Con T2: Trainspotting prossimo all’uscita nelle sale, noi di Stay Nerd abbiamo avuto l’occasione di scambiare quattro chiacchiere con Danny Boyle, invitati insieme ad altri colleghi nella particolare location dell’ex caserma Guido Reni di Roma.
Il suggestivo ambiente, ormai spesso teatro di eventi legati alla vita notturna come ad esempio concerti, ma anche spazio adibito a mostre di vario tipo, è risultato una scelta assolutamente indovinata per parlare di un film così eccentrico come T2.

Il regista si è dimostrato affabile, ascoltando con interesse le nostre domande e rispondendo con professionale cortesia.
Ecco pertanto che, dopo aver cercato di dissipare un po’ dei vostri dubbi riguardo il film con la nostra recensione, continuiamo a farlo con il resoconto dell’incontro col maestro Danny Boyle.

Non possiamo che partire dalla musica. Nel primo film era la protagonista; qui che cura ad attenzione c’è stata nella scelta della soundtrack?

Il discorso è un po’ più ampio. Sony qualche anno fa fece una specie di sondaggio tra il pubblico, chiedendo quali attori e quali musiche la gente avrebbe voluto per un potenziale sequel di Trainspotting. Ovviamente tutti hanno richiesto gli stessi quattro protagonisti e una colonna sonora di livello. Purtroppo nessuno ha chiesto lo stesso regista, ma vabbè (ride n.d.R.).
Per questi motivi abbiamo remixato le canzoni del primo, in modo che facessero da innesto per far scattare i ricordi, e poi abbiamo aggiunto altre tracce a loro modo importanti.

Ci sono numerosi flashback nel film. La scelta del montaggio, in tal senso, è stata fatta per aiutare la narrazione?

In realtà nella sceneggiatura ne era previsto soltanto uno; gli altri sono stati aggiunti perché quando gli attori sono tornati sul set hanno avuto dei ricordi ed abbiamo voluto pertanto inserirli. Ad ogni modo la durata complessiva dei flashback è di circa 1 minuto: sono molti ma brevi.

Come ha reagito Welsh, da scrittore? Avete mai pensato di scrivere qualcosa insieme, di autentico, per il cinema?

No, la nostra collaborazione funziona benissimo in questi termini per cui non avrebbe senso cambiare. Come sapete T2 ha subito diverse mutazioni rispetto al libro, ma Welsh le ha accettati serenamente. All’inizio avevamo provato a realizzare un adattamento pedissequo del romanzo, ma ci siamo resi conti che non sarebbe mai stato all’altezza del primo film, e così l’abbiamo modificato ponendo come base dell’opera il concetto del tempo che passa.

Nel libro passano 9 anni, mentre voi ne avete aspettati 20 prima di realizzare il film. Perché?

Non abbiamo realizzato prima il sequel, perché 9 anni fa non avevamo nulla da dire. Non ci interessava, e abbiamo corso il rischio di aspettare sperando che prima o poi l’avremmo fatto. Il risultato è stata una sceneggiatura molto più personale. Abbiamo tutti adorato il primo film, ma questo ci sembra parecchio più vicino a noi.

Avete rappresentato molto bene il disagio esistenziale dei personaggi. Ma cos’è per lei la speranza? E che ruolo ha in questo film?

La speranza paradossalmente risiede in Spud, proprio in colui che all’inizio non ti spieghi come sia sopravvissuto, e invece scopre di avere un talento. Lo stesso Begbie che si scusa, o l’abbraccio di Renton al padre, sono tutti momenti che ti fanno capire che la speranza non muore mai. Magari è piccola, ma c’è.

Nei racconti di Spud è ricorrente l’espressione “prima l’occasione, poi il tradimento”. Questo è un tema spesso presente nei suoi film.

Diciamo che nel primo film è un tema fondamentale, e pertanto abbiamo deciso di trasferirlo nel secondo.
Sicuramente è un aspetto presente nella vita di tutti noi, anche all’interno del cast di Trainspotting.
In passato io ho tradito McGregor, un produttore ha tradito me, ma poi quando ci siamo ritrovati ci siamo riscoperti uniti come un tempo.

In vent’anni sono cambiate molte cose, anche contesti politici. L’esterno l’ha toccata nel rappresentare questo film a distanza di così tanto tempo?

I protagonisti vivono in una specie di bolla, quindi per loro possiamo dire che il tempo è relativo. Però a volte quando fanno alcuni discorsi si percepisce che ne è passato parecchio, soprattutto quando si fa riferimento alla delusione per ciò che non è stata la loro vita, per quello che non sono riusciti a fare.
Nel primo film erano giovani e spavaldi, oggi – col passare del tempo – è tutto diverso.

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Tiziano Costantini
Nato e cresciuto a Roma, sono il Vice Direttore di Stay Nerd, di cui faccio parte quasi dalla sua fondazione. Sono giornalista pubblicista dal 2009 e mi sono laureato in Lettere moderne nel 2011, resistendo alla tentazione di fare come Brad Pitt e abbandonare tutto a pochi esami dalla fine, per andare a fare l'uomo-sandwich a Los Angeles. È anche il motivo per cui non ho avuto la sua stessa carriera. Ho iniziato a fare della passione per la scrittura una professione già dai tempi dell'Università, passando da riviste online, a lavorare per redazioni ministeriali, fino a qui: Stay Nerd. Da poco tempo mi occupo anche della comunicazione di un Dipartimento ASL. Oltre al cinema e a Scarlett Johansson, amo il calcio, l'Inghilterra, la musica britpop, Christopher Nolan, la malinconia dei film coreani (ma pure la malinconia e basta), i Castelli Romani, Francesco Totti, la pizza e soprattutto la carbonara. I miei film preferiti sono: C'era una volta in America, La dolce vita, Inception, Dunkirk, The Prestige, Time di Kim Ki-Duk, Fight Club, Papillon (quello vero), Arancia Meccanica, Coffee and cigarettes, e adesso smetto sennò non mi fermo più. Nel tempo libero sono il sosia ufficiale di Ryan Gosling, grazie ad una somiglianza che continuano inspiegabilmente a vedere tutti tranne mia madre e le mie ex ragazze. Per fortuna mia moglie sì, ma credo soltanto perché voglia assecondare la mia pazzia.