Cose di demoni incazzati

Dopo due anni dal piacevole Tales of Zestiria, Bandai Namco torna con la sua serie JRPG di punta, portando sui nostri schermi Tales of Berseria. Il precedente titolo sembrava aver fatto qualche passo in avanti verso una concezione di gioco di ruolo più fresca e moderna, spesso sbagliando ma con intenti chiari e corretti, e così ci si poteva aspettare da questo Tales of Berseria ulteriori innovazioni.

Purtroppo o per fortuna questo non è avvenuto, evidentemente per una chiara scelta di game design e, ancor più evidentemente, per i limiti tecnici che ancora una volta il gioco porta in dote, dovuti principalmente allo sviluppo cross platform (il gioco è uscito anche in versione Playstation 3), che significano di nuovo una marcata castrazione e quindi una riuscita decisamente non al passo con i tempi.
Ha ancora senso, nel 2017, sviluppare per una console vecchia? Certamente a Bandai Namco si saranno fatti i loro conti, e siamo certi che in un’ottica puramente economica questa scelta pagherà, ma d’altra parte noi utenti finali con a disposizione una macchina di ultima generazione non possiamo che allargare le braccia, disarmati, di fronte all’ennesimo prodotto tecnicamente vetusto. Non che Tales of Berseria sia brutto, chiariamo da subito, però avremmo gradito più muscoli. Ma stiamo partendo dalla coda, è quindi il caso di riprendere la testa ed andare con ordine.

Velvet è una normale ragazza di paese, serena e dedita alla famiglia. La vita però non le ha sorriso, perché pochi anni prima la piaga dei demoni ha iniziato a imperversare nel suo mondo, portandole via persone care. Suo cognato tuttavia le ha insegnato l’arte della spada, che Velvet ha imparato a gestire brillantemente. Poi, una notte, i demoni tornano al suo villaggio. Esce di corsa per cercare suo fratello Laphicet, che non è più in casa, e si reca dove avvenne la tragedia anni prima, scoprendo che proprio il piccolo è la vittima sacrificale designata dal cognato, il quale ritiene il sacrificio necessario per salvare l’umanità. La nostra si lancia nel salvataggio di Laphicet, e nel tentativo di farlo diventa un demone. Viene quindi rinchiusa nelle prigioni dell’Abbazia per tre anni, sola in un pozzo profondissimo nel quale, saltuariamente, vengono gettati dei demoni dei quali può nutrirsi. In questo tempo Velvet si incattivisce, cova odio e vendetta, fino a quando non viene liberata. A questo punto comincia l’avventura vera e propria, l’obbiettivo della quale è presentare il conto al cognato.

È possibile appurare già da questo incipit come il tono di Tales of Berseria sia piuttosto grave, lontano dal classico salvataggio del mondo tipico della maggior parte dei giochi di ruolo giapponesi. Velvet vuole semplicemente vendicarsi, ed il suo obbiettivo è l’esponente di spicco dell’Abbazia, dei buoni, dei salvatori del mondo contro i demoni. Scopriremo presto che non ci sono buoni e cattivi nel gioco, e tutti hanno le loro discutibili ragioni. Velvet è una macchina da guerra, non si ferma di fronte a niente, non le interessa uccidere persone né delle motivazioni altrui, a prescindere da quello che dovrà fare il suo obbiettivo deve essere raggiunto. È un personaggio diverso dal solito, perché non è positiva, per quanto non sia intrinsecamente cattiva; il mondo le ha fatto un torto, e lei vuole semplicemente avere vendetta. I comprimari non sono da meno, essendo quasi tutti criminali in un modo o nell’altro. Non ci sono figure positive, ma neanche negative in senso assoluto; il discorso sembra ruotare intorno al freddo calcolo e alla convenienza, e non sulla classica contrapposizione bene/ male, e questo è già tanto in un prodotto di questo tipo, che come da tradizione dei Tales guarda al mondo degli anime. Mondo da cui, chiaramente, non riesce ad emanciparsi del tutto, proponendo ancora una volta degli stereotipi, anche se meno fastidiosi rispetto al passato.

Passiamo al lato gameplay, che assieme alla storia è sempre il perno di un gioco di ruolo che si rispetti. Tales of Berseria è molto classico nella struttura di base, presentando città, strade di raccordo e dungeon. L’esplorazione è assai lineare, non ci sono aree grandi e vuote come in Zestiria, e questo lo si può vedere come un punto di forza o di debolezza a seconda dei gusti. Dal canto nostro però, riscontriamo in questa scelta una precisa volontà di fare un passo indietro, per non sacrificare la qualità in favore della quantità, ed è una scelta più che corretta. Sparse per le aree troveremo le tipiche casse, dei punti luminosi che altro non sono che oggetti da raccogliere, e delle sfere argentate che serviranno per aprire dei forzieri rosa. Inoltre, ovviamente, vedremo i nemici con i quali potremmo ingaggiare battaglia ben presenti sullo schermo. Sotto questo aspetto Bandai Namco ha decisamente riflettuto su come incrementare il significato della presenza dei nemici visibili, che ora non sono più una semplice sostituzione ai classici incontri casuali, con il bonus di non entrare in combattimento se non lo si desidera, ma anzi il loro posizionamento guadagna un ulteriore senso: toccando un avversario eccessivamente vicino ad un altro inizierà uno scontro con entrambi i gruppi di nemici, oltre ad altri avversari che si aggiungeranno durante il combattimento stesso, dopo aver sconfitto quelli del gruppo iniziale.

È evidente quindi che i combattimenti non sono in real time sulla mappa di gioco. Sì e no, verrebbe da dire, perché se è vero che al contatto con i nemici il gioco fa un caricamento istantaneo e prepara un’arena, questo serve solo a far comparire i duellanti da affrontare e ad escludere il resto degli elementi (forzieri, oggetti, altri avversari) che erano invece presenti prima. Il sistema di combattimento è uno dei fiori all’occhiello della produzione del team Tales, nonostante a difficoltà normale non esca fuori il suo potenziale, data l’estrema semplicità di ogni scontro. Il sistema è, nelle sue basi, il classico battle system votato all’azione già noto ai fan della saga, con le dovute novità.
I nostri personaggi, tutti controllabili, hanno un apposito menù nel quale possiamo costruire le combo con le varie arti a disposizione. Ad ognuno dei quattro tasti del controller può essere assegnata una mossa nel caso venga premuto per primo, secondo, terzo o quarto di una serie. Le possibilità sono quindi tantissime. Ogni arte (e sono divise in tre categorie) ha un elemento proprio, utile a colpire le debolezze (o resistenze) del proprio avversario, scopribili con la pressione del tasto R1 durante uno scontro. Le combo possono essere messe a punto anche durante i combattimenti, così da poter scegliere come attaccare pure a scontro iniziato. Colpire tutte le debolezze del nemico in una combo rende potenti anche i colpi successivi, innescando una reazione a catena. Non è finita qui però, perché ogni attacco consuma una certa quantità di BA, punti che una volta esauriti lasciano scoperti. Questi BA hanno un valore massimo, che può essere aumentato all’interno di uno scontro, come può diminuire, e ciò avviene infliggendo o ricevendo alterazioni di stato come in altri frangenti. Accanto alla barra dei BA ne troviamo un’altra, utile a portare a casa attacchi speciali molto potenti così come a sostituire, nel mezzo di una combo, il personaggio attivo, senza interrompere la sequenza di attacchi e quindi ottenendo un grosso vantaggio offensivo. Se tutto questo vi sembra complesso, sappiate che lo è, come è logico che sia in un gioco di ruolo. Il tutto è anche estremamente frenetico, ma nonostante questo l’azione risulta sempre chiara e leggibile.

Lo sviluppo dei personaggi invece è quello canonico di un JRPG, vincolato (quasi) al solo aumento del livello e al potenziamento dell’equipaggiamento. Quest’ultimo può essere acquistato o migliorato, così come può essere smontato per acquisire materiali utili al crafting. L’unico elemento particolare di questo sistema è la possibilità di ottenere potenziamenti tramite le armi: ogni oggetto ha infatti un’abilità bonus che viene conferita al personaggio quando lo si ha equipaggiato. Dopo un tot di scontri, variabile, tale abilità viene appresa in modo permanente. Questa novità è interessante e ben congegnata, ed apre ad un approccio strategico anche per quanto riguarda la scelta dei vari equip, perché anche la maggior parte degli oggetti ha dei bonus variabili (pure relativamente allo stesso pezzo di equipaggiamento). Cosa preferire, quindi? La scelta è del giocatore.

Passiamo ora all’aspetto estetico del gioco, praticamente sempre motivo di cruccio per ogni appassionato di JRPG. Tales of Berseria sconta l’eredità di uno sviluppo cross gen, ed il fatto che giri a 60 fps non è un motivo per premiarlo, perché con quello che si vede a schermo ci meravigliamo che non ne faccia 120 di fotogrammi al secondo. La direzione artistica è di ottimo livello, in stile anime, come sempre, e le scelte cromatiche e stilistiche regalano anche qualche soddisfazione, così come i filmati anime che si rivelano davvero meravigliosi. Per il resto troviamo modelli dei personaggi decisamente scarni, textures di una generazione fa (generazione che ha offerto di meglio rispetto a questo Berseria) e un pop-up inspiegabile. Per farvi un esempio del pop-up, ad un certo punto del gioco abbiamo visto un forziere in lontananza, e avvicinandoci è comparso un masso davanti a questo; il forziere quindi doveva essere nascosto dalla formazione rocciosa, ma di fatto non lo era perché il gioco aveva caricato solo la cassa. D’altro canto abbiamo caricamenti fulminei in qualsiasi frangente, anche quando si avvia la partita, ma la povertà delle animazioni e degli altri elementi tecnici è così scarsa, nel 2017, che è difficile passarci sopra. Anche i vari siparietti che avvengono tra i personaggi sono spesso rimandati a dialoghi con immagini praticamente statiche e scarsamente varie, così da risultare spesso tediosi. Discorso diverso per la colonna sonora, buona ma non ottima. I brani sono piacevoli, con buone derive rockettare, ma certamente non rimangono impressi, eccezion fatta per qualche canzone specifica, come quella che accompagna l’introduzione, veramente bella.

Conclusioni:

Tales of Berseria è un bel gioco, su questo non ci piove: ha un sistema di combattimento pensato benissimo, veloce ma allo stesso tempo tattico. Ha una storia che esce dagli schemi classici del gioco di ruolo giapponese, e la sviluppa con coraggio, mescolando il bene e il male e rovesciando il punto di vista. Dall’altra parte troviamo però un apparato tecnico veramente obsoleto, sul quale è difficile passare sopra, e che purtroppo non permette al gioco di arrivare a punteggi migliori. Sicuramente i fan della serie adoreranno questo nuovo capitolo, così come gli amanti del gioco di ruolo. Confidiamo che, per le prossime uscite, ci si concentri sullo sviluppo solo per current gen.

Luca Marinelli Brambilla
Nato a Roma nel 1989, dal 2018 riveste la carica di Direttore Editoriale di Stay Nerd. Laureato in Editoria e Scrittura dopo la triennale in Relazioni Internazionali, decide di preferire i videogiochi e gli anime alla politica. Da questa strana unione nasce il suo interesse per l'analisi di questo tipo di opere in una prospettiva storico-politica. Tra i suoi interessi principali, oltre a quelli già citati, si possono trovare i Gunpla, il tech, la musica progressive, gli orsi e le lontre. Forse gli orsi sono effettivamente il suo interesse principale.