Fuga per la vittoria

Pubblicato quasi due anni fa, nel 2015, The Escapists è stato uno dei tanti titoli indipendenti capaci di stregare non solo la critica ma anche il pubblico mainstream grazie ad un’idea semplice e vincente. Nonostante spezzoni di giochi isolati, infatti, a nessuno era mai venuto in mente un simulatore di evasioni di prigioni: un’idea neanche poi così bislacca, abbastanza da convincere Tea17 a produrre il titolo di Mouldy Toof Studios, arricchito col tempo con numerosi contenuti aggiuntivi. A sei mesi di distanza dalla pubblicazione su PC, PS4 e One, The Escapists 2 fa adesso capolino nella libreria digitale di Nintendo Switch permettendoci di evadere ovunque vorremo, in tutti i sensi.

Il titolo non si concentra particolarmente sul creare una trama vera e propria, dando al giocatore la “libertà” di entrare subito nel cuore del gioco, lasciando anche un po’ spiazzati in prima battuta. Le prigioni sono infatti edifici particolarmente complessi e se pensate che basterà un cucchiaio e tanta forza di volontà per scappare, vi sbagliate di grosso: dovremo infatti essere ligi ai nostri doveri di detenuti, rispettando le varie scadenze della giornata per non dare nell’occhio e dunque porci obiettivi sul lungo periodo, se vogliamo che il nostro piano vada nel modo giusto. Alla stessa maniera, dovremo interagire con guardie e detenuti per guadagnarci la loro fiducia, in particolare con quei prigionieri dediti allo spaccio di oggetti che potrebbero semplificarci la vita e farci sentire dei piccoli McGyver quando, da un semplice spazzolino, potremo ricavare una moltitudine di utensili. Per questa ragione dovremo anche studiare e, visto che il mondo è un posto brutto, migliorare la nostra forma fisica per non soccombere a eventuali risse tra prigionieri, una costante da non sottovalutare per non perdere tempo prezioso in infermeria. Se qualcuno leggendo è rimasto un po’ confuso, vi rassicuro dicendovi che è tutto normale: nonostante il tutorial iniziale sono molte le cose che un “buon” detenuto deve imparare e, forse anche per motivi stilistici, il gioco si rivela avaro di consigli mettendo in campo dinamiche di trial and error spesso frustranti.

Manganellata dopo manganellata, ci si ritrova dunque ad imparare a piccoli passi, mostrando sì un gioco che offre un ventaglio di possibilità invidiabile rendendo giustizia al genere sandbox a cui appartiene ma, al tempo stesso, rivelandosi punitivo in vari frangenti proprio per il suo essere dannatamente ermetico. Chi vorrà mettersi nei panni di uno Steve McQueen a 16 bit dovrà dunque armarsi innanzitutto di pazienza, prendendo confidenza con i menu di gioco ed il sistema di crafting che è alla base di ogni piano ben riuscito. Che sia un difetto o un pregio non è facile da definire, soprattutto alla luce del fatto che questa caratteristica era già presente nel primo episodio e, ad un’occhiata più generale, non ci sono dei miglioramenti capaci di incidere con forza nel gameplay del gioco.

Tra le poche novità troviamo infatti il sistema di combattimento, rivisitato e che ora permette anche di realizzare delle combo utili per sopraffare nemici più coriacei del solito, insieme ad un nuovo set di prigioni, dieci per la precisione, che mostrano con grande efficacia come un lavoro di game design di qualità consenta ad un gioco di essere incredibilmente interessante, sfruttando al tempo stesso ambientazioni meno canoniche come il Far West e persino lo spazio. Va comunque tenuto a mente che il gioco si regge su una ripetitività non indifferente, aspetto che presto o tardi emergerà a discapito del divertimento.

Ben più interessante è invece la sezione multiplayer: sul versante cooperativo si può infatti andare in prigione con un amico e tentare un’evasione a quattro mani, cosa indubbiamente sfiziosa in un contesto locale ma un po’ meno online, complice l’assenza di una chat vocale su Switch ed un sistema di emote grezzo e di non facile interpretazione. Per quanto concerne il competitivo, invece, fino a quattro giocatori possono sfidarsi online in una vera e propria gara di evasione, con le regole del gioco stravolte in modo tale da permettere a chiunque di mettere in atto il proprio piano di fuga in un singolo giorno di prigionia: in questa modalità le partite sono decisamente adrenaliniche e si prestano molto bene a giocate rapide e soddisfacenti, rivelandosi un’esperienza indubbiamente divertente.

A proposito di stravolgimenti positivi, è bene anche parlare della rinnovata veste grafica del gioco: il primo The Escapists mostrava infatti una realizzazione tecnica grezza e ridotta all’osso, paragonabile ai titoli 2D usciti negli anni ’90 e caratterizzato da una pixel art basica. Questo seguito mostra invece un’impronta stilistica decisamente più personale e rifinita che, per dire, ha permesso anche l’introduzione di numerose personalizzazioni estetiche e di creare ambienti visivamente più complessi e belli da vedere, rendendo dunque il gioco visivamente molto più piacevole. Anche la colonna sonora e gli effetti audio muovono qualche passo avanti tecnologicamente parlando e, pur non risultando particolarmente incisivi, sanno adattarsi al mood del momento sottolineando anche alcuni momenti nevralgici delle partite.

Verdetto:

The Escapists 2 non è sicuramente il seguito ideale: nonostante qualche passo avanti, infatti, la formula di gioco soffre comunque di una ripetitività di fondo, nonché di una curva di apprendimento inspiegabilmente ripida che potrebbe scontentare chi non ha mai messo le mani sul primo episodio. Resta comunque un titolo originale ed appetibile, rendendosi anche una scelta affascinante per chi cerca un’esperienza cooperativa e competitiva diversa dal solito.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.