Sparando si impara

L’incipit alla base del nuovo Tom Clancy’s Ghost Recon: Wildlands (ri)spolvera la problematica del narcotraffico in Sud America per restituirci una Bolivia totalmente soggiogata e in balia di un potentissimo cartello della droga. Parliamo dell’organizzazione Santa Blanca, capeggiata dal carismatico e mistico El Sueño, che da “semplice” clan criminale è riuscita, attraverso la corruzione, il potere e il denaro, ad evolversi fino a raggiungere uno status di vero e proprio micro-stato indipendente alternativo a quello ufficiale. La nazione in difficoltà è quindi pronta a ricevere l’aiuto degli Stati Uniti e del suo team d’élite per antonomasia: i Ghost, i quali, dopo essere stati inviati direttamente sul posto, avranno un solo e unico obiettivo: uccidere El Sueño, tutti i suoi sottoposti e fermare per sempre l’ascesa del Santa Blanca.

Come le poche righe soprastanti potranno far intuire, l’aspetto narrativo non è di certo il punto forte del pacchetto sviluppato da Ubisoft, poiché se da una parte ci troviamo lontani da quella fanta-politica tanto cara a Tom Clancy e più tipica della serie, ritrovandoci invece con un qualcosa di insipido, poco interessante e tutt’altro che indimenticabile, dall’altra anche i personaggi presentati risultano abbozzati, poco carismatici (con l’unica eccezione del boss del boss El Sueño, valorizzato dal magistrale doppiaggio di Luca Ward) e con una profondità psicologica ai minimi termini.

Il tutto, dall’ambientazione alla storia, ai dialoghi poco ispirati, sembra risolversi come un “semplice” pretesto per giustificare la nostra presenza in quelle terre e le azioni che andremo a compiere con il nostro avatar.

Bolivia da cartolina!

Avviato il gioco avremo la possibilità, attraverso un editor non troppo elaborato a dir la verità, di personalizzare la fisionomia e gli indumenti dell’avatar che andremo ad impersonare durante le nostre scorribande boliviane. Fatte le nostre scelte, ecco che, dopo una breve introduzione che ci permetterà di avere un quadro più chiaro di ciò che sta succedendo e dello scopo della nostra missione, e svolto il primo incarico con funzione di tutorial, senza troppo tergiversare ci viene sbattuta in faccia l’enorme grandezza del mondo di gioco creato per noi. Un territorio veramente vasto, con una varietà di scenari impressionante (dalle zone tropicali, desertiche, montagne innevate, agli ambienti urbani, strade asfaltate, sterrate, etc., tutte perfettamente raggiungibili in qualsiasi momento e con un numero considerevole di mezzi su ruote e non) e una cura realizzativa che sicuramente è il fiore all’occhiello dell’intero prodotto. Perciò, al netto di alcuni piccoli difetti tecnici (come un leggero tearing, qualche calo di frame rate e un po’ di pop-up; almeno sulla versione Playstation 4 da noi testata) e della consapevolezza dell’esistenza ad oggi di titoli open world più ricchi e più belli, le scelte operate da Ubisoft si sono comunque rivelate vincenti e il risultato è un mondo coerente e affascinante da vedere, soprattutto per l’ottimo sistema d’illuminazione e l’assenza di caricamenti. Sicuramente un bel luogo in cui trascorrere le decine e decine di ore di gioco necessarie a portare a termine la nostra avventura.

Quantità VS qualità

Un cambio di struttura del genere (passare da un sistema chiuso ad uno open world, con la libertà di meccaniche offerte da un sandbox) non poteva non avere ripercussioni anche sul gameplay e sulle modalità di approccio da esso fornite: il gioco, pur seguendo una storyline unica e ben definita, non imporrà mai dei binari prestabiliti da seguire per procedere nella storia o su come affrontare una missione, tranne in alcuni casi contestualmente a ciò che dovremmo fare. Il giocatore avrà piena possibilità di scegliere una zona qualsiasi della mappa, perlustrarla per bene, scoprirne i numerosi punti di interesse che attiveranno le relative missioni (principali e secondarie) di quell’area o che permetteranno di individuare punti di interesse specifici (come il ritrovamento di medagliette dei membri del cartello o punti abilità per sbloccare nuove caratteristiche e/o potenziamenti per il nostro alter ego, etc.).

Di conseguenza, sceglieremo il nostro percorso attivando una missione specifica. Nel caso del single player ovviamente la scelta sarà esclusivamente nostra, non senza qualche limitazione e facilitazione di troppo, ed è chiaro di come il gioco sia pensato per dare il meglio di sé in cooperativa online, ancor più se fatta con un gruppo affiatato e consolidato. Quindi, insieme ai nostri tre compagni di squadra decideremo come gestire la situazione cercando di capire quale stile di gioco sia il più conveniente da utilizzare: un approccio stealth (grazie anche ai gadget in dotazione, binocolo e drone in primis) è sicuramente preferibile nella maggior parte dei casi, ma anche lasciarsi andare a sparatorie brutali e ignoranti ogni tanto ha il suo perché e fornirà la giusta dose di soddisfazione.

Purtroppo, tale cambio di rotta rispetto ai capitoli precedenti ha impoverito la componente strategica, la quale in qualche modo resiste ma risulta per forza di cose meno centrale e caratterizzante. In ogni caso, a fronte delle numerose attività e possibilità concesse al giocatore, una certa ripetitività di fondo inizierà ben presto a farsi sentire svelando la scelta effettuata dagli sviluppatori di porre l’attenzione sulla quantità piuttosto che sulla qualità.

Una mossa senz’altro mirata a rifuggire il pericolo di “vuotezza” tipico di molti titoli open world, ma che contemporaneamente, e nonostante la buona volontà, porterà lo spettro oscuro della noia a far capolino più in fretta di quanto sperato. Perché è pur vero che la libertà è pressoché totale, ma è altresì vero che le meccaniche alla base sono limitate e concorrono (insieme ad una trama priva mordente) alla mancanza di personalità del titolo.

Verdetto

Per concludere, Ghost Recon: Wildlands è un titolo che potremmo definire “semplicemente” onesto: strutturalmente solido, vasto ma chiaro nella sua natura e senza la pretesa di voler stupire a tutti i costi, se non nella splendida ricostruzione della Bolivia. Discreto se limitato al single player, più che buono se aperto alla co-op online, soprattutto se con amici. Pieno di cose da fare ma vittima della ripetitività insita nel genere e delle non sempre azzeccate scelte di game design effettuate, come i poco convincenti punti di respawn e la fisica dei mezzi troppo arcade. Insomma: un titolo che non rivoluzionerà di certo il genere, ma che nella sua volontà di discostarsi da ciò che offre la concorrenza riesce in ogni caso a risultare un apprezzabile passatempo. Perciò: buona la prima, con la speranza che un futuro secondo capitolo riuscirà ad ampliare quanto qui presente, aggiungendo varietà al gameplay e una storia più profonda e curata in tutti i suoi aspetti.