L’emofene è come un fischio continuo. O meglio, una nota costante di fondo, ma è un sentimento. Un sentimento che è lì, sotto tutte le altre emozioni, ma che a volte, nel silenzio della noia, in una pausa di contemplazione, tra le sincopi della vita quotidiana, ecco che torna a farsi sentire. Emofene è qualcosa di distante e lontano che non puoi dimenticare. Tu sei il mio emofene.”

Sono poche, nonostante tutti i particolari che ci rendono simili, le esperienze che tutti gli esseri umani possono dire di aver condiviso, senza eccezioni, nel corso della loro vita. Sensazioni come il dolore, la felicità, la paura del futuro, il timore del presente, la curiosità… Tra queste, ne esiste una più sottile, a volte solo accennata, difficile da individuare, a cui nei secoli sono stati dedicati poemi, romanzi e racconti, che hanno contribuito a volte solo in minima parte a darle un nome, a trovarle un posto nella categorie delle emozioni umane. Si tratta del “rumore di fondo” di un amore finito, simile a quella radiazione cosmica che, secondo i luminari del settore, sibila nello spazio da miliardi di anni, passando da una galassia all’altra, da quando il Big Bang ha dato via all’universo. Metafora che sembra oltremodo calzante, dato che stiamo parlando di una grande esplosione, dalla durata indefinibile, che ha lasciato delle conseguenze inimmaginabili sulla vita delle stelle e dei pianeti. Questo è quello di cui ci parlano Luca Vanzella (Tunuè, Orfani) e Giopota (I fuochi della sera) con Un anno senza te, edito da BAO Publishing.

Tancredi lascia Antonio, giovane studente della Magistrale di Archeologia a Bologna, a settembre, dopo una frequentazione di sei mesi intervellata da lunghi momenti di pausa. Nonostante la storia non sia durata molto, Antonio fatica a lasciarsi alle spalle il ricordo della persona di cui era innamorato. Di carattere, è un ragazzo un po’ introverso, schivo, cordiale ma spesso anche solitario, molto sensibile e romantico. Riprende la sua vita, costellata da amici che cercano di farlo distrarre in ogni modo, da seccature giornaliere come lo studio e la tesi sul culto dei Santi minori in Italia, e da nuove avventure con cui tenta di andare avanti, unica cosa capace di alleviare il dolore. Ma continuamente, in ogni cosa che fa, non può fare a meno di avvertire l’ombra della vecchia relazione, che si insinua in ogni piega della sua quotidianità invandendo la realtà, tanto che diventa quasi impossibile distinguerla dalla fantasia, dal sogno, dall’immaginazione. Però alla fine tutto avrà un senso, e da quell’esperienza Antonio uscirà cambiato, ne uscirà diverso.

Gli autori hanno definito questo loro lavoro come un “romanzo grafico di formazione e crepacuore“, centrando in pieno il nucleo dell’opera ma trascurando altri particolari essenziali. Un anno senza te è un gioiellino di narrativa che si fa notare non solo per quello che racconta, ma per il modo con cui lo racconta, per il come. La struttura diegetica è, a prima vista, simile ad altre che abbiamo ammirato nei graphic novel degli ultimi anni, BAO e non: una trama lunga divisa in episodi singoli, che mostrano una propria autonomia ma a tratti si ricollegano dimostrando anche straordinaria armonia. C’è di più: le “scenette”, per quanto brevi, spesso diventano il pretesto per parlare d’altro, aggiungere e sottolineare, per appronfondire situazioni e significati attraverso stratagemmi che trasudano originalità. Ovunque, dalla prima all’ultima pagina, potete incontrare trovate geniali, autentiche perle come “l’app recollection“, “il dizionario dei sentimenti misconosciuti e delle azioni minime“, “lo scavo di Atlantide“, particolari che contribuiscono a creare un’atmosfera sognante, ma non disturbante, una sorta di vita reale addolcita da elementi fantastici. Sembra quasi che il protagonista abbia fatto vagare la propria mente nei reami dell’immaginazione, fantasticando ed inserendo elementi capaci di rendere le giornate meno pesanti, il peso della memoria meno greve. Sequenze meravigliose, arricchite da altre piene di significati metaforici, che stuzzicano il lato romantico di ciascuno di noi, prendendolo per mano e facendo sospirare di nostalgia e di piacere. Questa storia parla a tutti gli innamorati che prendono l’amore con trasporto, i sensibili e sognatori che non riescono a voltare pagina a comando, ma che non vogliono trasformarsi in disillusi. Non importa se una storia è vissuta solo poche ore o pochi giorni, piuttosto che mesi o anni, o se ci si è solo scambiati uno sguardo timido e imbarazzato, senza andare oltre. Non importa se diventa un ostacolo, un macigno che impedisce di appronfidre la conoscenza con altre persone. Come sempre in amore conta la potenza del sentimento provato, il tremito che esso provoca. Una volta avvertita l’energia di un uragano, è difficile apprezzare il venticello che ti rinfresca, per quanto sia piacevole e per quanto renda più sopportabile l’afa estiva.

È questo il profondo e vasto mosaico tratteggiato da Luca Vanzella, autore che qui dimostra ancora una di volta di saper toccare corde sconosciute a molti narratori, di individuare fili dell’animo umano nascosti sotto una spessa corteccia di razionalità e cinismo. Uno scrittore capace di delineare con disinvoltura personaggi veri, di spessore, con cui entrare facilmente in empatia al primo sguardo. A rendere immagini le sue parole ci pensa Giopota, disegnatore non esperto come il collega all’interno del mondo delle nuvole parlanti, ma che dimostra di aver fatto la scelta giusta sul piano grafico, con uno stile adatto all’occasione, un po’ fumettoso e un po’ cartoon, quasi da film animato, che riesce a far calare il lettore nelle atmosfere di una Bologna magica, quasi irreale, dove la musica diventa palpabile e svolazza nel cielo, nevicano conigli, ci sono fari per dirigibili, un mondo a parte in cui tutte le metafore e gli invisibili sottintesi  del quotidiano prendono forma e consistenza.

L’immedesimazione con il protagonista e l’ambientazione è totale, tanto che si è capaci di sentire le sue stesse emozioni, i suoi dubbi, le sue fatiche, e, alla fine, la crescita che lo porta ad avanzare lungo la strada della vita la vive anche il lettore sulla propria pelle. Una volta conclusa la lettura, anche il lettore stesso è cambiato, si è fatto più maturo, come se il turbamento emotivo lo avesse sconvolto nel profondo, portandolo a riconoscere in Antonio un qualcosa che gli appartiene e che merita di essere coltivato e protetto. Perché le delusioni e la malinconia di un amore spento fanno parte della vita, ed imparare a tirare fuori da quell’esperienza un insegnamento, un monito, uno stimolo per cambiare, o anche solo un modo per conoscere meglio se stessi, è il sistema giusto affinché il sentimento provato possa non abbandonarti mai e diventi una parte di te.

Verdetto

Un anno senza te è un libro poetico, intenso e leggero (nel senso buon del termine), capace di far sognare e sospirare, di prendere e di conquistare, di travolgere ed emozionare. Luca Vanzella e Giopota ci regalano un piccolo tesoro da conservare e custodire gelosamente, in vista della prossima storia d’amore, in caso sia necessaria una via di fuga per affrontare il dolore della sua fine.

Elia Munaò
Elia Munaò, nato (ahilui) in un paesino sconosciuto della periferia fiorentina, scrive per indole e maledizione dall'età di dodici anni, ossia dal giorno in cui ha scoperto che le penne non servono solo per grattarsi il naso. Lettore consumato di Topolino dalla prima giovinezza, cresciuto a pane e Pikappa, si autoproclama letterato di professione in mancanza di qualcosa di redditizio. Coltiva il sogno di sfondare nel mondo della parola stampata, ma per ora si limita a quella della carta igienica. Assiduo frequentatore di beceri luoghi come librerie e fumetterie, prega ogni giorno le divinità olimpiche di arrivare a fine giornata senza combinare disastri. Dottore in Lettere Moderne senza poter effettuare delle vere visite a domicilio, ondeggia tra uno stato esistenziale e l'altro manco fosse il gatto di Schrödinger. NIENTE PANICO!