Nati sotto il segno del Bandicoot: la storia di Crash

Questa è una storia speciale, bizzarra e bellissima allo stesso tempo, capace di trasportare i giocatori di oggi, nati a cavallo degli anni ottanta e novanta, agli albori delle loro avventure videoludiche. Quando da bambini prendevano in mano per la prima volta il pad di una PlayStation. Una storia che si tinge di arancione, quella di Crash Bandicoot.

Per alcuni di noi la “Play” fu la prima vera console. E, sempre per molti di noi, uno dei primi titoli ad appassionarci aveva per protagonista un personaggio strano. Era diverso da tutti quelli usciti fino a quel momento e che sarebbeo comparsi in seguito. Non parlava, non era molto intelligente e non era neppure dotato di un grande set di mosse. Ma lo abbiamo adorato, seguendolo in giungle tenebrose, città in rovina, templi oscuri e ponti pericolanti, evitando massi, indigeni furiosi e cavalcando cinghiali.

Crash Bandicoot, per l’epoca, fu una vera rivoluzione. Oggi i protagonisti dei videogiochi hanno quasi tutti una parlantina sciolta, un moveset complesso e un background articolato. Ma Crash non era così: a lui bastava saltare e fare una giravolta, alzare e abbassare un po’ le sopracciglia e mostrava comunque più carisma della maggior parte dei suoi colleghi.

Il mondo dei platform si può a tutti gli effetti dividere in due ere: pre e post Crash.

Raramente abbiamo avuto modo di provare la stessa ondata di simpatia nei confronti di un protagonista, capace – oggi come allora – di esprimerci una vasta gamma di emozioni. Se per noi il dolore sul volto di Joel in The Last of Us ci sembra normale, così come la rabbia e la delusione di Nathan Drake, all’epoca i personaggi dei videogame non avevano questa capacità. Crash Bandicoot fu il primo eroe dei videogiochi a mostrarci delle emozioni.

Un eroe nato con uno scopo ben preciso: quello di essere la mascotte degna di una console che stava rivoluzionando il mercato.

L’era Naughty Dog

Se pensiamo a Nintendo pensiamo subito a Mario, il nostro caro “connazionale” sempre intento a salvare la principessa Peach. Se pensiamo a SEGA, il pensiero va immediatamente a Sonic, il velocissimo riccio blu.
E per PlayStation? Impossibile determinare un personaggio simbolo. Tanti sono stati gli eroi transitati su PlayStation e sulle sue successive incarnazioni, molti dei quali sono in seguito approdati anche su altre console. Eppure, nel corso di quella storica generazione videoludica, era assai più facile associare alla PS un eroe in particolare. E quell’eroe era il nostro Crash.

I ragazzi di Naughty Dog, in effetti, concepirono Crash proprio per questo scopo, quello di donare alla console di casa Sony una mascotte che ne rappresentasse il brand in ogni angolo del mondo. Lo sviluppo di Crash iniziò proprio quando PlayStation era appena approdata sul mercato. La scelta fu ben ponderata: il personaggio, sviluppato per quella console, non avrebbe avuto concorrenza e si sarebbe imposto facilmente come suo simbolo.

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La stessa divisione americana di Sony comprese la necessità di avere una mascotte per la sua nuova console. Ne parla Harold Goldberg nel suo libro All Your Base Are Belong To Us. L’intenzione dichiarata era quella di fare di Crash proprio l’anti-Mario. E ai più maliziosi non sembrò un caso che la sua arcinemesi, il dottor Neo Cortex, avesse una gigantesca N sulla fronte, iniziale di una certa casa videoludica di Kyoto. Alle provocazioni “sottintese” ne seguirono altre più palesi: in uno spot del 1996 fu lo stesso Crash (o, almeno, un pupazzo con le sue sembianze…) a prendere in giro il “mustache man” Mario sotto una delle sedi di Nintendo, decantando tutte le potenzialità del nuovo gioco.

Ma, prima di questo, ci vollero due anni di lavoro per completare l’opera, che per l’epoca fu qualcosa di titanico. Il gioco doveva polverizzare la concorrenza, far imbarazzare l’idraulico e alzare l’asticella del genere platform.

Una genesi lunga, cominciata con un protagonista privo di nome! L’idea iniziale era semplice: fare quello che SEGA aveva fatto per Sonic. Ironicamente il progetto fu chiamato Sonic’s Ass Game, dato che il protagonista si sarebbe visto solo di spalle. Si doveva quindi trovare un animale che potesse risultare simpatico agli occhi dei giocatori, rivelandosi una presenza tranquillizzante per le famiglie. Ma che non fosse un animale troppo conosciuto.

E, quando si parla di animali esotici, nessun posto è meglio dell’Australia. Una “squadra di ricerca” di Naughty Dog partì per l’Oceania con lo scopo di trovare l’animaletto peloso ideale da trasformare in una mascotte. Furono così individuati tre potenziali soggetti pronti a diventare il simbolo di Sony: il vombatide, il potoroo e, per ultimo, il bandicoot.

Un bandicoot: non proprio l’archetipo dell’eroe

La storia racconta che nell’ottobre del ‘94 che si decise per il bandicoot, ma il personaggio era ancora privo di una carta d’identità: solo a ridosso dell’E3 1995 divenne Crash.

Già qui iniziarono i primi problemi con Universal Interactive Studios, casa di produzione della serie. Il direttore marketing pensò di proporre una serie di nomi strampalati per il personaggio, uno più folle dell’altro (tra questi c’erano Willy The Wombat e Ozzy The Ottsel… ai posteri l’ardua sentenza). Naughty Dog minacciò da subito di affondare il progetto se ci fossero state altre ingerenze dei produttori nella fase di sviluppo.

Crash fu studiato perché i giocatori potessero riconoscerlo e amarlo. L’iconico colore della sua pelliccia, quell’arancione che lo contraddistinguerà per tutta la sua carriera, fu scelto per farlo risaltare al meglio in ogni tipo di ambiente che avrebbe potuto incontrare. Furono i jeans blu, i guanti, le sneakers, la cresta che ne facevano un perfetto personaggio anni ‘90.

Ma, soprattutto, quelle sopracciglia, che rendevano il nostro nuovo eroe così espressivo.Quando ci lanciammo nell’avventura insieme ad Aku Aku per salvare la bella Tawna, quanti di noi si riconobbero nel sospiro di sollievo di Crash alla fine di un livello (specie se quel livello era Slippery Climb)? Crash gioiva e soffriva, e noi gioivamo e soffrivamo con lui tutte le volte che conquistavamo una gemma o perdevamo una vita, finendo incendiati, cadendo in acqua o in un burrone. Oggi diamo per scontato che un personaggio provi sentimenti, ma all’epoca non era affatto così.

Il gioco, con un originalissimo level design, musiche vivaci e comandi rapidi e intuitivi aveva tutto per essere un successo. Ma il suo punto di forza era sempre Crash, capace di conquistare il cuore dei giocatori come pochi altri personaggi erano riusciti a fare prima di lui.

Crash Bandicoot fu il primo eroe cool nella storia dei videogiochi. Era un personaggio ribelle, folle e scanzonato, icona della sua epoca. Esattamente quello che Sony voleva essere per il mondo delle console. Ed esattamente quello che si era prefissata la Naughty Dog: creare la mascotte perfetta per quella che era, in quel momento, la console dominante sul mercato.

Non ci volle molto perché il gioco riscuotesse successo, arrivando a vendere oltre sei milioni copie che gli garantirono l’ingresso di diritto tra i giochi Platinum.

La consacrazione della serie però arrivò solo con il secondo capitolo, Crash Bandicoot 2: Cortex Strikes Back. Al suo interno vennero riscritti molti elementi già presenti nel primo gioco, trasformandoli in modo da farli diventare la base stessa della serie; le aree bonus vennero modificate, mettendone una in quasi tutti i livelli; la raccolta delle gemme fu semplificata e venne inserita quella dei cristalli, fondamentale poi anche nei capitoli successivi.

E, non da meno, fu introdotto un nuovo personaggio femminile. Tawna, considerata troppo provocante per un gioco per famiglie, fu accantonata a favore di una più acqua e sapone ma non meno carismatica. Nel bel mezzo di un periodo di grande sviluppo dell’industria informatica, venne così creato il personaggio di una ragazzina hacker, capace di inserirsi nelle comunicazioni di un genio malvagio come Cortex: ecco a voi Coco Bandicoot.

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Con il nuovo gioco Naughty Dog ci regalò una nuova pietra miliare. Abbandonate le ambientazioni isolane, Crash si scatenò in scenari molto più variegati, dall’Artico allo spazio, imparando a cavalcare orsi polari e volare con un jet-pack. Il gameplay restò lo stesso, seppur con alcune nuove mosse per rendere più facile utilizzare Crash, sgrezzando la grafica e donando più fluidità alle animazioni. E il personaggio non esaurì la sua carica, rimanendo sempre e comunque anticonvenzionale e fresco. Il successo fu enorme: sette milioni di copie vendute e una pioggia di recensioni positive.

Il terzo capitolo, Warped, non poté farsi attendere. Era il 1998 e di nuovo Crash riuscì a reinventarsi senza tradire se stesso. Questa volta il nostro marsupiale fu costretto a ritrovare i cristalli sparsi per le epoche storiche, esplorando misteriose tombe egizie, affrontando maghi e cavalieri nel medioevo e sfuggendo a dinosauri inferociti nel cretaceo.

Warped si dimostrò un ulteriore, notevole passo in avanti nella storia del franchise. Il motore grafico avrebbe potuto permettere ai programmatori di realizzare livelli completamente aperti, ma il rischio di snaturare il gioco e renderlo qualcosa di diverso era forte. Nonostante questo alcune aree possono tuttora fornire agli utenti un’idea di quello che poteva essere Warped, come i livelli di Coco sulla moto d’acqua o quelli di volo.

Come nello scorso capitolo, gli sviluppatori innestarono sul gameplay classico alcune novità, ma il punto di forza era sempre lui, sia che stesse volando su un biplano durante la prima guerra mondiale, sia che emulasse James Dean a bordo di una due ruote. Crash era sempre più un’icona e sempre più una mascotte della propria console, il manifesto “vivente” di quello che era PlayStation.

Il suo scopo – quello di essere “l’anti-Mario” di casa Sony – sembrava confermato dal primo spin-off della saga, l’amatissimo Crash Team Racing (CTR per tutti gli appassionati). Ad oggi si tratta forse ancora dell’unico gioco di Kart capace di competere con la serie parallela dedicata a Mario. CTR era coloratissimo, scanzonato e divertente, dotato di un’ironia sagace che faceva sentire i ragazzini che giocavano a quel titolo “grandi”. In poche parole, era riuscito a rendere perfettamente, ancora una volta, lo spirito del personaggio all’interno del gioco. Complice anche il fatto di aver rispolverato alcuni dei mutanti più amati della saga, le tante modalità di gioco e la capacità di essere un titolo di kart capace di ospitare fino a quattro giocatori, fanno tuttora di CTR uno dei giochi ricordati con maggiore affetto da quella generazione di videogiocatori.

Nei primi quattro anni di vita l’esperienza di Crash Bandicoot era stata un trionfo sotto ogni punto di vista. Il personaggio sembrava davvero riuscito a far breccia nel cuore dei giocatori. Come se non bastasse, oltre alle già citate vendite dei primi due titoli, anche quelle di Warped e CTR confermarono il successo della serie e del marsupiale arancione.

Tutto sembrava destinato a fare di Crash il personaggio di punta della PlayStation. Eppure le cose andarono diversamente.

Una mascotte mancata

L’ultimo gioco uscito su PlayStation, Crash Bash, pareva confermare la narrazione già vista, dare al Bandicoot un posto nella storia come l’icona delle console Sony. Il titolo, sulla falsariga di Mario Party, vedeva Crash e gli altri personaggi della saga affrontarsi in una serie di minigiochi. Nonostante qualche recensione più tiepida da parte della critica, il gioco ottenne un buon successo e dimostrò, ancora una volta, tutto il carisma del personaggio.

Tuttavia sembravano esserci i primi problemi. Naughty Dog, dopo aver iniziato lo sviluppo del titolo, abbandonò in fase avanzata i lavori, venendo rimpiazzata da Eurocom.

Ancora oggi non è del tutto chiaro cosa si sia rotto nel rapporto tra Universal e Naughty Dog. La spiegazione più nota, e tutt’ora più plausibile, resta la scarsa indipendenza che Universal forniva ai propri partner. I diritti di Crash restarono al publisher, che affidò lo sviluppo delle successive saghe a vari sviluppatori, ma la cosa sembrò avere ripercussioni maggiori. La storia ci insegna che Naughty Dog era ed è una casa di sviluppo profondamente legata a Sony, e questo aveva permesso a Crash Bandicoot di diventare, ufficiosamente, la mascotte della console PlayStation.

Siamo ormai all’inizio degli anni 2000. Tutto era pronto perché Microsoft rivoluzionasse il mercato nell’ampio panorama della Console War, entri in scena come “terzo incomodo”.

Già prima dell’uscita di Ps2 e Xbox i giocatori parlavano di un nuovo gioco di Crash, sviluppato da Travellers Tales. Tutti si aspettano l’arrivo del primo Crash per PlayStation 2. Invece, a sorpresa, L’ira di Cortex uscirà anche per Xbox un anno dopo. L’evento fu spiazzante: quella che tutti percepivano come la mascotte di Sony faceva il suo esordio su una console rivale!

Ma la notizia più sconvolgente doveva ancora arrivare: il quarto capitolo canonico di Crash Bandicoot sarebbe approdato anche su Nintendo Game Cube! L’Anti-Mario, lo stesso che nella pubblicità di qualche anno prima prendeva allegramente in giro l’idraulico simbolo della casa di Kyoto, sarebbe uscito sulla sua stessa console!

L’ira di Cortex si dimostrò un’occasione mancata. Il gioco, pur migliorando in fatto di grafica grazie alla potenza della nuova console, non riuscì a introdurre nessun elemento di novità all’interno della serie, rivelandosi una “copia-carbone” di Warped. Nonostante critiche generalmente buone, il nuovo titolo non riscosse il successo sperato, complici alcuni difetti non da poco. Chi ricorda le ere geologiche necessaria per caricare e accedere a ogni livello?

Nel frattempo la mascotte mancata di Sony si legò sempre più alla casa di Kyoto, approdando per la prima volta anche sul mercato portatile tramite Game Boy Advance. I due titoli sulla console Nintendo riscossero un buon successo, tanto da meritare elogi maggiori, da parte della critica, anche del titolo per console casalinga.

Il titolo successivo vide il ritorno di Crash sui Kart. Ma per Crash Nitro Kart, sviluppato da Vicarious Vision, il confronto con la storia dei Bandicoot fu impietoso. Il titolo non fece breccia nel cuore dei giocatori quanto il corrispettivo per PlayStation. Il gioco, pur godibile, mancava di mordente ed era privo di quei tratti che avevano reso speciale CTR.

A cambiare realmente le carte in tavola nella storia dei Bandicoot fu il successivo titolo per console casalinghe, Crash Twinsanity. Il gioco riscrisse fortemente il gameplay dell’intera saga, trasformando il platform in un free-roaming con aree interamente esplorabili. Travellers Tales, tornata in sella, lavorò bene sotto diversi aspetti, mostrando rispetto nei confronti della saga e di chi li aveva preceduti nello sviluppo. TT recuperò ambienti e personaggi presenti nei primi capitoli di gioco, omaggiandone il passato.

La storia ci mostrò un interessante progredire e la longevità del titolo fu più che discreta. Eppure qualcosa andò storto: nello specifico, Crash Bandicoot fu meno protagonista rispetto al passato. Il personaggio sembrava aver perso un po’ della verve che lo aveva contraddistinto nei giochi originali. Non che fosse noioso, ma l’intero titolo risultò meno sagace rispetto al passato. Difficile individuare un colpevole: se la crescita dei giocatori, se il cambiamento dei tempi o un vero e proprio intoppo.

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Crash non deve morire

A modificare completamente l’immagine di Crash furono gli ultimi due capitoli per PlayStation2 e Xbox, Crash Of the Titans e Mind Over Mutants.

Il nuovo character design stravolse l’aspetto dei personaggi, forse nel tentativo di aggiornarlo per renderlo più attuale. Oltre a questo, cambiò in maniera significativa il gameplay e le mosse del protagonista. Crash si ritrovò così a prendere letteralmente a pugni i nemici e cavalcare mutanti enormi con l’aiuto di Aku Aku.
Questa volta le recensioni furono contrastanti, così come le vendite.

Ma era ormai giunta la fine di quella generazione. All’orizzonte si affacciarono Ps3 e Xbox 360. Tutti si aspettavano che le avventure del marsupiale arancione trovassero seguito sulle nuove console. Ma questo non successe.

Crash saltò completamente la precedente generazione. Rimasto presente solo sugli store online delle due principali protagoniste della console war, nessun titolo sembrava pronto per essere lanciato nel futuro. La sua esperienza pareva ormai finita, al pari di tanti altri personaggi iconici della nostra gioventù videoludica. Per Crash Bandicoot però la storia era molto più triste: tutti si aspettavano da lui che potesse davvero essere il rivale di Mario, che fosse capace di avere la stessa longevità dimostrata dall’idraulico di Nintendo. Una fine triste di una mascotte mancata.

Negli anni della Ps3 e della 360, voci di un suo ritorno continuarono a rincorrersi per diversi anni. Tuttavia solo nel 2016 venne finalmente annunciata la remastered dei primi giochi originali per PlayStation, la N.Sane Trilogy.

Per tanti il ritorno di Crash non è stato solo un revival. Alcuni giocatori lo hanno vissuto come una possibilità di redenzione per un personaggio che ha dato loro tantissimo nel corso degli anni. Un personaggio che tutti noi abbiamo sognato potesse donarci ancora molto. E difficilmente i fan di Crash Bandicoot nasconderanno la loro speranza che questo possa essere un nuovo inizio della sua storia. Un momento in cui, per noi videogiocatori nati sotto il segno del Bandicoot, sia possibile assistere alla rinascita di un personaggio che abbiamo amato e speriamo possa ancora tornare ad emozionarci, continuando a innovarsi con quella carica e quello spirito che lo ha sempre contraddistinto nel corso degli anni.

Federico Galdi
Genovese, classe 1988. Laureato in Scienze Storiche, Archivistiche e Librarie, Federico dedica la maggior parte del suo tempo a leggere cose che vanno dal fantastico estremo all'intellettuale frustrato. Autore di quattro romanzi scritti mentre cercava di diventare docente di storia, al momento è il primo nella lista di quelli da mettere al muro quando arriverà la rivoluzione letteraria e il fantasy verrà (giustamente) bandito.