Il capolavoro di Team Ico torna in gran spolvero su PS4.

Seppur ogni episodio dell’ideologica trilogia di Fumito Ueda faccia un po’ storia a sé e abbia ricevuto da critica e pubblico elogi e plausi scroscianti soprattutto per le grandi capacità comunicative a livello empatico, non c’è dubbio che quello che è rimasto più nel cuore ai videogiocatori è Shadow of The Colossus. Forse perché tra le righe proponeva una potente storia d’amore, che è il sentimento più universale e coinvolgente di tutti, forse per la splendida ed iconica colonna sonora, o magari per la capacità di creare momenti veramente epici negli scontri con i giganteschi colossi. Qualunque sia il motivo preciso, Sony ha deciso di aggiornare per la seconda volta uno dei più prestigiosi giochi prodotti dal colosso (per rimanere in tema) giapponese. A differenza dell’edizione per PS3 però, è stato fatto un lavoro molto più profondo per dar nuovo lustro al titolo.

Il lavoro di restauro, è stato affidato ai Blue Point, uno dei team più qualificati per queste operazione, e che ormai hanno sul groppone già un bel po’ di esperienza soprattutto con le remastered dei giochi Sony, sempre riproposti con conversioni degne di nota. Basti ricordare Uncharted The Nathan Drake Collection o Gravity Rush remastered, per quel che riguarda questa generazione.

Sul piano tecnico e sul lavoro di restyling, il discorso è semplice, ma allo stesso tempo complesso, e mette in luce evidenti pregi, ma anche aspetti più controversi. Questa volta infatti i Blue Point hanno ristrutturato il titolo, la cui prima edizione rappresentò un piccolo miracolo di tecnologia per PS2, dalle sue fondamenta. L’operazione non è troppo dissimile da quella fatta per Crash Bandicoot: N. Sane Trilogy, che prevede non una semplice messa a punto del comparto grafico con una risoluzione più alta e una pulita a texture e dettagli, ma una nuova e propria reinterpretazione dell’estetica, con nuovi assets, più aggiornate features tecniche che influiscono su fisica e illuminazione e una rimodellazione poligonale di moltissimi elementi.

L’impatto con la nuova veste di SOTC è sicuramente notevole ma tutta l’esperienza che ne segue, rimane incredibilmente familiare per chi ha già avuto a che fare con l’epopea del giovane Wander, incaricato da una misteriosa divinità chiamata Dormin, di sconfiggere i 16 colossi, guardiani di altrettante aree che compongono questa enorme terra proibita, per poter resuscitare la propria amata. Già dall’introduzione risulta chiara la cifra delle modifiche fatte. Una nuova regia nelle cutscene, che ora ha ben più elementi su cui veicolare l’occhio del giocatore, mette in risalto mille e più dettagli che nel motore originale rimanevano indefiniti sullo sfondo, oppure proprio non esistevano. L’acqua sorgiva che scroscia giù tra le rocce, nuove fonti di illuminazione che danno un taglio più concreto e realistico alle scene, la vegetazione, più ricca e variegata dà vita all’ambiente, mentre sotto l’effetto di un maggior dinamismo degli elementi, vesti e fili d’erba accennano degli spostamenti accarezzati dal vento, mentre polveri sabbiose si alzano sotto gli zoccoli del nostro fidato amico Agro.

E poi ancora il cielo plumbeo e rarefatto che che sulla PS2 era ricoperto di nubi quasi eteree ora copre le nostre cavalcate con corpi nuvolosi volumetrici che riescono a dare un maggior numero di sensazioni atmosferiche a seconda della luce che filtra. C’è poi il volto del nostro Wander, prima impassibile, volente o nolente, non inespressivo ma quasi imperscrutabile, e ora invece capace di tradire molti più sentimenti grazie alla sua completa rimodellazione facciale. Come potete intuire quindi, non avendo lavorato direttamente il Team Ico su questo “remake”, ogni novità estetica è frutto della reinterpretazione di Blue Point che, involontariamente, aggiungendo dettagli e migliorandolo esteticamente,  modifica inevitabilmente qualcosa dell’atmosfera originale.

La nebbia, che mascherava tutti i limiti tecnici di PS2 si dipana, per lasciar spazio ad un’orizzonte estremamente più esteso e finalmente capace di esprimere la vastità delle lande esplorate, quella palette cromatica un po’ slavata viene sostituita da una più vivida e ricca di sfumature. Ma allo stesso tempo troppa definizione, pulizia e vivacità estetica, sembrano quasi far perdere un alone di etero misticismo che caratterizzava l’avventura di Wander così come l’aveva pensata il suo autore.

Scendendo a patti con questo percettibile cambio di mood, rimane solo da “godere”, perche SOTC rinasce a nuova vita grazie a questo lavoro tecnico che porta il comparto grafico del titolo agli standard attuali. Il gioco gira a 30 fps solidi su PS4 e permette invece su PS4 PRO di scegliere tra una modalità per giocare in 4K a 30fps oppure in 1080p a 60 fps, oltre alla possibilità di attivare HDR. Sicuramente in tutti casi si va finalmente a superare uno dei grandi scogli che intaccavano l’esperienza nelle altre edizioni, ovvero il framerate sempre altalenante. Questo remake riesce a spingere al massimo le potenzialità suggestive ed evocative dello scenario e delle epiche battaglie con i colossi, e ben venga quindi anche l’introduzione di una modalità fotografia veramente ricca di opzioni, una delle più complete che abbiamo visto fino ad oggi, che vi permette di lavora su praticamente ogni singolo aspetto dell’immagine e di aggiungere volendo numerosi filtri. Blue Point ha lavorato di fino levigano anche altre caratteristiche marginali, proponendo dei layout dei comandi più moderni (che potrete comunque sempre modificare come volete) e sistemando qualche “inestetismo” dell’asettico hub, ad esempio ora la stamina non è più rosa ma gialla e la sua circonferenza non diventerà sempre più grande man mano che la aumenterete coprendovi parte dello schermo come in precedenza, ma si estenderà in maniera più funzionale ed elegante con una piccola barra supplementare.

Per quel che riguarda il gioco vero è proprio, è lì esattamente come lo ricordiamo, e non ha subito nessun altro tipo di modifica. Dietro questo connubio tra action e puzzle che ci chiama -colosso dopo colosso- a superare diverse sfide per capire come scalarle le gargantuesche creature e sfruttare il loro punti deboli, c’è sempre quella magia che amalgama alla perfezione gameplay e poetica senza soluzione di continuità, e che, a maggior ragione con un comparto estetico al passo con i tempi, dimostra di non essere invecchiato di un giorno. Rimane quel titolo che trascende la classica grammatica del videogioco, fatta solitamente di didascaliche meccaniche ed impliciti schemi, come il fatto di avere una mappa solitamente ricca di attività che NON troverete in un titolo come SOTC, il quale non ha avuto paura di esporsi con scelte molto coraggiose già in tempi non sospetti, e di dare in mano al giocatore un enorme landa desolata in cui l’unico e solo scopo del gioco (salvo irrilevanti attività secondarie di contorno, come la cattura delle lucertole dalla coda bianca) è trasmettere solitudine e determinazione verso un preciso obiettivo.

Insomma, se siete tra i pochi che non conoscete SOTC e avete avuto la fortuna di arrivare fino a queste righe “vergini” di questa esperienza, non c’è altro che debba aggiungere per non rovinarvi la scoperta di un titolo importantissimo e che va assolutamente giocato almeno una volta nella vita. Se invece siete tra il 99% di persone che sanno già benissimo di cosa parlo, come detto, ribadisco che l’esperienza rimane la medesima di sempre e non è stata modificata di una virgola. Quella inerzia nella fisica, quell’imponenza dei colossi che ci fa sentire così piccoli al loro cospetto, l’ottima sinergia con il cavallo Agro, tutti le chicche e comandi speciali che ricordiamo dalla versione originale (compresi oggetti sbloccabili), è tutto al suo posto, e ancora oggi se avete la giusta sensibilità, SOTC riuscirà a toccare delle corde che trascendono il semplice “divertimento”, come da tradizione per i titoli di Ueda.

Questo anche grazie alla sempre magnifica e indimenticabile colonna sonora: ispirata, evocativa, capace di sottolineare le atmosfere del gioco, di porre la giusta enfasi nei momenti più drammatici e di elevare quelli più epici, e grazie anche ad una narrazione implicita, fatta di simbolismi e indizi lasciati totalmente alla nostra interpretazione, che  rendono il nostro viaggio personale, anche di fronte ai tanti sentimenti “universali” che ogni colosso abbattuto porterà con sé.

Verdetto

Shadow of The Colossus è un’opera che non accetta compromessi, che utilizza il medium videoludico per veicolare le priorità comunicative del suo autore, e solo in secondo luogo per creare “un gioco”. Non è molto probabilmente un titolo per tutti, non lo è mai stato, nemmeno all’epoca. Eppure tutti dovrebbero provarlo, perché rimane comunque il connubio perfetto tra arte e videogioco: emoziona prima di divertire, senza tuttavia per questo rinunciare nemmeno per una frazione di secondo all’interattività con il giocatore. È un titolo che funziona per sottrazione, che punta tutto su una narrazione inserita tra le righe e la verbosità di divinità ambigue. Tutto ciò ha reso grande questo classico di Ueda, e questo remake, che rende tutto estremamente più bello, concreto e suggestivo da vedere, rimedia all’unico elemento che forse oggi come oggi potrebbe far venir meno il coinvolgimento verso il gioco, ovvero un comparto tecnico troppo obsoleto. E di fatti, sostanzialmente è l’unica cosa che modifica. A dire il vero, se vogliamo essere del tutto onesti, non fa miracoli, e dissipando difetti grafici e nebbie artificiali, Blue Point rivela un mood estetico generale che in qualcosa potrebbe differire da come percepivamo l’atmosfera del titolo originale, che ricordo in qualche modo più onirica e con un taglio stilistico dalle tinte più sfumate, e chissà, forse in qualche modo tradisce anche la visione artistica dello stesso Ueda. Inoltre, a prescindere da tutto, se come me avete finito già il titolo a suo tempo innumerevoli volte, potreste non appassionarvi nuovamente al titolo come fosse la prima volta, neppure in virtù dei suoi nuovi prodigi grafici. Detto questo, niente e nessuno può negare che Blue Point abbia sicuramente fatto il massimo per restaurare al meglio di quanto era effettivamente possibile fare senza la supervisione del suo autore, questa preziosa opera.

Davide Salvadori
Cresco e prospero tra pad di ogni tipo, forma e colore, cercando la mia strada. Ho studiato cinema all'università, e sono ormai immerso da diversi anni nel mondo della "critica dell'intrattenimento" a 360 gradi. Amo molto la compagnia di un buon film o fumetto. Stravedo per gli action e apprezzo particolarmente le produzioni nipponiche. Sogno spesso a occhi aperti, e come Godai (Maison Ikkoku), rischio cosi ogni giorno la vita in ridicoli incidenti!