Vecchi sapori, nuovi orrori

La coltre di mistero e curiosità dietro l’ultimo esponente della saga creata da Capcom ormai un ventennio fa, era innegabilmente spessa. Impossibile non essere scettici per molti motivi diversi. Innanzitutto lo sappiamo, e spiace pure dirlo, Capcom non è più quella di una volta, non è più tra gli sviluppatori di software giapponese “top di gamma” come anni fa. La crisi creativa dell’industria videoludica, e quella del mercato giapponese, si sono trasformate in Capcom in crisi di identità. Incapace di spiccare con personalità e qualità in quasi tutte le occasioni, e a farne le spese finiscono spesso i brand a cui siamo più legati, basti pensare al recente mediocre Dead Rising 4, sviluppato con pigrizia e depauperato praticamente da qualsivoglia tratto peculiare che lo contraddistinse all’esordio. Resident Evil come sappiamo tutti, ha accusato in maniera particole tutto ciò, e il sesto capitolo senza arte né parte, senza volto, senza quid, senza appunto, identità, è ancora sulla nostra mensola a dimostrarlo.

Perciò all’annuncio di un settimo capitolo, se da un lato c’era sicuramente da apprezzare la volontà di farsi ispirare dal’epoca d’oro della serie, dall’altra scettico come chi si è scottato troppe volte, mi chiedevo in che modo sarebbe stato fatto, al di là dell’evidente cambio di prospettiva. Finalmente, pad alla mano, abbiamo avuto modo di scoprirlo.

Ma partiamo proprio dalla questione prospettiva. Alcuni si potrebbero chiedere perché proprio la prima persona dopo sei capitoli. Beh da una parte il cambio di prospettiva è sempre stata prerogativa della serie, dopo la terza persona della prima trilogia, la seconda persona di “Mikamiana” matrice degli ultimi capitoli, non è esattamente sbagliato con un po’ di elasticità mentale auspicare un punto di vista diverso e interessante anche per il presente della saga. Ma i più maliziosi potrebbero pensare che semplicemente fosse più semplice così, che si sia scelta per spalleggiare il progetto PS VR, o semplicemente per cavalcare l’onda dei first person horror che godono di una nutrita schiera di fan. Quali che siano le motivazioni poco ci importa in questa sede. Rallegriamoci invece del fatto che funziona, funziona decisamente bene. Resident Evil era in origine immersione. Immersione in un incubo chiamato dapprima Villa Spencer, dopo Racoon City e cosi via, un’immersione che, calati negli occhi del protagonista, torna prepotentemente in Resident Evil 7. Complice di questo l’ottimo e furbo lavoro fatto da Capcom sul fronte tecnico e artistico, che ha cucito sul gioco un nuovo motore grafico (RE Engine) specificatamente pensato per veicolare al meglio ansia, oppressione, terrore, in ogni centimetro quadrato della famigerata casa Baker, in cui si svolge gran parte dell’esperienza. L’abitazione putrida, decadente, trasmette un certo disagio visivo che accompagna il giocatore in ogni passo.  E il sistema di illuminazione al contempo nasconde i limiti grafici, le sporcizie, mettendo in risalto solo il dettaglio disturbante, lo scorcio claustrofobico e l’atmosfera pesante di cui è pervaso il titolo. La prima persona però aiuta anche l’immedesimazione con un personaggio il cui background è appena accennato. Sappiamo poco o niente del nostro alter ego Ethan, se non che attraversa la Louisiana e raggiunge la raccapricciante magione Baker spinto dal desiderio di salvare sua moglie, le cui tracce portano proprio al fatidico luogo. Ma Ethan è una persona normale, non un super soldato addestrato al pericolo come i vecchi protagonisti della saga. Ci caliamo quindi perfettamente nel mood di un’avventura da vivere a passo d’uomo, esitanti, indifesi, senza spiccate doti deambulatorie od offensive. Una semplice preda nella tana dei lupi, totalmente impreparato a qualsiasi forma di minaccia. In questo caso la minaccia sono i componenti della famiglia Baker.

Una minaccia pressante, imprevedibile e onnipresente. Credetemi quando vi dico che le prime ore di Resident Evil 7 sono realmente angosciose, complice la squisita messa in scena di ogni incontro con gli abitanti della magione, capace di cogliervi di sorpresa con perversa violenza, sempre al momento giusto, quando non ve lo aspettate o comunque non vi sentite psicologicamente preparati. All’inzio Resident Evil 7 spara tutte le sue cartucce per farvi godere della soddisfazione di una stentata sopravvivenza, in un tunnel degli orrori piuttosto lineare ma di sicuro impatto che non mancherà di emozionarvi. In alcuni casi sarà pure spossante forse, ma ogni volta che vi salverete la pelle sarà una soddisfazione, fuggendo nell’ombra e pregando di non essere visti, oppure scaricando una pletora di colpi sulla minaccia di turno con tutte le vostre forze “virtuali” e in maniera talvolta isterica, con l’arma totalmente improvvisata che l’occasione vi fornirà. Non voglio scendere troppo nei dettagli perché il merito di Resident Evil 7 consiste nel valorizzare la vostra reazione ad ogni momento di gioco con cui i sadici programmatori di Capcom hanno deciso di sfidarvi. Ma quando supererete queste fasi vi sentirete un po’ come scesi dalle montagne russe, carichi di adrenalina e soddisfatti per il “pericolo scampato”. Un vero e proprio dolce soffrire.

Ma Resident Evil è un’opera multiforme, che proprio quando pare volervi convincere di aver cambiato totalmente identità, svela il proprio volto. Quello di un titolo fortemente devoto alla formula dei primissimi capitoli, che si inserisce in una struttura di gioco totalmente assimilabile a quanto nostalgicamente eravamo affezionati. Ecco quindi che l’ambientazione si apre e comincia a rilassarsi, lasciando spazio all’esplorazione degli ambienti, alla risoluzione di enigmi mai impegnativi o cervellotici, ma comunque spesso degni di lode per inventiva. Mappa alla mano, Ethan, e noi di conseguenza, cominciamo a prendere confidenza con l’ambiente ostile con cui siamo nostro malgrado chiamati a confrontarci. Quelle velleità da survival passivo con cui siamo stati introdotti agli eventi del gioco lasciano spazio a quelle ben più divertenti e aggressive da “survival shooter”, che di fatto sono marchi di fabbrica della serie. Le armi da fuoco infatti ci sono, e non sono nemmeno cosi poche. In Resident Evil 7 si spara eccome. La costante per la vostra sopravvivenza non sarà tanto la fuga ma il sapere amministrare le munizioni e i medicinali a vostra disposizione. Qui comincia insomma il vero Resident Evil, quello giocoso, quello che ti lascia divertire con il piombo, la balistica, (sparare in RE7 funziona bene ed è gratificante) e che ti dà il gusto per la gestione delle scarse risorse, nel decidere cosa portarti dietro e come amministrare il risicato inventario.

Attenzione però, non passerete da prede a predatori, le vostre risorse non saranno mai un deterrente per la sfida, in primis perché saranno sempre piuttosto limitate (salvo voi non siate tremendamente efficienti nel risparmio) e poi perché i Baker o qualsiasi altra creatura con cui verrete a confrontarvi, troverà spesso il modo di spiazzarvi. Da questo punto di vista tutta la prima metà del gioco offre ottimi spunti, ed è pressoché perfetta se si va a valutare l’offerta di varietà e ritmo. La magione, tra mille rimandi più o meno velati al capostipite della serie sia per quel che riguarda chiare ispirazioni strutturali che per quanto concerne le meccaniche, come la necessità di salvare solo in certe stanze, posare o recuperare oggetti nei bauli, o collezionare chiavi ed emblemi vari, si esplora e si vive in maniera snella, non lineare ma nemmeno eccessivamente appesantita da lunghi e ridondanti backtracking. Allo stesso modo, l’espediente della famiglia svitata con chiari intenti omicidi (più varie ed eventuali che vedrete giocando) sostituisce benissimo zombi e simili a cui siamo stati sempre abituati dando un sapore totalmente inedito al filone, cadenzando con equilibrio momenti di suspance e azione con altri più rilassati.

Insomma invece di avere mille pedine ostili in un’ipotetica scacchiera rappresentata dai vari piani nella proprietà dei Baker (invero articolata su più strutture, non solo l’abitazione vera e propria), oggi semplicemente spesso prevedibili, Capcom ha deciso di metterne in campo molte meno ma decisamente più grottesche, imprevedibili e complesse da gestire in un pletora di contesti ludici che pescano a piene mani da fonti di ispirazione cinematografiche scarsamente sodate precedentemente dalla serie, come gli slasher movie alla “Non aprite quella porta”, “La Casa”, “The Blair Witch”,“La casa dei mille Corpi” di Rob Zombie e altri. Un compendio di suggestioni della cultura horror moderna di chiara matrice occidentale che lasciano da parte per una volta l’iconografia ormai troppo abusata e didascalica a tema zombie e allo stesso tempo quel gusto giapponese per l’horror un po’ “kitsh” e talvolta eccessivamente sopra le righe. Complice di un tale successo le forze congiunte di Koshi Nakanishi, director di Resident Evil Revelation, a mio avviso il migliore e più equilibrato capitolo del nuovo corso della saga, e lo sceneggiatore Richard Pearsey, che ha curato la storia di F.E.A.R. e Spec Ops: The line, e ha donato al mood di Resident Evil 7 un timbro ferale, violento, esteticamente maturo.

Se Resident Evil 7 avesse mantenuto questi valori alti fino alla sua conclusione, avremo potuto davvero parlare di capolavoro, purtroppo però a poco più di metà avventura cambia nuovamente faccia perdendo appeal -ahimé- un po’ sotto tutti i punti di vista. Sembra quasi infatti che Capcom non sia riuscita a tenere il suo progetto completamente al sicuro dalla contaminazione con elementi più appartenenti agli ultimi capitoli della serie, contraddicendo almeno in parte gli intenti di partenza. Ad un certo punto della storia infatti si cambia location e registro. Non serve scendere in particolari fastidiosi per chi odia spoiler per rendere l’idea, basti dire che saremmo trasportati in un contesto totalmente diverso in cui, per quanto si riesca a tenere in piedi un’atmosfera fortunatamente capace di tenere ancora sulle spine, rimpiangeremo casa Baker. L’ultimo terzo di gioco infatti risulta molto meno ispirato, l’esplorazione più blanda, l’atmosfera perde di brillantezza e diventa più banale, asettica, e tra mitra, mine, lanciagranate ecc., l’anima survival, rustica, viscerale e compassata che tanto ci piaceva fino a poco prima va totalmente a farsi benedire. Non fraintendete. Dal punto di vista ludico funziona alla grande, e probabilmente, queste sezioni fanno molto più parte del DNA di Resident Evil di quanto non voglia ammettere, visto che pure il primo capitolo riservava il suo epilogo alla caciara più totale.

Spiace solo che personalmente trovo la seconda parte di gioco realmente inferiore in tutto e per tutto alla splendida prima porzione (pur mantenendosi su standard più che dignitosi), e che la sensazione di angoscia vada quasi a scomparire, concludendo l’avventura con al massimo qualche timidissimo saltino sulla sedia, mentre ci si sarebbe potuti aspettare un epilogo ben più in linea con l’incipit. In ogni caso, nella sua completezza Resident Evil 7 racconta una storia semplice ma ben narrata, con personaggi caratterizzati abbastanza bene nell’economia della trama più che per reale complessità del loro background. Da questo punto di vista trovo che il lavoro su animazioni, espressività e caratterizzazione estetica sia stato davvero buono e contribuisca non poco alla causa. In ogni caso non è una storia perfetta, lascia un paio di buchi nella sceneggiatura non cosi gravi ma comunque profondi, e si contestualizza nell’universo di Resident Evil in maniera piuttosto ambigua, fornendo spunti di connessione con i vecchi capitoli non sempre così coerenti e perfettamente interpretabili. Chiudo con un elogio più che sentito al comparto audio del titolo, che accompagna costantemente l’avventura con mille sospiri, passi, rumori molesti e misteriosi, spifferi, scricchiolii, grida, musiche e melodie dannatamente azzeccate per ogni situazione e che contribuiscono in maniera totale all’immersione. Non ho giocato con PS VR, ma vi posso assicurare che con delle buone cuffie da gaming alle orecchie, qualche accorgimento nelle opzioni di gioco come il suono stereofonico e la luminosità al minimo, difficilmente vorrete sentirvi ancora più dentro all’esperienza di Resident Evil 7. Un’esperienza che a conti fatti, pur non arrivando a toccare le vette del capolavoro assoluto di genere, riesce a far risorgere completamente dalle ceneri un brand che in moltissimi davano per spacciato.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!