Ennesime disavventure all’orizzonte, caro Jack

Quella dei PIRATI DEI CARAIBI  è una strana saga, cominciata ben 15 anni fa con un ottimo primo capitolo, La maledizione della prima luna, si trasformò subito in un brand di successo e Jack Sparrow  (Johnny Deep) divenne subito un personaggio cult del cinema contemporaneo. Dopo la magniloquente conclusone della prima trilogia con i due sequel, magari non perfetti ma sicuramente epici, che furono tra i film più costosi della storia, i Pirati de Caraibi avrebbero pure potuto ritirarsi in pace ma si sa, finché un nome macina soldi, è stupido mollarlo, e niente tira come il vecchio capitan Sparrow. Dopo aver fatto riposare la serie per un po’, Disney li ha perciò riesumati con un modesto e dimenticabile quarto episodio nel 2011 per poi rimetterli in letargo. Evidentemente c’era la volontà di tornare sugli schermi con un capitolo degno, di aspettare la sceneggiatura giusta, di puntare su un villain convincente e tornare ai fasti degli esordi. Ma la verità è che anche con La vendetta di Salazar, la serie continua a giocare al ribasso.

Il sempreverde (si fa per dire) Johnny Deep veste nuovamente i panni del mai troppo lucido Jack, sempre alle prese con la sua malasorte, sempre senza una ciurma decente e una nave degna di tale nome, in uno status quo che sembra non cambiare mai la sua condizione. Il film si apre con una rocambolesca  rapina in banca del pirata, tra cavalli che trascinano l’intero edificio e il nostro Jack trascinato con esso da una parte all’altra, sulle note del celebre tema principale della serie. Già capiamo che la cifra del film è quella scanzonata di sempre. In effetti in La Vedetta di Salazar, la sensazione di daja vù è un po’ una costante, c’è tutto quello che potreste aspettarvi in un nuovo capitolo dei Pirati ma ogni stilema della serie si ripresenta come una versione più debole di quanto già visto in precedenza. I protagonisti, tanto per cominciare, sono semplicemente la riproposizione sbiadita del vecchio trio composto da Jack, Will Turner ed Elisabeth a cui però si sostituiscono il figlio di Will, Henry Turner, giovincello scavezzacollo un po’ sbruffoncello alla ricerca di un antico tesoro in grado di spezzare la maledizione del padre, la giovane e bellissima Carina Smith, scienziata avventuriera ovviamente alla ricerca della medesima reliquia e il nostro bravo Jack, i cui classici tic, gestualità e modo di fare cominciano a diventare un po’ noiosetti e macchiettistici.  

Ovviamente il gruppo si forma durante l’immancabile scena della condanna a morte, in cui i tre si trovano catturati per un motivo o per l’altro dalla marina e in qualche modo si aiutano a vicenda per uscirne. Nessuno spicca certo per carisma. Non certo il nostro Will in versione sbarbata, e mentre sicuramente quello di Jack comincia ad arrugginire, devo dire che l’unica che forse risulta un po’ più intensa degli altri è  proprio Carina, che se non altro presenta un background vagamente interessante.

Puntavamo in realtà tutti sul “cattivo”, sullo spettrale Armand Salazar, interpretato dall’intrigante Javier Bardem, speravamo aggiungesse al film quella vena oscura che mancava ormai da molto tempo, ci auguravamo che avesse alla spalle una storia drammatica per la quale temerlo e seguire il suo desiderio di vendetta nei confronti di Jack con un certo coinvolgimento. Purtroppo la verità è che Salazar alla fine non allaccia nemmeno le scarpe al Barbossa del primo Pirati dei Caraibi (che tra l’altro ritorna in questo capitolo e fortunatamente si prodiga a destarci dal torpidio con qualche colpo di scena, per quanto improbabile) o al veramente tormentato Davy Jones. Le sue motivazioni di tanto rancore verso Jack infatti risultano sterili e il suo modus operandi quello del classico cattivone a cui brucia il culo per il torto subito e corre da una parte all’altra dei sette mari alla ricerca del suo obiettivo come un automa. Certo dal punto di vista visivo non si può dire che non sia suggestivo il look da spettri “mangiucchiati” della sua combriccola, che non ci trasmetta un certo fascino la nave fantasma di Salazar che si apre come se avesse le fauci per inghiottire le imbarcazioni che intralciano il suo cammino. Ma è veramente troppo poco per dar senso ad un racconto effettivamente sin troppo simile  agli episodi passati e con l’aggravante di essere meno efficace. Come se ciò non bastasse, oltre ad essere piuttosto prevedibile, il plot di La vendetta di Salazar è anche diretto senza arte né parte da Joachim Rønning e Espen Sandberg, che si limitano a fare ciò che c’è da fare senza alcuna fantasia ma anzi, riuscendo semmai nella bizzarra impresa di rendere alcune scene che dovrebbero essere più drammatiche particolarmente poco sentite e anticlimatiche. Non ho ben capito se è colpa del montaggio o proprio della regia, fatto sta che nei momenti clou del film qualcosa non torna.

Nonostante questo probabilmente uno spettatore poco esigente troverà tutto quello che cercava da un film sui pirati dei Caraibi, c’è il solito umorismo e leggerezza tipica della serie, ottime scenografie in mare e nelle esotiche isole dei caraibi, un sacco di computer grafica di buona qualità, misticismo, maledizioni, abbordaggi e un ritmo nemmeno troppo fiacco. Se tanto vi basta e non cercate nient’altro, potreste quindi vederla anche meno nera di coma la vedo io.

Verdetto

La maledizione di Salazar è sicuramente più riuscito di Oltre i confini del mare, ciò non di meno è altrettanto inutile nell’economia narrativa di una serie che con la prima trilogia esauriva tutto ciò che aveva da dire in maniera dignitosa. Nessun personaggio nuovo riesce davvero a far breccia nei nostri cuori, Henry, Carina e Jack sono vittime delle stesse identiche ridondanti dinamiche che abbiamo già visto più e più volte negli scorsi capitoli, e Salazar, al netto di una discreta presenza scenica, ha davvero poco da dire. Non parliamo di un film pessimo o particolarmente mal fatto; nonostante la direzione del progetto da mestierante e nulla più, siamo di fronte ad un blockbuster gradevole se visto con estrema spensieratezza. Inoltre ha il merito di raccontarci qualcosa in più sulle origini di Jack Sparrow e cerca anche di chiudere il cerchio su alcune questioni rimaste irrisolte in passato. In tal senso si potrebbe considerare un capitolo davvero di chiusura, o almeno mi auguro che sia così visto che evidentemente si sta raschiando il fondo del barile. Che dici Capitan Sparrow, la appendiamo questa bussola al chiodo?