La “S” sta per “Scrittura”

Staynerdiani, oggi vi parliamo ancora una volta dell’eroe più iconico e emblematico di tutti i tempi, il kryptoniano Superman, alias Clark Kent, alias Kal-El, ma stavolta ne tratteremo dal punto di vista meta-narrativo delle penne che con maggiore abilità ne hanno definito i punti cardinali dell’origine, del destino, delle responsabilità e del carattere, fino ad arrivare alla concezione che custodiamo oggigiorno e che, con ogni probabilmente, custodiremo ancora a lungo.

Siete pronti? Si parte…

Grant Morrison

Quando si parla di autori fondamentali, di qualsiasi personaggio stiamo parlando, esce fuori il suo nome almeno 9 volte su 10. Grant Morrison ha scritto e ridefinito con successo, ampliando senza snaturare, sviluppando senza accontentarsi, eroi di entrambi i “super-schieramenti” Marvel e DC, quali Batman, Flash, X-Men e, ovviamente, il nostro Clark Kent. Morrison ha sempre portato avanti visioni fortemente simbologiche e cristologiche del super-eroe, anche più di quanto lo siano già di loro. Non è un caso che Marvel e soprattutto DC, che ancor più della rivale ha nel suo roster personaggi “mitici”, ripubblichino tutt’oggi periodicamente le opere dell’autore inglese. Poteva quindi, Grant Morrison, non entrare in gioco nella costituzione delle fondamenta del pantheon kryptoniano? Un autore che ha reso divino e trascendente l’umano, troppo umano Batman, cosa avrebbe potuto fare avendo tra le mani Superman, quale creta per il proprio estro creativo?

La risposta è: molto. E molto è quanto ha effettivamente fatto. La sua run di dodici numeri per All-Star Superman, facente parte della collana fuori continuity All-Star con cui DC rispondeva alla nascita del marveliano Ultimate Universe, è incontrovertibilmente una delle storie fondamentali del super-uomo venuto da un altro pianeta: citata a più non posso, amata dal pubblico, premiata abbondantemente dalla critica, racconta gli ultimi mesi di vita di Clark Kent (dodici, come i numeri mensili che compongono la testata), dopo un’overdose di radiazioni solari che si rivela, lentamente quanto inesorabilmente, fatale. Morrison, che mitizza l’eroe, stavolta fa il contrario, ci mostra il lato debole di Superman, la sua fragilità, con un’eleganza di scrittura senza eguali. A questo si aggiunge la solita dose di ampiezza dello sguardo narrativo, fattore in cui l’autore è ad oggi quasi impareggiabile. Morrison è ritornato più volte, nel corso degli anni, a trattare del personaggio più o meno direttamente, anche sul relativamente recente rilancio DC dei New 52, sulla testata Action Comics, continuando più saltuariamente ma soltanto in apparenza meno incisivamente a rinforzare l’eredità in continuo ampliamento dell’Uomo d’Acciaio.

Dan Jurgens

Quando si citano i migliori scrittori di un determinato super-eroe, salta fuori sempre “quello che ha ucciso quel personaggio”, l’amico, la fidanzata, la moglie. Ebbene, con Superman, chi potrebbe essere più esemplificativo di colui che ha ucciso Superman stesso? La storia è stata concepita da altre menti (tra cui quella ben nota di Roger Stern) in concerto con Dan Jurgens, ma le mani di quest’ultimo hanno firmato la sceneggiatura decisiva. Nella saga La morte di Superman, questi esala il suo (temporaneamente) ultimo respiro dopo una battaglia cataclismica con Doomsday, per le troppe ferite riportate.

Ebbene, in un periodo (i primi anni ‘90) in cui le vendite delle testate di Supes stentavano, Jurgens arriva e molla un colpo da maestro, destinato a risuonare per anni e anni… fino al recente Batman V Superman, “controverso” e quantomeno confusionario film che tuttavia, molto chiaramente, cita l’eredità fumettistica lasciata dal nostro autore. Pensateci bene: oggi diamo per scontato che gli eroi muoiano e risorgano, ma se in questo senso deve esserci un precedente fondamentale, non può che essere quello di Clark Kent, la cui “immortalità” è incarnazione dell’imperitura resistenza del bene e della morale contro i nemici, potentissimi, provenienti dall’esterno e dall’interno della Terra. Mostrare che Superman può morire, quindi, prim’ancora della sua inevitabile e successiva rinascita, vuol dire ammonire l’intero genere umano, missione difficile ma non impossibile, specialmente non per un fumetto.

Jerry Siegel & Joe Schuster

Nella stesura di quest’articolo abbiamo cercato il più a lungo possibile di non additare l’elefante nella stanza, ma è chiaro quanto inevitabile che, se parliamo di autori fondamentali che hanno definito la nostra stessa visione, passata presente e futura, di Superman, non possiamo non trattare i due che l’hanno concepito e creato: Jerry Siegel e Joe Schuster. Appassionati di fantascienza, decidono di applicare il concetto del super-uomo al medium fumetto, forse immaginando soltanto, o sognando, il successo di un’idea che oggi appare semplice come un gelato che si squaglia al sole. Nasce così Superman, un alieno super-forte e super-resistente che, benché fosse originariamente meno potente di quanto poi sarebbe diventato (qualcuno dice per non rimanere indietro sulla “concorrenza”), era diverso da tutti gli altri eppure sceglieva, e qui il suo tratto più decisivo, di mischiarsi agli altri. Superman, per quanto potrebbe, non comanda, a stento si può dire che guidi. Piuttosto, agisce insieme al resto dell’Umanità, insieme ad essa, per sconfiggere il male.

Di certo, si può leggere facilmente in quest’interpretazione una rielaborazione della contestuale situazione socio-antropologica dell’ebraismo, condiviso da entrambi gli autori. Superman stesso è un invito a chiunque a fidarsi di chi è diverso, che non necessariamente si rivolge contro i propri dis-simili, contribuendo quindi alla concezione che, in realtà, a discapito di provenienza, genetica, poteri, ricchezze, si è tutti fondamentalmente simili quando si sceglie di agire per la stessa (buona) causa.

John Byrne

Dopo i creatori, può arrivare con super-cognizione di causa John Byrne, autore completo della mini-serie dell’86 The Man of Steel, che raccontava di nuovo, modernizzando, le origini di Superman. Facciamo qualche esempio? È in questa serie che si stabilisce che Clark Kent fosse (almeno apparentemente) il solo sopravvissuto del proprio pianeta, Krypton, o la sua adolescenza passata a Smallville, fino alla scoperta traumatica della propria genesi e, in un certo senso, del suo nuovo destino di salvatore. Quanti di voi pensavano che questi, come d’altronde tanti altri, fossero elementi risalenti alla sua prima origine?

Ovviamente, dobbiamo questo fenomeno al bombardamento di serie e film riferitisi proprio alla serie di John Byrne, che dal 1986 ha reinventato un personaggio inserendolo fortemente in un’attualità controversa, in gran parte meritevole di vendite considerevoli e specularmente, dopo l’abbandono repentino delle testate DC Comics a causa di accesi diverbi, responsabile del proporzionale calo di successo. John Byrne ha fissato tanto iconicamente certe idee nella testa dei super-lettori, che dopo il suo allontanamento furono operati numerosi ulteriori cambi al personaggio e alle sue dinamiche inter-personali, fino al nuovo grande successo coincidente, emblematicamente, proprio con la sua morte scritta da Jurgens (che peraltro, curiosità divertente, è tornato a scrivere di Supes proprio con l’ultimo rilancio chiamato, neanche a dirlo, “Rebirth”). Ora, sapete tutti quanto i traumi fondamentali rivestano, nella genesi di un eroe, la riscrittura del suo carattere, della sua missione e della sua identità, perciò potete solo immaginare quanto, con la riscrittura moderna delle sue origini, Byrne abbia contribuito a definire Clark Kent-Superman come doppio e unico, allo stesso tempo, eroe e uomo, potere e responsabilità, sopravvissuto solitario e primo tra molti.

Mark Waid

A ennesima riprova che spessissimo, in DC Comics, i più grandi successi vengono raggiunti con storie all’esterno della continuity, arriva Mark Waid con Birthright e Kingdom Come, due grandi storie illustrate da due giganti del medium quali rispettivamente Leinil Yu e Alex Ross, entrambe esemplificative di come l’autore suddetto sia riuscito con la sua consueta eleganza a rafforzare esponenzialmente la forza mitica di un personaggio (“esperimento” poi ripetuto, e riuscito nuovamente, con il suo bellissimo Daredevil). Addirittura, Birthright, che era originariamente un altro moderno retelling della genesi di Kal-El, lo ribadiamo, fuori continuity, ha avuto tanto successo da esserne poi inclusa e rimpiazzando la già citata serie di John Byrne, The Man of Steel. Kingdom Come invece narra, attraverso un punto di vista esterno e casuale, quindi con lo stupore di un lettore qualunque, le peripezie di un Superman tornato a vestire il mantello dopo dieci anni di assenza.

Cosa succederebbe al mondo, se Superman decidesse di lasciarlo a se stesso? Chi si ergerebbe al suo posto? E, eventualmente, costui sarebbe all’altezza del grande e tormentato super-uomo di Krypton? Mark Waid è un maestro delle grandi domande, e non ha mancato di dimostrarlo anche in questo caso, ridefinendo ancora una volta l’eroe con forse il maggior numero di stratificazioni interpretative possibili. Eppure, di queste interpretazioni, Waid ha saputo cogliere con abilità quella che più gli premeva, e forse quella che maggiormente investe il concept di qualsivoglia supereroe: la sua responsabilità per nascita, la sua “pre-destinazione”, il legame indissolubile che si crea tra chi può, e deve, proteggere e chi viene protetto. Che vestano mantelli rossi e volino nel cielo, o che indossino corna rosse e saltino tra i tetti senza il dono della vista, Mark Waid è una penna che, quando ha affrontato eroi singolarmente, ha sempre saputo dire la sua con voce chiara e potente. E se oggi pensiamo a Superman come a un esempio di speranza che ci è in qualche modo “dovuta” è anche grazie alla sua scrittura.