Un altro horror ambientato tra boschi spettrali? Si, ma potrebbe valerne la pena.

Se Netflix sta facendo gioire da anni gli amanti delle serie TV, sul lato cinematografico il colosso dello streaming non è ancora solido come vorremmo. Certo, le pellicole di spessore non mancano e la stessa società americana sta investendo molto, sia nella realizzazione di pellicole originali come Okja e Bright che nell’acquisizione di film esclusivamente disponibili sulla sua piattaforma. È il caso di The Ritual, produzione horror britannica diretta dallo statunitense David Bruckner che ci calerà nelle fredde foreste svedesi braccati da orrori inimmaginabili.

The Ritual parla delle vicende di Phil, Dom, Hutch e Luke, un gruppo di amici che decidono di fare un viaggio in Svezia per onorare la morte di Rob, amico del gruppo rimasto ucciso durante una rapina sei mesi prima e con il quale stavano organizzando questa vacanza. Il viaggio, per quanto faticoso, procede bene finché Dom non si fa male al ginocchio e, per cercare di tornare al rifugio di montagna più vicino, optano per prendere una scorciatoia che farebbe risparmiare al gruppo parecchio tempo. Una scelta che ovviamente catapulterà il gruppo in un vortice di orrore, mettendo alla prova tanto il loro istinto di sopravvivenza quanto l’amicizia che li lega.
Come potete evincere da soli, la trama del film potrebbe ricordarvi qualcosa come buona parte della cinematografia horror degli ultimi trent’anni e a ragione. Lo svolgimento del film è abbastanza ovvio e prevedibile e in tutti i 94 minuti di durata il ritmo è perfettamente scandito secondo i canoni del genere, senza mai osare o cercare di cambiare le carte in tavola. Al di là di queste problematiche, unite ad un finale che indubbiamente vi lascerà dell’amaro in bocca, l’opera di Bruckner è tutt’altro che un fiasco e non annoia: il perché è facilmente rintracciabile negli altri aspetti del film che, contrariamente alla trama, sono tutti piuttosto buoni.

La sceneggiatura offre ad esempio dei dialoghi leggeri e godibili sin da subito, con drastici cambi quando l’amicizia verrà meno, ma riuscendo a non scadere mai nella banalità, esaltando il rapporto tra i vari personaggi grazie anche ad una sottotrama psicologica che permette al film di non deviare mai il suo corso, mantenendo una coerenza narrativa solida. La lotta con le presenze oscure della foresta diventano infatti una metafora vivente della lotta con sé stessi e il senso di colpa, esteriorizzando e concretizzando demoni interiori permettendo al film di avere protagonisti di uno spessore unico nonostante i tanti topoi scomodati, nonostante sussista un po’ di retorica in essi. Ma gran parte dei meriti del film sono farina del sacco di Bruckner che dimostra di essere un abile cineasta: il suo bosco potrà non essere il massimo dell’originalità ma è evidente il saggio uso della macchina da presa volto a rendere questi luoghi apparentemente pacifici in una nube di mistero palpabile e intensa, giocando con i campi per conferire un umore disteso o claustrofobico a seconda delle situazioni. Giocandosi con intelligenza gli eventi paranormali e le fugaci apparizioni dello Jǫtunn che semina morte e distruzione ovunque vada senza mai mostrarsi per intero se non verso i minuti finali, il film riesce sempre a tenere lo spettatore incollato allo schermo, sfruttando il folklore svedese senza snaturarlo, eccezion fatta per l’aspetto del mostro che inoltre è un bell’esempio di estetica e simbolismo decisamente indovinato.

Il tutto è poi avallato da una fotografia che riesce nell’impresa di rendere i luoghi del film tanto affascinanti quanto inquietanti, giocando con i colori e rendendo ogni scena splendida da vedere. Ultima ma non meno importante la colonna sonora: mai invadente, ben dosata e che rifugge da trucchetti di basso rango come l’enfatizzazione dei jumpscare, coadiuvando all’atmosfera inquietante del film.

Verdetto

The Ritual è un horror psicologico tutto sommato appagante: nonostante la trama non originale, infatti, gode di una realizzazione tecnica notevole e con tutti i crismi, capace di tenervi incollati allo schermo per un’ora e mezza intrattenendo a dovere. Un buon intrattenimento per gli amanti dell’horror, e una pellicola di probabile interesse per chi, come chi vi scrive, vuole essere smentito sulla presunta morte del genere, regalandovi un’ora e mezza di terrore più che dignitoso.

Francesco Paternesi
Pur essendo del 1988, Francesco non ha ricordi della sua vita prima del ’94, anno in cui gli regalarono un NES: da quel giorno i videogiochi sono stati quasi la sua linfa vitale e, crescendo con loro, li vede come il fratello maggiore che non ha mai avuto. Quando non gioca suona il basso elettrico oppure sbraita nel traffico di Roma. Occasionalmente svolge anche quello che le persone a lui non affini chiamano “un lavoro vero”.