Protagonista e scrittore

Dopo l’accoglienza non proprio esaltante del loro platform cooperativo Tiny Brains, i ragazzi di Spearhead Games non si sono scoraggiati e si sono messi al lavoro su di un titolo il cui spirito è quasi in controtendenza rispetto a quello che del videogame si dice oggi (o quanto meno si presuppone). Stories: The Path of Destinies non è infatti un gioco che costruisce chissà quale solida e nuova meccanica ludica. Non è una rivoluzione in termini di grafica, né il fautore di un gameplay particolarmente innovativo ma pone al centro di tutto una delle moderne chimere del mercato videoludico: la rigiocabilità. Stories: The Path of Destinies non è infatti un gioco semplicemente rigiocabile, esso va volutamente rigiocato per essere completamente finito, da un minimo di quattro volte ad un massimo di oltre venti. Bivi, finali multipli e la risoluzione del mistero che muove la trama: esiste un lieto fine per l’eroico Reynardo?

I destini della volpe

Il più grande privilegio di Stories: The Path of Destinies è in effetti proprio la sua trama. Il nostro protagonista si chiama Reynardo, una volpe guascona e scanzonata dall’animo nobile la cui vita verrà sconvolta dall’improvvisa follia del monarca locale, il Re Rospo, che dopo anni di pace ha sguinzagliato il suo esercito di corvi in tutto il mondo a far strage di persone e dissidenti. Reynardo, patteggiante per i dissidenti, sarebbe intenzionato a fuggire via in cerca di salvezza, ma si troverà suo malgrado coinvolto negli eventi, ritrovandosi a cercare una soluzione ai mali che stanno affliggendo il mondo. Ora, detta così suonerebbe una situazione abbastanza banale, solo infarcita di personaggi che sembrano fare volutamente il verso ad un certo character design tipico di chi, come Dysney, ha nel suo pedigree anni ed anni di personaggi zoomorfi. Ma Stories, nella sua trama, non è affatto banale ed anzi nasconde un trucco di prestigio non da poco.

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Per completare la storia servono si è no un paio d’ore ma il punto è che ogni volta che la si completa, al nostro Reynardo non sarà concesso l’happy ending. Il gioco è infarcito di bivi narrativi, che richiedono al giocatore di scegliere come comportarsi: cercare di salvare un’amico invece di un altro? Cercare di ottenere un potere immenso per sconfiggere il Re o mettergli i bastoni tra le ruote? Ad ogni capitolo il gioco proporrà una scelta, la quale potrebbe portare ad una scelta diversa alla seconda, terza o anche decima partita. Gli incastri narrativi, così come le conseguenze sono lasciate in mano al giocatore che, per ottenere il vero finale, dovrà scoprire quali sono le quattro grandi verità che si nascondono all’interno della trama, ossia i quattro capisaldi narrativi che, a prescindere dalle decisioni, non cambieranno gli esiti delle azioni future. Spesso si tratta solo di sfumature tra un finale e l’altro, altre volte gli esiti cambieranno radicalmente. Quel che è certo è che ci impiegherete un bel po’ a sbloccare ogni possibile finale mentre invece, se sarete bravi, il vero happy ending potrebbe richiedervi si e no una decina di ore.

A fil di spada

Come intuirete, la narrazione è davvero il fulcro dell’esperienza ludica, e le modalità con cui essa si interfaccia con il giocatore sono certamente la parte più riuscita del gioco, nonché ovviamente il suo cuore. A dispetto di quanto detto, ci spiace soltanto che non ci sia un gameplay che sappia tenere il passo con le numerose ore di gioco utili a completare gran parte dell’albero di finali possibili. Il problema di Stories è infatti proprio il suo gameplay. Il gioco è un action con visuale dall’alto abbastanza canonico, con livelli a bivi ad ampio respiro e con alcune sessioni platform. Come intuirete, un gioco come questo richiede di essere ricominciato repentinamente, portando il giocatore a visitare molti ambienti più e più volte, ed a farsi strada tra un gran numero di nemici. Un minimo di varietà sarebbe quanto meno auspicabile onde evitare che, assieme alla noia, si faccia largo anche una certa ripetitività. Spearhead Games, invece, sembra non aver proprio vagliato questa eventualità e Stories: The Path of Destinies diventa ben presto sin troppo stantio.

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Il gioco, pur proponendo un bell’albero di abilità, non crea mai delle vere variabili al combattimento, che proseguirà sempre un po’ uguale a sé stesso, occasionalmente spezzato dall’ingresso di un nuovo tipo di nemico (ma comunque di una varietà veramente esigua) o dall’aumento del numero dei nemici nello scenario rispetto “alla visita precedente”. Per il resto il combattimento risulta ben presto fiacco, e non bastano i quattro tipi di armi da sbloccare (tre delle quali associate ad una variabile elementale), il combattimento risulterà essere ben presto noioso e troppo semplicistico, seppur tentando di scimmiottare il più fluido e celeberrimo “Free-Flow” della serie Arkham. Come se non bastasse, ci si mettono gli stessi nemici, la cui IA è quasi anacronistica e la cui incapacità bellica è evidente persino in quelle sessioni dove il loro numero su schermo sembrerebbe esagerato.

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Giusto per darvi un’idea di quanto il tutto sia semplice, vi basti sapere che nel gioco non esiste un tasto dedicato alla parata, ma essa viene effettuata (come fu per Metal Gear Rising) rispondendo con una certa tempistica al colpo nemico. Ebbene la bagarre è così prevedibile che risulterà davvero complesso non riuscire a parare il colpo, riversando al contempo sui nemici un numero sostanzioso di mazzate.