare un grande videogioco.

Direttamente collegato all’aspetto stilistico c’è poi quello più propriamente tecnico, che effettivamente potrebbe essere il tallone d’Achille della produzione data la natura cross-gen di Persona 5, disponibile anche per PlayStation 3. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, e al netto di qualche texture troppo poco definita se la si guarda da vicino, Persona 5 riesce ad essere un piacere per gli occhi. Il motivo è ancora una volta da ricercare in una direzione artistica di primissimo livello, e in scelte cromatiche e di texturizzazione che mascherano benissimo l’anzianità del progetto e la scarsa conta poligonale. Le texture applicate sui personaggi sono infatti principalmente piatte, restituendo un’ottima estetica anime.

Lo stesso discorso è valido per gli ambienti, che si prestano a critiche solo guardando da vicino determinati elementi. Il colpo d’occhio è quindi ottimo, e nonostante ci si renda conto di non trovarsi di fronte a qualcosa di ultimissima generazione, ci si passa sopra senza neanche accorgersene. Il quadro generale è poi impreziosito da alcuni fondali utilizzati per scene statiche, non realizzati con il motore di gioco ma interamente disegnati, e dai ritratti dei personaggi, estremamente caratterizzati anche per quanto riguarda l’aspetto esteriore. Abbondanti sono anche gli FMV animati, che possono vantare la stessa qualità delle maggiori produzioni dell’animazione giapponese. In ultimo, la colonna sonora dalle tinte jazz è ancora una volta uno dei fiori all’occhiello della serie, grazie ad una buona quantità di brani eccezionali che non potrete che aggiungere alla vostra discoteca digitale, per poterle ascoltare e riascoltare ancora. Perché, siamo sinceri, chiunque abbia giocato a Persona 3 ogni tanto canticchia ancora I Will Burn My Dread.

Verdetto

Abbiamo speso tante belle parole per Persona 5 semplicemente perché è un gioco fantastico, che riesce ad amalgamare ispirazioni e generi diversi in un prodotto organico, dove ogni parte ha una sua collocazione specifica e partecipa a comporre un quadro più grande. Atlus ha preso le meccaniche dei giochi precedenti, le ha affinate e snellite senza snaturarle, riuscendo semplicemente a rendere tutto più smart e al passo con i tempi. Persona 5 è probabilmente il miglior JRPG degli ultimi anni, grazie a personaggi memorabili, veri e credibili, con cui non si può fare a meno di empatizzare, grazie ad una storia forte che non ha paura di essere diretta e attuale, ma anche grazie ad un impianto ludico divertente e stimolante, che riesce nell’impresa di far giocare per un centinaio di ore senza mai annoiare, e infine grazie alla cura riposta in ogni minimo dettaglio. Nonostante questo, non ci troviamo però di fronte ad un gioco che possiamo consigliare a chiunque, per motivi semplicissimi: Persona 5 è un gioco in cui c’è tanto, tanto, tanto testo da leggere (peraltro in inglese), per tante, tante ore consecutive, e che quindi potrebbe non incontrare i gusti di chi cerca qualcosa di più immediato. Non è un difetto, ovviamente, semplicemente il gioco è concepito in questo modo, e si comporta coerentemente alle intenzioni dello sviluppatore. Chiunque abbia però voglia di lanciarsi in un’avventura grande, profonda, e soprattutto piena di carattere, troverà in Persona 5 tutto quello che cerca.